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THE CURE "Live Teatro Antico Taormina 20-08-2005"
(2005)
Il giorno in cui ti appresti a vedere il tuo idolo suonare in un luogo tra i più seducenti del globo, sei conscio che quel giorno rappresenterà davvero qualcosa di speciale e di indimenticabile. Solo qualche ora prima ci trovavamo in Svizzera, all’interno dell’affascinante anfiteatro romano di Avenches, per assistere ad una data del tour europeo dei Cure di Robert Smith (vedi relativa recensione concerto). Ora (e per le medesime ragioni), dopo un estenuante ed interminabile viaggio, “sbarchiamo” nell’incantevole Sicilia e nel suo fiore all’occhiello Taormina, da sempre irrinunciabile meta turistica dell’isola. E, in questo piccolo paradiso, la band inglese si appresta a suonare in quello che probabilmente è l’orgoglio della cittadina siciliana. Beh, è arrivato il momento di prendere la funivia per raggiungere il cuore della città e proseguire ancora più in alto; finalmente siamo alle porte del Teatro Antico. Di origine ellenistica (sotto i Romani divenne un vero e proprio anfiteatro per gli spettacoli gladiatori), risalente al III secolo A.C., il Teatro Antico non è soltanto un pezzo del patrimonio archeologico di Taormina, ma è anche un luogo d’impareggiabile bellezza panoramica. A strapiombo sul mare, l’occhio spazia dalla baia di Naxos, alle coste calabre, all’Etna, a Castelmola. Unico. Alle ore 21.00 i Cure fanno il loro ingresso; ci sono Robert Smith, Simon Gallup, Porl Thompson (graditissimo il suo ritorno) e Jason Cooper. “Veramente non so che cosa ci sto facendo qui”, canta il leader mentre rompe gli indugi con “Open”, rabbioso brano di “Wish”, spesso utilizzato per la sua efficacia quale apripista dei concerti. “Fascination street” (sempre e da sempre accolta con entusiasmo) precede “A strange day”. E mentre ascoltiamo il formidabile brano di “Pornography”, non possiamo fare a meno di ripensare al testo della canzone e guardare là in fondo al mare qualcuno che se ne è andato: “mi muovo lentamente attraverso le onde che affogano…andarsene in uno strano giorno”. Si prosegue con la recente “Alt.end” (pop song eccellente), con “The blood”, in cui Robert Smith e Porl Thompson sembrano dar vita ad una gara tra chitarre acustiche, ed ancora con “The end of the world”, primo singolo del 2004. La risata priva di allegria di “Shake dog shake” anticipa uno dei brani meglio riusciti della serata, mentre “A night like this” e “Push” (pubblico in estasi) rappresentano il rock che davvero ci voleva nella cornice del Teatro Antico. La gemma pop di “Just like heaven” è un classico che non può mancare, mentre “A letter to Elise” regala una storia romantica, particolarmente gradita. La band ripesca “Never enough” (rock song del 1990) ed il pubblico si fa capire bene nel ritornello quando canta a squarciagola che non ne ha ancora abbastanza. Il messaggio è stato colto al volo. Prende forma, allora, “The figurehead”, uno dei brani più devastanti del gruppo ed uno di quelli meglio rappresentativi della musica prodotta da Smith e soci… “non sarò mai più puro”. Per l’occasione Robert Smith cambia il testo e, al posto di “american girls”, sostituisce un “sicilian girls”. Il pubblico apprezza e sorride: sì Robert, sei grande anche per questo. Per il momento rock del concerto partono “From the edge of the deep green sea”, in cui si alzano le braccia al cielo (“put your hands in the sky), “Signal to noise” e l’urlo del bambino di “Baby scream”. “One hundred years” è l’immancabile inno-Cure fatto di rabbia, ribellione, tristezza e sofferenza. Robert Smith si accortoccia sempre di più sulla chitarra elettrica, Porl Thompson pare avere le dita che si muovono ad una velocità doppia rispetto al normale e Simon Gallup (braccia e bicipiti in evidenza) salta come un ragazzino; non è possibile immaginare qualcosa di migliore di quello a cui stiamo assistendo. “Shiver and shake” e “End” chiudono la prima parte dello show e Robert Smith canta “Please stop loving me, I’m none of this things”. Già, come se fosse facile! Il rientro è tutto per “Seventeen seconds”: “At night”, “M”, “Play for today” sono tre gioie immortali che anticipano “A forest”, bella come sempre, ipnotica, suggestiva, dolce, malinconica. “A forest”, appunto. Al secondo rientro, invece, c’è spazio per due brani da “Kiss me kiss me kiss me”. Il bacio di “The kiss” è acido e duro come sempre (“I wish you were dead”) e “If only tonight we could sleep” è poesia pura. Poesia. Ancora un rientro. E, questa volta, è un ingresso pop con “Inbetween days”, “Friday I’m in love” e “Boys don’t cry”. Ormai è una festa totale e collettiva. Un concerto (anche un grande show, per intenderci) sarebbe già finito da un pezzo, ma dopo l’ennesimo “Thank you” pronunciato da Robert Smith, arriva il quarto e ultimo rientro capace di fare toccare vette ancora più alte. “Faith” non poteva certo mancare tra le canzoni di questa serata. Si osserva Robert Smith cantare, si chiudono gli occhi, si riaprono gli occhi e si osserva il gruppo sullo sfondo del mare siciliano. Mancano solo le lacrime… “With nothing left but faith”. “Grinding halt” e “10.15 “Saturday night” (eseguite in maniera veloce ed estremamente giovane) ci fanno tornare alla realtà, ma è con l’ultimo pezzo che Robert Smith concede il regalo finale. Parte il conosciutissimo riff di chitarra di “Killing an arab”. Da non crederci (ma da quanto non veniva eseguita...). E, nel ritornello, Mr.Cure cambia la strofa cantando dapprima “Loving an arab” e, successivamente, “Kissing an arab”. Siamo di fronte ad un genio musicale e di sensibilità. È giusto ricordare la forza di queste parole, pronunciate proprio da un londinese a pochi giorni dagli attacchi terroristici che hanno visto la City colpita e ferita nel cuore della Tube. Parole che, da sole, valgono più di qualsiasi altro comportamento e di qualsiasi riflessione retorica al riguardo. Come si diceva sopra, sei grande anche per questo! Per ogni fan della band, quello di Taormina rimane, senza dubbio, uno dei migliori concerti che i Cure abbiano fatto nel corso della loro splendida carriera. Qualcuno avrà la propria idea al riguardo e la propria preferenza, ma è innegabile che Taormina si dovrà considerare un episodio straordinario. Noi conserveremo il ricordo di questa giornata fatta di gioie ed emozioni, mettendo da parte, soprattutto, l’immagine di un Robert Smith che, chiaramente colpito ed ispirato dalla magia del luogo, si attardava nel proseguire lo show, inventandosi un bis dietro l’altro, avvertendo l’unicità e la grandezza del momento. (Gianmario Mattacheo - foto by Silvia Campese)