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   (2024)

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THE CURE   "Live Palalottomatica Roma 29-02-2008"
   (2008)

29 febbraio. È già una data particolare quella che segna il ritorno in Italia dei Cure di Robert Smith, il cui ultimo concerto nel Bel Paese risale al 20 agosto 2005. In quella occasione, i fortunati possessori del biglietto poterono assistere ad uno dei più incredibili spettacoli posti in essere dalla band inglese (vedi relativa scheda recensione concerto), che, in quel european tour, sperimentò la formazione a quattro. La medesima formazione (Robert Smith – voce e chitarre; Simon Gallup – bassi; Porl Thompson – chitarre; Jason Cooper – batteria) si ripresenta a Roma per la dodicesima tappa di un estenuante 4tour che vede il gruppo impegnato in Europa e, successivamente, in America. Snervante è stata l’attesa che ha portato i fans al Palalottomatica di Roma. Sono passati, infatti, quasi due anni dall’ultima esibizione on stage (almeno per chi scrive); periodo di tempo decisamente troppo lungo che equivale ad un’astinenza non certo facile. Durante questo lasso di tempo, i nostri non sono stati certo a dormire sugli allori, partecipando alle consuete collaborazioni con altri artisti (da citare per esempio la comparsata all’unplugged dei Korn, durante il quale le due band realizzarono “In between days/Make me bad”), ma soprattutto preparando il nuovo disco in studio, successore di quel “The cure”, primo album pubblicato per l’etichetta Geffen. Sicuramente la serata odierna sarà utilizzata da Robert & co. per sperimentare alcuni dei nuovi brani e saggiare la reazione del pubblico che attende, da oltre quattro anni, la nuova registrazione. Il Palalottomatica, già Palaeur, è il più celebre palazzetto dello sport di Roma in cui i Cure suonarono per l’ultima volta nel 2000, in occasione del bellissimo Dream tour, atto a promuovere “Bloodflowers", eccellente lavoro che chiudeva la collaborazione con la storica etichetta Fiction. È in questo affascinante palazzetto, costruito in occasione dei Giochi Olimpici del 1960, che ci mettiamo in coda per il fatidico inizio dello spettacolo. Comodamente (quasi) seduti per terra, in attesa di poter far sfogare le nostre stonate voci, apprezziamo il gruppo spalla, scelto per ciascuna data del tour 2008. I 65 Days Of Static fanno il loro ingresso alle 19.30 in punto e realizzano una performance di post rock sicuramente dignitosa. Il loro rock, in effetti, non è molto distante da quello dei più conosciuti Mogwai, gruppo iper omaggiato e pubblicizzato dallo stesso Robert Smith. Circa mezz’ora di spettacolo per la band di Sheffield che offre un aperitivo dalle tonalità forti, ma anche melodiche, in cui lo strumento voce è praticamente assente. Ma questo è già storia e, francamente, non è poi così importante. Intanto, mentre l’ora si avvicina, cresce la tensione che lascia il posto ad un vociare sempre più intenso, pronto a trasformarsi in bolgia quando il signor Cure fa l’ingresso sul palco. È un fracasso generale quello prodotto dai fans della band, un frastuono talmente grande che cerca di competere con i decibel prodotti durante lo spettacolo. Si cerca lo sguardo del signore in nero e si osservano con attenzione gli attimi che precedono le prime note. È, come sempre, l’inizio dello spettacolo che rappresenta il momento emotivamente più alto di ogni concerto. “I think it’s dark...”: sono le prime parole di “Plainsong”, brano dal fascino irresistibile che viene scelto per aprire il concerto. E' il migliore degli inizi che ci potevamo attendere, ed il boato tributato alla band ne è l’ovvia testimonianza. Robert Smith ripesca, per la seconda e terza traccia, “Prayers for rain” e “A strange day”, ovvero due gemme dark degli anni ’80. L’acustica, purtroppo, non è certo buona, e riusciamo a far finta di nulla solo grazie all’enorme classe del leader che appare oggi particolarmente gioviale e pronto alla battuta (oltre a cimentarsi in un coraggioso "grazie"). Forse è anche per questo che la scaletta è maggiormente orientata su un repertorio pop. Ecco, allora, che (già nella prima parte dello spettacolo) si sussseguono “Alt.end”, “The end of the world”, “The walk” e “Friday I’m in love”. L’entusiasmo più alto è raggiunto proprio con quest’ultimo brano (oggi, in fin dei conti, è venerdì): tutti accompagnano Robert Smith che, di rimando, sorride al suo pubblico, trasformatosi cantante. L’inferno scatenato al Palalottomatica non tende a diminuire con altre storiche pop songs: “Lullaby” (non la migliore esecuzione della serata), la delicatezza di “Pictures of you” e “Lovesong” rappresentano un’altra occasione per continuare la festa. È, come di consueto, molto alta la partecipazione in “Push” (Robert sorride nuovamente) quando il pubblico intona il coro da stadio. Sono, invece, piacevoli i “ripescaggi” di “To wish impossible things”, “Primay” e il rock distorto di “Wrong number”, mentre è davvero deliziosa e toccante “A boy I never knew”, un brano inedito del futuro album. Infine, con “100 years” e “Disintegration” si chiude (con la magia e la rabbia cure), la prima parte dello show. Ci piace notare il gesto di Porl Thompson che abbraccia Robert Smith, mentre i due stanno entrando nel camerino. È il gesto di grandi artisti e amici che trovano ancora piacere nel suonare insieme tutte le sere; un gesto che, notato di sfuggita, non può che farci gioire. Poche sorprese per il primo rientro, durante il quale i Cure eseguono solo canzoni tratte da “Seventeen seconds”. È graditissimo l’intro di “A forest” che, per l’occasione, viene anticipato dal refrain di “In your house”. Il secondo rientro, invece, è tutto dedicato alle canzoni più scanzonate della banda Smith. Accanto alle previste “Why can’t I be you” e “Hot hot hot”, è semplicemente incredibile riascoltare “Close to me” e “The lovecats”: ogni fan al Palalottomatica sta sorridendo. L’ultimo rientro è per il 1979 e per il punk. “Boys don't cry”, “Jumping someone else's train”, “Grinding halt”, “10:15 saturday night” e “Killing an arab” prosciugano le ultime forze dei Cure e dei sostenitori. Dopo tre ore di spettacolo, si riaccendono le luci e ci si prepara per il prossimo concerto. Ma quello sarà un altro episodio. Per questa sera ci aspetta il duro compito di assimilare e digerire le emozioni che i ragazzi immaginari ci hanno ancora regalato. È uno sporco lavoro, ma qualcuno lo deve pur fare. (Gianmario Mattacheo)