LENHART TAPES  "Dens"
   (2024 )

Musicassette. Belle, vero? E c'è qualcuno che le utilizza come strumento musicale, tanto da diventare parte del suo cognome d'arte. Lenhart Tapes, alias Vladimir Lenhart, è un artista del turntablism, che tradotto in italiano non rende: il lavoro alla consolle. Bosniaco, è interessato ai rumori, al noise, il suo sound è industrial. Solo che, al suo tavolo, al posto dei dischi ci sono 4 walkman!

Leggendo il comunicato stampa, apprendo che aveva sviluppato un interesse “ironico”, verso la musica folk della sua zona. Un approccio che sento di comprendere, a livello personale, quando anch'io, come tutti gli ex giovani italiani rockettari, prendevo in giro il nostro liscio. Ma poi, accade che Lenhart Tapes incontri Tijana Stanković: cantante, violinista, etnomusicologa e editrice musicale di Radio Belgrado. La sua conoscenza enciclopedica ha cambiato l'approccio di Tapes, da ironico a interesse sincero.

C'è da considerare anche che il nonno di Lenhart, Jàn, era interprete di musiche slovacche, negli anni '50, quindi un po' nel DNA c'era già, questa attenzione alla musica popolare. E così, esplorando le musicassette di folk slavo, trovate nei mercatini di Belgrado, nasce “Dens”, album uscito per l'etichetta Glitterbeat Records che, come ormai ben sappiamo, è una garanzia tanto di musica interessante, quanto di valorizzazione e attualizzazione delle musiche etniche, nonostante i confini sfumino.

Ethno-Noise. Così Tapes definisce la propria musica. Un esempio lampante è la quarta traccia, “Mejremo”, che inizia con lancinanti rumori acuti, per poi accogliere, su ritmo downtempo, la voce femminile, che canta il testo arricchendolo di melismi (vocalizzi, fioriture) tipicamente orientali, con molti cromatismi. Il violino distorto risponde alla melodia cantata. Dicevo di confini che sfumano: mi riferivo al brano “Džamahirija (feat. Zoja Borovčanin)”, dove il testo, tradotto, racconta che il Sahara era un campo verde. Il Sahara? In Bosnia? In Slovacchia? No, il videoclip della canzone fa vedere infatti delle situazioni anni '70 e '80 della Libia! Ecco che parte il frullatore di riferimenti geografico – culturali...

L'esito è, come sempre accade nei progetti spinti dalla Glitterbeat, quello di portare nel suono contemporaneo, musiche etniche private dell'accezione turistica, rese fruibili, al pari di una musica elettronica statunitense o inglese. Non è detto che tutti siano contenti, sono scelte che dividono. Ad esempio, sotto al videoclip di “Vodu brala”, c'è chi commenta scrivendo: “Krasna”, che Google mi traduce come “bellissimo”. Ma c'è chi ha scritto: “Ste zasrali pieseň”. Cioè un impietoso: “Hai rovinato la canzone”. Evidentemente, qualcuno ha riconosciuto il canto popolare, e dev'essersi risentito. È normale, chi porta nel cuore i ricordi d'infanzia di tanti anni fa, si infastidisce ad ascoltarli “mixati” ai suoni contemporanei; ma è una naturale risposta generazionale, che in realtà non ha intenti ironici. Anzi, al netto delle parodie satiriche, la rielaborazione di una musica anteriore, riconosce il valore della fonte. Altrimenti, non l'avrebbe rielaborata!

“Žuta žaba” viene aperta da scacciapensieri familiari, che a noi possono far pensare alla Sicilia; in realtà, quello strumento è utilizzato anche in ambienti ebraici, e a quanto pare, anche nell'est europeo (non mi azzardo in geolocalizzazioni più precise, visto il gioco interculturale in corso nell'album). Traduco solo il titolo: “Rana gialla”. Forte, infatti il ritmo del brano è saltellante!

Sono nove brani, e l'ultimo è particolarmente suggestivo: “Starala sa (feat. Svetlana Spajić)”. La voce si prolunga drammaticamente, accompagnata da un violino agitato e da solenni bordoni di fondo. “Dens” in bosniaco vuol dire “danza”, ma è pertinente anche l'assonanza con l'italiano “denso”. Questo è un lavoro denso di riferimenti, messi in griglia dal ritmo industrial, da ascoltare più volte, per scoprire tutti i suoni nascosti, ottenuti da questi walkman! (Gilberto Ongaro)