LA CANTIGA DE LA SERENA  "La novia"
   (2023 )

Il Mar Mediterraneo tocca i confini di tantissime culture che nei secoli si sono incontrate, scontrate e hanno scambiato usi e costumi. Per questo, è normale che andando ad esplorare le musiche dei territori intorno a questo mare, si trovino vibrazioni eufoniche, quasi come se fossero variazioni di una sola, o poche idee in origine, lontane chissà quanto tempo da noi.

Il trio La Cantiga de la Serena, composto da Fabrizio Piepoli, Giorgia Santoro e Adolfo La Volpe, parte dalla propria terra, la Puglia, per scovare e ridare vita a brani tradizionali libanesi, siriani, spagnoli degli ebrei sefarditi, e naturalmente, dal Gargano (“Tarantella di San Michele”) e dal Salento (“Vorrei volare”). Questi canti sono raccolti nell'album “La novia”, che significa “la sposa”. La sposa come archetipo ricorrente nelle tradizioni, ma anche simbolo del matrimonio musicale presente in questi brani, dove a fatica si distingue cosa provenga da cosa, in un'unica giostra folk che fa da collante ai vari elementi preziosi, ritrovati nella ricerca. Una ghirlanda di zaffiri!

Tutti e tre i membri sono polistrumentisti, e cantano tutti e tre; Piepoli suona chitarra classica e battente (non poteva mancare la battente, in questo contesto, come ci insegnano Loccisano e De Carolis http://www.musicmap.it/recdischi/ordinaperr.asp?id=8171), shruti box (che è una specie di fisarmonica a valigia, provate a cercarla e stupitevi), e percussioni come il daff, il bendir, il tamburello e il qraqeb. Santoro va di fiati: bansuri, duduk, flauto contrabbasso, ma anche arpa celtica (che si sente in “Ya Mariam el bikr”), e percuote sajat, cimbali e “palmas”, cioè le mani battute come nel flamenco. La Volpe è più umile, si accontenta di un'altra chitarra classica... accanto all'oud e al tar!

Accanto a loro ci sono cinque ospiti: L'Escargot suona fisarmonica e piva, Francesco D'Orazio il violino, Roberto Chiga suona pandereta e tavolette, tamburello e udu; poi, canta Nabil Bey Salameh (dei Radiodervish!) in “Almaya”, canta Faraualla nella festosa titletrack e ne “La Tarantella”. Quest'ultima non è la tarantella che potete immaginare, bensì un brano composto da Cristofaro Caresana, nel lontano 1693. Perché La Cantiga non si muove solo geograficamente, ma anche storicamente. L'altro viaggio nel tempo si fa col brano di chiusura: nientemeno che “Si dolce è'l tormento” di Claudio Monteverdi, dove torna l'arpa celtica, che accompagnando la voce, dà al brano quel sapore di eternità greca, come se l'arpa fosse quella eolia, suonata dal vento.

Possiamo trovare di tutto: la voce in “A la una yo nacì” si dispera come si fa nelle coplas spagnole, i flauti cinguettare con entusiasmo, cori solenni, e le corde alternarsi tra agitati strumming e inseguimenti melodici, come in “Longa farahfaza”, brano firmato da Riyad el Sonbati, illustre composizione egiziano. Tante umanità, un solo mare. (Gilberto Ongaro)