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JUDAS PRIEST "Live Mazda Palace Milano 10-04-2005 "
(2005)
Poche storie: il metal sono loro, i Judas Priest. L'hanno inventato, l'hanno canonizzato, gli hanno dato un'immagine, un'iconografia e, soprattutto, hanno posto a capo di questo universo un dio: il Metal God, Rob Halford. Negli ultimi anni si erano un po' persi per strada: da una parte una band che, malgrado avesse trovato un buon cantante come sostituto, era stata privata di quel ricettacolo di magnetismo e magniloquenza che era Rob Halford; e dall'altra un immenso cantante che campava all'ombra del suo passato, accompagnato da un paio di chitarristi indegni. Chiunque avrebbe capito che la reunion sarebbe stata l'unica soluzione possibile e, ovviamente, se ne sono resi conto anche loro. Così, vuoi per soldi, vuoi per nostalgia, il Metal God rimane folgorato sulla via di Damasco e ritorna all'ovile per riprendere il trono che gli spetta. Si poteva forse mancare alla celebrazione live di questo evento? Ovviamente no. La serata inizia con la performance dei Domine, chiamati a sostituire i Paradise Lost, che ricevono una buona accoglienza dal parte del pubblico. Nella mezz'ora concessa loro, la band di Morby ripercorre a ritroso la propria carriera con una manciata di brani: da "Battle Gods" a "Dragonlord", passando per la lunga "The Aquilonia Suite", "The Hurricane Master" e "Thunderstorm". Terminato il concerto dei Domine, inizia l'attesa per gli headliner, che si conclude alle 21 precise quando le luci si spengono e dagli amplificatori vengono sparate le note di "The Hellion" seguita, ovviamente, dalla classicissima "Electric Eye". La scenografia dei Priest è la stessa usata per il Gods Of Metal dell'anno scorso: una scalinata d'argento su cui domina la batteria di Scott Travis e due pedane rialzate, sostenute da colonne modellate come il simbolo della band. Sullo sfondo un enorme 'occhio elettrico' che, nei pochi secondi prima dell'inizio del concerto, ci aveva scrutati con un fascio di luce rossa. La band è in forma e carica, Halford compare alle spalle della batteria, avvolto in un impermeabile borchiato e, completamente immobile, canta con energia e potenza invidiabili. E' la volta di "Metal Gods", un grandioso manifesto autocelebrativo scandito da tutto il pubblico, dove il cantante continua a catturare l'attenzione con il suo incedere lento e maestoso. A questo punto non si possono non spendere due parole proprio sul grande carisma di Rob sul palco: il suo atteggiamento, sempre solenne, sempre misurato, con quel piglio di superiorità, lo rende uno dei più grandi frontman della storia del metal. Il Metal God comanda e noi eseguiamo. Non è lì sul palco per noi, le nostre ovazioni gli sono dovute; sembra quasi che, nella sua incredibile magnanimità, lui ci stia 'concedendo' di presenziare alla sua celebrazione. Giganteggia e domina la scena praticamente da solo. Dopo la bella "Riding On The Winds" si passa a "The Ripper", guidata dalle chitarre taglienti del duo Tipton/Downing e dalla voce maligna di Rob. E' il momento per il Metal God di svestire i panni del metallaro borchiato e di indossare una strana, lunga vestaglia da camera, per una sentita versione di "A Touch Of Evil", in cui il tema dell'amato/a vampiro che prosciuga la vittima viene reso al meglio dal cantato espressivo e sofferto. Le luci si spengono e alle spalle del palco viene steso un fondale che ritrae la copertina dell'ultimo album "Angel Of Retribution", e da una pedana appare Halford, che stavolta sfoggia un impermeabile argentato che lo fa risplendere sotto i riflettori, a braccia aperte, mentre ai suoi piedi bruciano delle finte fiamme. Viene quindi omaggiato il nuovo lavoro con l'esecuzione di "Judas Rising" e "Revolution". La resa live dei nuovi pezzi è davvero ottima e conferma lo stato di grazia della band, che vede il suo unico neo nella prestazione di Scott Travis, un batterista sicuramente tecnico, che manca però di quel groove, di quel tocco, che possa renderlo riconoscibile. Questo si sente particolarmente nei pezzi più catchy, come per esempio nella successiva "Hot Rockin'". Divertente, invece, la stecca che prende la band su "Breaking The Law": in questo brano, infatti, i quattro musicisti sono soliti affiancarsi per fare un giochino in cui ognuno suona lo strumento del suo compagno. Sfortunatamente Halford, che avrebbe dovuto suonare il riff sulla chitarra di Tipton, sbaglia l'attacco. A seguire "I'm A Rocker", che non mi ha particolarmente entusiasmato, troviamo "Diamonds And Rust", la splendida cover di Joan Baez, che viene interpretata da Rob in maniera esemplare. Con grande sentimento ed espressività, si cimenta in una splendida versione acustica che convince tutti i presenti e strappa un applauso a tutta la platea. Si ritorna al nuovo album con la possente "Deal With The Devil", seguita dalla sempre magnifica "Beyond The Realms Of Death", dove Rob è costretto a fare qualche concessione all'età, abbassandola in più di un punto, dosando così la voce senza rischiare eccessivamente. Dopo un altro paio di brani ("Turbo Lover" e "Hellrider"), arriviamo agli albori della storia del Prete Di Giuda, con la splendida "Victim Of Changes", che si conferma un capolavoro assoluto, nonostante l'intermezzo solista di Tipton piuttosto noioso e inutile, seguita da "The Green Manalishi". Siamo ormai in chiusura quando Halford introduce "Painkiller". Il palazzetto esplode in un boato di approvazione, confermando come, in realtà, ci sia una fetta consistente di pubblico che osanna principalmente i Priest di quel periodo. Non che "Painkiller" sia un brutto brano ma, vista la presenza di così tanti classici intramontabili di levatura ben maggiore, tutto l'entusiasmo mostrato per questa canzone mi sembra sicuramente eccessivo. E' il momento dei bis e lo spettacolo riprende con Rod Halford che sale sul palco con la moto per cantare "Hell Bent For Leather", completamente rivestito di pelle e borchie, summa totale dell'universo heavy metal. Il finale è affidato ad altri due classici di sicuro effetto, "Living After Midnight" e "You've Got Another Thing Coming", che concludono questa ottima serata di heavy metal. La band saluta e raccoglie le meritate ovazioni, visibilmente soddisfatta, rimanendo per diversi secondi sul palco in contemplazione della folla urlante. Da parte nostra, possiamo urlare ancora una volta "The Priest is back!", e possiamo farlo con assoluta soddisfazione. (Danny Boodman)