DAIISTAR "Good time"
(2023 )
Austin è una città del Texas, famosa per il festival SXSW, indispensabile punto di riferimento per il settore musicale e per le arti visive che, dal 1987, focalizza l’attenzione di tutti gli operatori di genere. Ma è anche la città natale del quintetto dei Daiistar, che giunge al debut-album con “Good time”, un titolo un po' provocatorio, un po' ottimista e un po' contraddittorio, ma che incarna la voglia di esorcizzare quest’epoca complicata per auspicare tempi migliori.
La proposta è decisamente prodigiosa e, nella loro miscela stilistica, i Daiistar shakerano un gustoso frullato di rock, shoegaze, noisepop e psych, che scende a meraviglia per tutta la sorsata dei 10 brani in listino.
Benché si evidenzino riferimenti a MGMT, Sonic Youth, Tame Impala, Primal Scream e via discorrendo, la griffe dei Daiistar è un marchio di garanzia duratura, che si candida ad essere una tra le migliori 10 uscite dell’anno e, con una bella fetta di lato “B”, potrebbe, persino, diventare un classico se finisse in buone mani influenti.
Esagero? Beh, fatevi un’idea della forza micidiale che scatena il singolo “Star starter”, con quel cantato viscerale e roboante, e poi ne riparliamo. Suoni centrati e mixaggio di primordine saltano subito all’orecchio come una pulce che penetra senza permesso, che si fa accompagnare dalle ronzinanti e massiccie “Parallel” e ”Tracemaker”, gonfie di dense sonorità stratificate, mentre la fantascientifica “Repeater” va oltre un sogno a cielo aperto, eterea sorellastra di “Say it to me”, perfida nella sua quintessenza.
Una sorta di dark-wave è invece il tessuto della notturna “Purified”, illuminata da un suo distinto perché. Giusto in chiusura, i ragazzi si danno una calmata con l’onirica “Velvet reality”, che solfeggia una lullaby dream-pop dal fascino pervasivo.
Ma dov’erano prima i Daiistar? Che mostri! Se già la resa su disco è altissima, non oso immaginare cosa ci aspetta in un loro live-show: poniamocelo come obiettivo (e come speranza di vederli in Italia) per vivere una notte ipnotica, magnetica, con l’anima in estasi contemplativa. Almeno, io me lo immagino cosi, in forza di un debutto scintillante come “Good Time”. Ora sì, che si può parlare di “tempi buoni”. (Max Casali)