DDK TRIO "A right to silence"
(2023 )
Mi tocca essere un po' marzulliano. Che cos'è il suono? Che cos'è il rumore? Che cos'è il silenzio? Il trio DDK ti tira fuori a forza queste domande, come un dentista. “A right to silence” è il loro terzo album, uscito per Meena Meenna Records, ed è un triplo cd. Triplo perché? Perché ognuno dei tre membri ha scelto una personale selezione delle loro esecuzioni dei brani, quindi diversi titoli ritornano più volte nelle tre tracklist.
Stiamo parlando di performance dove, ci dicono, praticano la “instant composition”, cioè la composizione istantanea, creazione della linea da seguire al momento. Si tratta di lunghissime singole note, alternate a lunghissimi silenzi. L'esperienza è davvero difficile da sostenere nelle versioni studio: forse, dal vivo, il contatto diretto con i suoni restituisce tutt'altro effetto. Le vibrazioni che provengono direttamente dagli strumenti nell'aria che gli spettatori condividono, non sono mai la stessa cosa delle stesse onde riprodotte da un'incisione.
Oltre alle singole note intonate, abbiamo anche cluster da parte del pianoforte. Per usare un termine tecnico, i cluster sono le MANATE sul pianoforte, sbattute dal nervosismo. A volte il pianista si alza e va a suonare direttamente le corde dello strumento, all'interno della cassa, ottenendo così un suono simile a quello dell'arpa. La tromba, dal canto suo, spesso e volentieri si trasforma in un semplice tunnel d'aria, mentre la fisarmonica ha una vasta gamma di registri a sua disposizione per sperimentare, e così ogni tanto brontola, e ogni tanto imita il segnale di un macchinario medico (“Movement of alteration”).
Sembrerebbero note del tutto scelte a caso. E invece, il fatto di avere a disposizione due o tre ripetizioni degli stessi brani, fa notare che la sequenza di note è identica: quello che cambia è l'esecuzione, il dilatarsi di suoni e silenzi. Questo fa intuire che forse, qualcosa in realtà sia scritto. Oppure, hanno memorizzato questi lunghi dialoghi in note: un compito assai arduo!
Guardando una delle loro esibizioni dal vivo su YouTube, forse si trova la risposta alla domanda imbarazzante “Perché?”. I musicisti si guardano, poi seguono l'istinto, si lasciano andare in (rari) momenti caotici, per prediligere appunto quei lunghi silenzi. E paradossalmente, questo modo di suonare valorizza proprio le lunghe pause. Gli spettatori così sono indirizzati, un po' à la John Cage, ad apprezzarle, quelle pause, e a godere del loro “diritto al silenzio”. (Gilberto Ongaro)