CIGAR BOX BAND "Don't belong"
(2024 )
Quando penso alla cigar box, un rudimentale strumento a corde ricavato tradizionalmente da una scatola di sigari, mi vengono in mente le sperdute campagne del sud degli USA e le feste di braccianti afroamericani, magari improvvisate a casa di qualcuno o in qualche locale malfamato, per esempio nel noto french quarter di New Orleans.
Si può quindi fare del rock alternativo con questi strumenti? Evidentemente sì, visto che questa band brasiliana ha pensato bene, considerate le origini comunque immerse nel blues, di fare questo passo inserendo due cigar box in una rockband al posto delle chitarre elettriche. Il risultato è semplicemente sbalorditivo: un groove inaspettato, legato ad un suono tipicamente southern e che rasenta le tipiche sonorità del delta blues.
Inoltre, non si possono non citare, oltre alla musica brasiliana, anche band immortali come ZZ Top e Led Zeppelin, al loro contributo alla musica e al rock in particolare. Il suono che parte dalla cigar box ed arriva ad un Marshall attraverso un distorsore, magari accentuato da uno slide, ha caratterizzato molti brani sia dei rocker texani che del dirigibile, facendo emergere una spiazzante semplicità che premia in maniera diretta chi, durante l’ascolto, si lascia andare alle pure emozioni.
Chiaro che l’impatto di queste musiche può creare nella mente immagini stereotipo, ma paradossalmente è anche la loro forza. Senza tanti virtuosismi, si possono creare lamenti, sospiri, passando per qualche incazzatura e, perché no, anche per qualche gemito d’amore. Ma poi, che i Cigar Box Band provengano da un posto che si chiama Belo Horizonte, noto perché da qui è partita anche l’avventura dei Sepultura, qualcosa vorrà pur dire.
Tradizione? L’ennesima scena alternativa? Poco importa. Di fatto, può succedere che, ad un certo punto, molti si scoprano artisti e trovino ancora quel coraggio di rivelare quello che suggerisce la loro anima, dannata o meno; altri, magari più dannati e con meno scrupoli, di investirci sopra qualche soldino.
È passato più di un secolo da quando, stanchi per il lavoro e del loro stato di schiavi, alcuni uomini e donne afroamericani hanno cominciato a costruire uno stile nel far canzoni, a condividere di conseguenza la vitale possibilità di tramandare racconti di vita, sia essa vissuta o desiderata. Ma neanche loro potevano prevedere che quelle canzoni ancora sanno sfregiare l’anima di chi ascolta. (Mauro Furlan)