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THE CURE "Live Six Fours Ile de Gaou (France) 03-07-2004"
(2004)
Per la prima delle due tappe francesi (se si esclude la comparsata acustica all’Olympia di Parigi del 30 giugno u.s.) la band di Robert Smith sceglie un luogo particolarmente suggestivo: la penisola di Six Fours – Ile de Gaou, sulla Costa Azzurra. È immediatamente affascinante ed irresistibile il contrasto; da un lato i pescatori intenti a raccogliere pesce e frutti di mare, dall’altro il popolo dark, che, in coda ai cancelli, rimane in attesa di ascoltare il suo mito. La location ci appare subito incantevole. Raccogliendo informazioni scopriamo che il villaggio fu fortificato in cima alla collina e protetto da ben tre muri di cinta, mentre scendendo verso il mare incontriamo il seducente promontorio roccioso del Petit Gaou che offre un’eccellente vista sulla parte meridionale della penisola e che costituirà il suggestivo (e piacevolmente insolito) luogo in cui il gruppo suonerà gli intramontabili classici ed i nuovi brani del recente album omonimo (“The Cure” - Geffen 2004 – vedi scheda recensione album). Un’altra piacevole sorpresa ci aspetta all’ingresso, quando constatiamo le ridotte dimensione del luogo (potrà contenere al massimo 3.ooo persone) e le altrettanto ridotte dimensioni del palco che consentono di apprezzare meglio gli artisti on stage (per chi, come noi, ha avuto la fortuna di guadagnare un’ottima posizione accanto alle transenne). La serata odierna è inserita all’interno della manifestazione “Les voix du gaou” che prevede, tra gli altri, le performances di David Bowie e dei Placebo (questi ultimi unitisi ai Cure nella succitata data all’Olympia di Parigi), in quello che si rivela un ottimo festival per qualità musicale e per bellezza del paesaggio. La serata è aperta dai Feist (dimenticabilissimi) e dagli Overhead (un discreto gruppo locale cresciuto sotto la musica di Jeff Buckley), che hanno, quantomeno, il merito di non fare apparire troppo lontano il vero momento della festa odierna. Mano sul cuore, sguardo tra la folla, Robert Smith apre con un classico da brividi: “Plainsong”, che il pubblico canta (grida!!!) insieme al suo profeta. Di nero vestito, concede ai fan una passerella per il palco, mentre Simon Gallup (che indosserà un berretto per tutta la durata del concerto), Perry Bamonte, Jason Cooper e Roger O’Donnell sono intenti nell’eseguire il brano targato 1989 (dal capolavoro “Disintegration”). Per chi non ama la band, è difficile spiegare come quest’uomo sia capace di scatenare la bolgia più intensa anche in brani (come “Plainsong”, appunto) in cui regna la dolcezza, il sentimento, l’atmosfera ed un generale senso di pace. Se si guardasse il video dello show senza l’audio, il profano potrebbe pensare che gli artisti sul palco stiano eseguendo un brano da far invidia alle band di metallo pesante, tale è l’inferno che si scatena nel pubblico… invece, siamo di fronte ad un brano malinconico e struggente (anche questo è il 'Robert power'). Per “Fascination street”, gli inconvenienti tecnici, che impediscono al leader di eseguire l’assolo di chitarra, non tolgono il buonumore alla band, abile a sdrammatizzare, attraverso una apprezzatissima buona dose di auto ironia. È il momento di tre pezzi dall’ultimo album che il pubblico gradisce, ma che deve ancora assimilare appieno: “Before three”, “The end of the world” (il primo singolo Cure dal 1996), unitamente alla piacevolissima oscura trama di “Anniversary” e, tra esse, la pop song di “High”, tratta dall’album “Wish”. Le primissime file (ahi!, lo confermo), agitatissime dopo “Inbetween days”, costringono Robert, nell’intento di placare gli animi, a pronunciare per due volte la frase “push back please!, push back please!”. E, quasi a voler contribuire ulteriormente ad un ritorno più pacifico del live show, la band snocciola l’intimista e semi acustica “Jupiter crash” (una gradevolissima “ripescata” da “Wild mood swings”), per proseguire con la carezza di “Pictures of you”, nella quale ci godiamo il classico duetto Robert alla chitarra e Simon al basso, durante l’intro strumentale. Il clima torna immediatamente rovente e gli animi si scaldano ulteriormente quando si sentono dapprima “Lullaby” (con Robert che mima lo spiderman), “Just like heaven”, e “Lovesong”, da sempre considerate tra le gemme pop più esaltanti del reportorio smithiano. “Maybe someday”, “I don’t know what’s going on” e “Alt.end” sono ottime canzoni che proseguono il clima festoso della serata. Infine, con “From the edge of the deep green sea”, “Us or them” (collerica) e con la puntuale “Disintegration”, bella e robusta nel suo incedere, il gruppo chiude la prima parte del concerto. Il clima non cambia certo con i “bis”, dove la band prosegue regalando hit insuperabili quali “Three imaginary boys” (una delle esecuzioni meglio riuscite dell’intera serata), e, infine, tre songs da 'Seventeen seconds': “M”, “Play for today” e l’immancabile inno dark di “A forest”. Quest’ultima esecuzione, sebbene scontata, non riesce a non toccare nel profondo il cuoricino del fan, rimanendo un capitolo unico ed un’autentica icona sonora del gruppo. Dopo quasi due ore di spettacolo il gruppo è quasi pronto per l’ultimo “thank you” (o meglio, per l’ultimo “merci”, come dice Robert Smith quando suona in Francia), concludendo un concerto nel quale (questa volta) sono state privilegiate le canzoni più pop del repertorio, a scapito di quelle più oscure ed intimiste, senza perdere, comunque, la consueta magia e la costante seduzione. Al secondo rientro, il pubblico si infiamma per un’ultima volta con un congedo che profuma di passato: “10.15 saturday night” (ovvero la b-side del primissimo singolo “Killing an arab” – Small Wonder 1978), in cui la band suona il celebre brano con grinta, entusiasmo e giovinezza, lasciando al pubblico la possibilità di consumare le residue energie… E noi, quando penseremo ad un sabato sera dei primi di luglio, non ci figureremo un rubinetto che perde (“drip drip drip”), ma ricorderemo un’altra magica notte da sogno. (Gianmario Mattacheo)