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   (2024)

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LOU REED   "Live Parco della Pellerina Torino 11-07-2007"
   (2007)

Nel 1973 Lou Reed pubblica uno dei lavori più importanti della carriera, dando alle stampe “Berlin”, il suo primo concept album che narra la storia di Caroline e di Jim, una coppia americana di tossicodipendenti, trapiantati a Berlino. È passato solamente un anno da quel 1972 che aveva, finalmente, donato la popolarità all’artista newyorkese, dopo che il grande successo gli era scivolato dalle dita prima con i Velvet Underground e poi con il suo esordio solista. “Transformer” ha avuto quel merito e, ancora oggi, rimane un disco fondamentale ed indimenticabile. Tuttavia, è un disco che rappresenta il 'Reed sound' solamente in parte, risultando troppo contaminato dalla produzione patinata del duca bianco David Bowie. “Berlin” è un lavoro molto più sentito (soprattutto nei testi) ed è un disco che riporta Reed alla concezione della sofferenza e del dolore, lidi in cui l’americano si esprime con la più grande ispirazione. Anche per “Berlin”, tuttavia, Lou Reed non rimase completamente soddisfatto. Il disco subì dei tagli da parte della casa discografica (RCA) e lasciò l’artista con un senso di incompiutezza, protrattosi per oltre trentaquattro anni. Il lavoro in studio, inoltre, ha il grosso limite di essere stato inciso senza le riconoscibilissime e sporche chitarre di Reed; un limite non certo da sottovalutare se si considera che le stesse sono, al pari del suo svogliato cantato, un marchio di fabbrica dell’intera sua carriera e delle sue opere. Quello di stasera è, pertanto, l’occasione per questo grande artista di perfezionare una delle opere rock più osannate dalla critica musicale e di suonare il tutto nella cornice del parco della Pellerina di Torino. Originariamente lo spettacolo si sarebbe dovuto tenere presso la magnifica Reggia di Venaria Reale (dimora reale sabauda), trasferito poi alla “Pellerina”. L’organizzazione del Traffic Free Festival di Torino non si è mai risparmiata nell’invitare nomi di primissimo piano della scena internazionale. In alcuni casi, infatti, taluni di essi hanno rappresentato il vero e proprio evento musicale dell’anno, almeno per ciò che concerne gli eventi concertistici italiani. È così il caso della reunion degli Stooges di Iggy Pop (vedi scheda recensione concerto) o, ancora, il concerto dei New Order, anticipati sul palco da Tony Wilson, fondatore della Factory Records. Questo acume organizzativo non poteva, pertanto, rimanere insensibile alla scelta di Lou Reed di suonare in un unico show il sopraccitato capolavoro del 1973; la grandezza del personaggio, la particolarità dell’evento e la gratuità dello stesso non potevano, di conseguenza, che portare una folla oceanica al sempre vivo parco torinese. Folla che, stando alle indiscrezioni dei giornali, dovrebbe aggirarsi intorno ai 20.000 spettatori, i quali si presentano alquanto eterogenei per genere e tipo (si passa dal ragazzo dei centri sociali, al figlio di papà, alla famiglia al gran completo), tutti insieme per vedere all’opera il newyorkese raccontare le tristi (sad song) vicende degli emarginati protagonisti di “Berlin”. Intorno alle 22.40, entrano in scena i musicisti e ciò che constatiamo è che sono davvero in tanti. Ad accompagnare Lou Reed troviamo, oltre ai fidati Fernando Saunders (basso chitarra e cori) e Tony Thunder Smith (batteria), il coro del New London Children Choir (una decina di ragazze con una veste bianca, collocate dietro al palco) ed una piccola orchestra di fiati e archi che dovrà riproporre esattamente le atmosfere del blasonato lavoro in studio. Un progetto, neanche a dirlo, estremamente ambizioso che, a giudicare dalle persone intervenute, ha centrato in pieno l’obiettivo. Lou Reed si presenta a braccia scoperte con un gilet di nera pelle e la prima cosa che ci preme osservare è se impugna la sua chitarra. C’è: partiamo decisamente bene. La scaletta del concerto non è nient’altro che la perfetta riproduzione del disco che abbiamo imparato ad apprezzare in questi anni. Tuttavia, le versioni sono decisamente dilatate ed allungate senza (comunque) che ne sia stravolto il senso melodico della versione originale. In ogni brano (è questa in effetti la vera marcia in più rispetto al disco in studio) Reed è abile chitarrista, mentre crea distorsioni e feedback che si intersecano un po’ con l’orchestra, un po’ con le coriste ed un po’ con il pubblico partecipante. Ci colpisce, inoltre, la posizione centrale di Lou Reed. È lui a dettare (a tutti) i tempi ed i cambi di ritmo e, praticamente, funge da provato direttore d’orchestra. La sua voce è pulita e chiara intanto che le tristi vicende di Jim e Caroline volgono al termine. In diverse occasioni alziamo gli occhi al cielo per osservare gli aerei atterrare nel vicino aeroporto di Caselle. La fantasia ci porta lontano ed entriamo ancora un po’ più dentro le liriche di Reed, immaginandoci che uno di quegli aerei stia arrivando proprio da Berlino… quante storie da raccontare e quanti Jim e Caroline da piangere. “Sad song” chiude (come da copione) lo spettacolo, in una versione talmente ingrandita che pare non finire mai. L’inevitabile plauso generale è la degna conseguenza per quanto assistito, quando Lou Reed si appresta a salutare e presentare i suoi compagni di viaggio. Tra i bis, Reed concede un po’ di zucchero al suo pubblico, dapprima con “Sweet Jane”, poi con “Satellite of love” (non particolarmente incisiva) e, infine con “Walk on the wild side”. Aspettando la futura (e certa) uscita discografica che celebrerà “Lou Reed plays Berlin”, noi ci ricorderemo di questa serata e di questo show, eseguito da autentici professionisti, con una risposta del pubblico veramente sorprendente. (Gianmario Mattacheo & Silvia Campese)