Sono presenti 346 recensioni concerti.
THE CURE "Live Palasharp Milano 02-03-2008 "
(2008)
Secondo appuntamento in Italia per i Cure di Mr.Smith che, dopo aver regalato forti emozioni nella capitale, si apprestano a bissare lo show al Palasharp di Milano. Il '4tour' si presenta un po’ come l’apripista del nuovo album in studio (la cui uscita è stata, come nelle consuetudini-Cure, posticipata diverse volte), ma anche l’occasione per mettere mano all’ineguagliabile repertorio e, conseguentemente, far scatenare i numerosi fans giunti da tutta Italia. Il palazzetto dello sport di Lampugnano, oggi conosciuto come Palasharp, non è altro che il celebre PalaTrussardi (costruito in emergenza ed in pochi mesi nel 1985) ed è lo stesso che, nel corso degli anni, è stato battezzato dapprima PalaVobis e, successivamente, Mazda Palace. In coda ai cancelli fin dalla mattina, i fedelissimi provano a far passare il tempo fantasticando sulla scaletta che gli uomini in nero proporranno, immaginando scenari anche diversi da quelli del Palalottomatica. Due giorni fa apri “Plainsong” ed oggi siamo pronti a verificare se la band ha avuto il tempo di “giocare” un po’ sulla tracklist, regalando (cosa piuttosto frequente) alcune sorprese. Un altro passatempo tra i fans (almeno nel 2008) è quello di scommettere sul colore dei capelli di Simon Gallup che per questo '4tour' si è sbizzarrito con le tinte più disparate: siamo passati da un biondo platino delle prime date, per arrivare ad un rosso acceso (lo stesso che portava a Roma due giorni fa); che cosa ci riserverà oggi? Come a Roma, anche a Milano sono i 65 Days Of Static che hanno il gravoso compito di aprire lo show degli inglesi. Difficile, invero, considerare il loro show con totale obiettività. Gli intervenuti al PalaTrussardi (ah!, già… Palasharp) sono qui per altri motivi, perciò la loro esecuzione è vista quasi come un prolungamento di un’attesa già snervante. Ci piace, però, sottolineare che Robert Smith, evidentemente mai sazio di musica, ascolta con interesse l’esibizione del gruppo di supporto. Infatti, lo notiamo ai piedi del palco, intento a non perdersi neppure una nota dei 65 Days Of Static. Potrà apparire come una sciocchezza o una nota marginale al concerto, ma in realtà anche questo è uno splendido esempio di classe! Il gruppo, che propone un post rock violento e dinamico, conclude l’esibizione in perfetto orario, pronto per la lasciare il campo ai tecnici dei Cure. Si preparano e si accordano gli strumenti, si sistema il microfono; insomma, mancano solo loro. Alle 20.45 finalmente arrivano i protagonisti; un boato accoglie l’ingresso dei quattro Cure sul palco. Robert Smith scatena le urla più forti quando si avvicina al microfono; un occhiata al resto del gruppo e parte lo show. Porl Thompson, il cui rimpatrio ha dato (da tre anni a questa parte) linfa nuova alla band, è posto alla destra del capo, mentre Simon Gallup (oggi ha vinto chi ha puntato sul tradizionale colore nero) è, come di consueto, alla sua sinistra. A picchiare sui tamburi c’è Jason Cooper che molti fans continuano a considerare “il nuovo batterista”, anche se risulta essere (ormai) il drummer di più lunga militanza Cure! Le prime note ci dicono che è ancora la poesia di “Plainsong” ad accendere i cuori di tutti i presenti; sognante e unica, è la canzone che nessuno avrebbe mai potuto scrivere e, proprio per questo, la sua esecuzione riesce sempre a commuovere profondamente. Quando partono le note di “A night like this”, abbiamo la certezza che le sorprese piacevoli saranno numerose. “Pictures of you” è semplicemente deliziosa ed eseguita ancora meglio rispetto al Palalottomatica, mentre è davvero piacevole potere ascoltare “Catch”. Il dolce brano tratto da “Kiss me kiss me kiss me” non viene, infatti, riproposto con regolarità durante gli spettacoli e avere la fortuna di apprezzarla oggi è un regalo estremamente gradito. La prima parte del concerto concede ben cinque canzoni targate “Disintegration”: alle già citate “Plainsong” e “Pictures of you”, si aggiungono “Lovesong” (con un intro molto reinterpretato), “Lullaby” e la canzone omonima dell’album del 1989. Un’altra nota positiva risiede nell’acustica. Se due giorni fa era pessima, oggi si presenta eccellente: gli strumenti si distinguono perfettamente e le parole del leader sono chiare e pulite. Ancora sorprese (inutile dire positive) si hanno quando i quattro Cure eseguono “Kyoto song” e quando ripropongono “Wrong number” che il pubblico milanese apprezza, partecipando in modo particolare. “Grazie molte” dice Robert Smith prima di congedarsi e lasciare riposare le ugole infiammate dei suoi sostenitori. È tempo dei bis, dapprima con i quattro pezzi di “Seventeen seconds” (i medesimi di Roma) e poi con il pop più pop della band (da “The lovecats” passando per “Friday I’m in love”, per arrivare a “Why can’t I be you”). È doveroso mettere in risalto che anche il servizio d’ordine partecipa al coro dei fans. Li osserviamo svolgere il loro lavoro con serietà, ma allo stesso tempo, li osserviamo cantare ogni strofa delle più celebri canzoni dei Cure: notevole! L’ultimo rientro è legato al passato più remoto dei Cure: “Boys don’t cry” scatena l’inferno accanto alle transenne, mentre il primissimo singolo del gruppo, accelerato e punkeggiante, chiude definitivamente lo spettacolo odierno. Spettacolo che si è (ancora una volta) protratto per più di tre ore e che ha confermato la grande passione che si nasconde dietro un concerto dei Cure. Una passione che, seppur diversa, è vicendevole. Da un lato, infatti, c’è quella dei musicisti che vivono con immutato entusiasmo ogni concerto, ma dall’altro lato c’è un reale sentimento manifestato dai sostenitori che, quasi fosse una fede (…“Faith”, appunto) continuano a seguire le vicende di un gruppo assolutamente ineguagliabile. (Gianmario Mattacheo)