TUNNG "Comments of the inner chorus"
(2006 )
Si parte con una pioggia di schegge e detriti come “Hanged”; un intro dal suono psicotico e dal tono vagamente sbeffeggiatore. “Woodcat” suona tanto come una filastrocca incantata alla Syd Barrett. Pochi suoni densi, canto armonico, ma così sottilmente insistente da penetrare le menti. Non sembra poter credere alle parole che si sentono. I toni teatrali si accentuano con “The Wind Up Bird”, un buffo scherzo. I battiti si intersecano con la voce baritonale che tenta di suonare dolce. Il tutto prende la forma di una ballata elettronica scanzonata del tipo Eels. “Red & Green” prosegue su questa direttiva, con più pathos; i suoni sintetici accompagnano perfettamente la dolce ballata, fluente e distesa. Sempre e comunque intensa. “Stories” parte con un veloce arpeggio e una voce robotica che mutano con i cambi di tempo successivi, poi si placa, sempre attraversato da cigolii e voci elettroniche. In “Jenny Again”, altra filastrocca incantata, crescono le atmosfere suggestive, sia grazie ai rumorini messi sempre al momento giusto, che completano il suono, sia alla chitarra discreta. La suggestione si trasforma in slancio emotivo con “Man in a Box”, cadenzata da suoni gracchianti, ma così melodica e distesa da affascinare al primo impatto. Il giro melodico di “Jay Down” non deve ingannare perché subito i suoni si fanno stranianti; tutto avviene nel subconscio. È una lenta spirale verso luoghi sconosciuti. Cori evocano nubi nel cielo, una voce fredda sembra impartire ordini. Il tutto magicamente impacchettato dentro a un magma di suoni sibilanti così lievi da non essere notati, ma fondamentali per creare questi affreschi affascinanti. “It Because We’ve Got Hair” ha un ritmo orecchiabile, ma non si discosta dalle altre canzoni. Sempre magicamente discrete ed equilibrate nella loro splendida originalità. “Sweet William” è particolarmente bella. Un suono oscuro la avvolge. È un continuo crescendo che si stempera in una piccola staccata strumentale, brevissima e densa. Finale umoristico ma comunque gradevole. “Engine Room” è un cantiere aperto che si spalanca verso tutte le direzioni. Affascinante e suggestiva, non è altro che il sunto del disco, dove le chitarre malinconiche si fondono con le voci robotiche, i campanelli, i rumori oscuri in una suite sognante e suggestiva come non mai. “Comments Of The Inner Chorus” è un disco senza alcuna pretesa. È un disco umile, molto delicato. Lo si può ascoltare come un disco di ballate intime, ma se si scava a fondo si trova un lavoro ricco di dettagli e perfettamente equilibrato. In questa diversità di possibile interpretazione sta la ricchezza di questo disco, che comunque necessita di una maggiore varietà. Un disco incantato e raffinato. (Fabio Busi)