THE ELEPHANT MAN "Sinners"
(2023 )
Dell’ascolto dell’album ''Sinners'', mi vien subito in mente ''Valerine''; la canzone risalta particolarmente, perché la voce, ma anche il trasporto della musica, mi catapulta in quello che immagino sia stato partecipare ad un concerto di David Bowie, con il suo incedere delle liriche e degli accordi, così come degli arrangiamenti.
Il disco di cui sto parlando, ''Sinners'', è stato pubblicato in questo 2023 da VREC MUSIC LABEL, distribuito Audioglobe, partorito dalle menti di The Elephant Man. A dispetto del nome della band, che trae ispirazione dal film di David Lynch, della produzione (Steve Lyon), della varietà di stili che si incontrano via via nel susseguirsi dei brani del disco, parliamo di una band tutta italiana che però ha scelto una produzione estera (mastering di Tom Baker).
Si inizia con ''Curtains'' che ricorda molto, sia per la voce e le melodie tessute da Maximilian (Max Zanotti) e l'incalzare della batteria, il disco ''Superunknown'' dei Soundgarden. In particolare le prime tre canzoni, ''Curtains'' appunto poi ''Drift'' e ''Free ride to hell'', sembrano avere lo stampo dei quattro di Seattle, così come della successiva carriera solista di Cornell.
La copertina dell’album abbinata al titolo tratteggia i contorni del regno di Caronte, con le figure di persone che tengono la testa conficcata nella sabbia, allegoria di chi per volontà di non affrontare le paure o situazione reali difficili, che sembrano irrisolvibili, le nascondono alla propria vista pensando di evitarle.
Il rock trascinante, che ti strappa a questa visione pessimista per fortuna straborda in ''Human'' e nel ritornello che, accompagnato soprattutto dalla batteria di Alessandro Drucoli, ti solleva direttamente dal terreno per scagliarti, insieme con la spinta della voce di Max, verso l’alto.
Gli arrangiamenti del disco sono così variegati che si passa da elementi alla Brian Eno a passaggi di voce in stile Mike Patton (il brano ''My friend''), i fraseggi di basso (Ivan Lodini) di ''Over the mountain'' che riecheggiano i Depeche Mode, le chitarre (di Francesco Tumminelli) e campionamenti simil N.I.N. o atmosfere che sembrano uscite dagli anni ’90, come il capolavoro che fu la colonna sonora del film ''The Crow''.
Davvero molto, molto ricco di suoni, questo album, e di varietà di stili che però non sembrano staccati l’un l’altro, non danno l’idea di un disco troppo frastagliato, ma anzi di un corpus unico molto piacevole all’ascolto, con i suoi diversi momenti e le diverse atmosfere davvero stuzzicanti per l’ascoltatore. Un piacere che questa varietà di offerta sia un ponte che parte dall’Italia e coinvolge il resto del mondo.
La ciliegina sulla torta ce la offre l’incredibile momento introspettivo, la stanza dell’anima, che è ''Scream'', con un azzeccato interludio lirico su tappeto synth regalatoci dalla voce del soprano Lucia Tumminelli, che canta l’aria di “Lascia ch’io pianga” di Georg Friedrich Hendel.
In conclusione, questo album di canzoni rimane dentro l’animo di chi ascolta perché è un album meditato, un album che cerca di scavare così come nei suoni, negli arrangiamenti, nel profondo dell’essenza umana, alla ricerca della chiave per sbloccare i freni emotivi e riportare il ricevente verso la propositività e l’azione. (Johan de Pergy)