BARCLAY JAMES HARVEST  "Octoberon"
   (1976 )

L’album in questione è il settimo in studio della nutrita discografia dei Barclay James Harvest, un capolavoro che anticipò di un anno circa la loro successiva grande incisione, quel ''Gone To Earth'' che da lì, dal lontano 1977, li avrebbe dovuti consacrare nell’olimpo dei grandi del prog sinfonico.

Allora ciò non accadde, e a dire il vero la critica non fu mai troppo entusiasta né indulgente nei confronti di John Lees e compagni, anzi spesso all’epoca stroncò impietosamente i lavori della band. C’è voluto del tempo per arrivare a rendere onore a questo gruppo, e forse (chissà) qualche “lucina” si è accesa nelle menti eccelse di certi spocchiosi e biechi personaggi quando, nel 1990, i Barclay James Harvest si esibirono al Reichstag di Berlino in un concerto rimasto memorabile seguito, tra presenti all’evento (centinaia di migliaia) e in diretta tv, da circa un milione di persone.

Da grande estimatore di John Lees e compagni quale sono non posso esimermi dall’affermare che anche gli album che precedono e seguono questo ''Octoberon'' sono tutti indistintamente di indubbio livello artistico. Naturalmente non mancano gli inevitabili alti e bassi, ma non vi sono comunque quelle cadute di tono che troppo spesso hanno caratterizzato (e caratterizzano) le produzioni discografiche di altre band ben assai più blasonate e celebri. Tuttavia non posso non riconoscere che la proposta musicale dei Barclay James Harvest possa risultare, a chi vi si avvicina per prima volta con ascolti superficiali ed analisi frettolose, talmente semplice e leggera da poterla ingiustamente ed ingannevolmente considerare scontata o banale, ma non è così, anzi tutt’altro.

Il sound dei Barclay James Harvest è al contrario il risultato di una incredibilmente perfetta e compiuta alchimia tra tanti ingredienti diversi, miscelati con una sapienza e con un gusto sublime che potremmo paragonare alle magie culinarie con le quali solo i più raffinati chef riescono a rendere prelibati ed unici i loro piatti. Qui troviamo il pop sinfonico dei primi Moody Blues, le fresche armonie dei Beatles, echi westcostiani, il rock più ruvido (specie nell’uso distorto delle chitarre), il blues, il folk e un sapiente e raffinato utilizzo della melodia e dei cori; il tutto va ad arricchire e completare la poetica dei testi, anch’essi mai ordinari bensì assai profondi e importanti per le tematiche trattate.

In ''Octoberon'' troviamo John Lees, compositore e anima rock del gruppo alla voce e chitarra, Les Holroyd autore decisamente più versato ad un lirismo intimista alla voce e basso, Stuart “Woolly” Wolstenholme alle tastiere (la cui tendenza compositiva trae evidente ispirazione da quel sinfonismo maestoso e al tempo stesso malinconico che si può ascoltare in determinate opere a cavallo tra l’800 e il ‘900) e Mel Pritchard alla batteria. L’unione di questi musicisti, dalle caratteristiche così antitetiche tra loro, ha dato vita ad un sound talmente identificativo ed esclusivo che dimostra quanto la proposta dei Barclay James Harvest sia personalissima e imprescindibilmente attribuibile al gruppo senza alcuna possibilità di errore, un marchio di fabbrica insomma.

Vorrei chiarire a scanso di equivoci un aspetto che ritengo essere di una certa importanza per comprendere la dinamica artistica dei Barcaly James Harvest, se non altro proprio in relazione alla proposta di questo fin troppo sottovalutato gruppo, in modo da avere la giusta prospettiva per conoscere, capire e godere della loro musica. I quattro componenti della band non si può certamente dire che siano dei musicisti virtuosi dello strumento né geniali anticipatori di chissà quali tendenze o mode musicali e non, ma possiedono una innata e personale inclinazione compositiva ed esecutiva che trova il suo riscontro concreto nella trasposizione in musica di quelle onestà e sincerità creative che sono poi la peculiarità che contraddistingue John Lees e company.

La musica dei Barclay James Harvest non è di certo urlata né aggredisce, non è adrenalinica né scossa elettrica ad “high voltage” (cfr. capolavoro degli AC/DC), piuttosto essa si insinua liscia e gentile come la seta nel cuore e nella mente con un lirismo poetico di rara intensità emotiva, ci apre orizzonti di rilassatezza onirica pur avendo in sé quel grande potenziale di energia spirituale che è elemento nutritivo per l’anima, cose importantissime specie in questa sciagurata epoca di vacui valori, plasticosa e finta e fatta sola di apparenza nella quale adesso stiamo vivendo.

Ogni brano dell’album rappresenta un piccolo ma preziosissimo gioiello incastonato in un pregiato scettro dorato, quindi ci troviamo al cospetto di un corpo unico e assoluto dove tutto si muove e suona alla perfezione, ci troviamo al cospetto di ''Octoberon''. Non vorrei menzionare alcun brano proprio perché sarebbe come far torto ad un lavoro che merita di essere ascoltato e riascoltato, assaporato e sviscerato, goduto più e più volte dall’inizio alla fine senza interruzione. Ciò nonostante qualcosa dovrò pur dire sui titoli dei brani presenti nell’album... beh, quando la puntina si mette in contatto col vinile e suona ''The world goes on'' a firma di Les Holroyd parte subito l’emozione, segue poi ''May day'' di John Lees e poi ancora ''Ra'' di Stuart Wolstenholme… prima facciata, giriamo il disco con il cuore che batte impaziente di esultanza e … ah, il vinile, e la copertina apribile con foto e testi ben visibili...! (Moreno Lenzi)