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NEIL YOUNG "Live Teatro degli Arcimboldi Milano 24-02-2008"
(2008)
Le abbiamo sentite cento volte, le sappiamo ormai a memoria, canzoni che hanno fatto le storia della musica rock degli anni settanta e oltre, e allora perché siamo tutti qui stasera a sentire Neil Young? Con questi prezzi da prima della Scala, poi? Il palco è addobbato con oggetti apparentemente insignificanti gettati un po’ alla rinfusa: un telefono rosso su un tavolino, lettere di insegne luminose mischiate a caso appese sullo sfondo, e sotto una serie di quadri esposti come se fosse uno studio di un pittore, insieme agli altri attrezzi del mestiere. E infatti, un pittore sale sul palco e inizia a dipingere, mentre il pubblico ancora cerca il proprio posto. Quando si spengono le luci, il pittore lascia il suo posto, prende un quadro con una grande N dipinta e lo porta al lato del proscenio, su un trepiede. Da dietro il quadro spunta Neil Young. Giacca e pantaloni chiari, cappello calato sulla testa, entra in scena un sessantenne all’apparenza un po’ appesantito e stralunato. Prende posto sulla sedia al centro del palco, circondato da otto chitarre e due pianoforti (uno a coda e uno a spalla). Così inizia il set acustico, con le note dell’armonica di 'From Hank To Elvis', ed è già evento. Dopo tre brani con chitarra e armonica, si alza dalla sedia un po’ incerto se continuare alla chitarra o andare al piano. Gli si avvicina, lo accarezza su un fianco, poi si siede e inizia una emozionante versione piano e voce di 'A Man Needs A Maid'. Sempre indeciso se continuare al piano o tornare alla chitarra, come se stesse improvvisando la scaletta a seconda delle sensazioni del momento, Neil prosegue il set acustico della serata per circa un’ora di grandi emozioni, con alternanza di brani pescati da tutto il suo vastissimo repertorio, da 'Heart of Gold' a 'Journey Through The Past', per finire con 'Old Man', che chiude la prima parte della serata. Dopo venti minuti per il cambio palco, entra la band, e Neil cambia completamente. Vestito di nero, chitarra elettrica al collo e in corpo la cacrica di un ventenne, attacca una irruente versione di 'Mr. Soul'. Come un cavallo legato che scalpita e scalcia, Neil scarica nei lunghi assoli all’elettrica tutta la potenza della storia del rock. Sostenuto da una band formidabile formata dagli amici di una vita (Ben Keith, con lui dal 1970, e Ralph Molina, il suo batterista dagli anni ’60, presentato come “mio fratello”), coadiuvati da Chris Rosas al basso, questa band di sessantenni dimostra una carica e una vitalità da far invidia a band anagraficamente molto più giovani. Difficile rimanere seduti sulle poltroncine di velluto del pur splendido Teatro degli Arcimboldi davanti a tanta potenza ed elettricità. A fondo palco intanto, per tutta la durata del concerto, il pittore continua a dipingere le sue tele e le espone come fosse in un atelier. A lato palco, sul trepiedi, lo stesso pittore sostituisce ad ogni inizio brano un quadro con il titolo della canzone che sta per iniziare, unica concessione all’aspetto visivo del concerto. Ma l’attenzione è tutta su Neil Young. Poche parole, giusto per presentare la band, e novanta minuti di grandissimo rock elettrico, con molte concessioni al passato. Versioni trascinanti di capolavori quali 'Powderfinger', una splendida 'Down By The River' e la sorpresa di una ritrovata 'Hey Hey My My', che Neil aveva promesso di non eseguire mai più dopo il suicidio di Kurt Cobain. Si chiude con una impetuosa e trascinante 'Cinnamon Girl', unico bis concesso, e ancora una volta la chitarra elettrica di Neil Young fa scintille impetuosa. Si, le abbiamo sentite cento volte, e altre cento le vorremmo sentire (Rock n’ roll is here to stay). Magari però ad un prezzo un po’ più ragionevole, e in un ambiente meno “ingessato” di un teatro. (Giorgio Zito)