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TUXEDOMOON   "Live Transilvania Live Milano 23-02-2007 "
   (2007)

Per una delle due Tappe italiane del tour dei Tuxedomoon, ci spostiamo a Milano, nell’ormai celebre Transilvania Live, pronti ad assistere ad una performance degli stagionati (ma ancor vigorosi) musicisti di San Francisco. Il Transilvania Live è probabilmente il più noto degli Horror Cafè che, soprattutto nella sua sede milanese, ha saputo organizzare nel corso degli anni concerti davvero sorprendenti, soprattutto legati alla musica dark. Per citarne solo alcuni: The Mission, Cranes, Echo and The Bunnymen, Clan of Xymox, Christian Death e moltissimi altri... ed oggi i Tuxedomoon. I Tuxedomoon si fanno conoscere sul finire degli anni settanta per una serie di singoli e mini album che si rifanno alla musica punk (il periodo era quello) e, successivamente, al post punk decadente ed alla wave, il tutto, però, caratterizzato da una tendenza alla sperimentazione ed all’avanguardia che non li avrebbe mai abbandonati. Se si eccettua l’ultima produzione (quel “Bardo Hotel”, colonna sonora francamente un po’ monotona e senza veri sussulti), l’ultimo album in studio degli americani è “Cabin in the Sky” del 2004 che rimane un’autentica perla di musica sperimentale e che sarà il lavoro dal quale Blaine L. Reininger, Steve Brown, Peter Principle e Luc Van Lieshout attingeranno con più frequenza nel corso della serata. Una prima nota dolente riguarda l’assenza di Georgios Kakanakis, l’artista greco che si occupava dell’aspetto multimediale e visivo della band e che è il responsabile della regia del già citato road movie “Bardo Hotel”. Come accadde al Teatro Ciak di Milano il 20/03/06 quando Georgios Kakanakis proiettò sullo schermo e in tempo reale, attraverso una telecamera ad alta definizione, immagini catturate da fotografie e da materiali diversi (es: foglio stropicciato di alluminio) che interpretavano al meglio la musica ascoltata dal pubblico. La visione del concerto diventava quasi un viaggio onirico e lo schermo finiva per rubare la scena agli stessi musicisti, tanto era la bravura del greco. A ragione doveva essere considerato come parte integrante dello spettacolo. Oggi, purtroppo, le ridotte dimensioni del locale hanno escluso soluzioni analoghe, lasciando spazio esclusivamente alla musica. Un lunghissimo intro strumentale è il benvenuto al (piuttosto sparuto) pubblico milanese. Gli spettatori sono alquanto variegati; si passa dagli “irriducibili dei Tuxedomoon” che seguono il gruppo fin dagli anni ’80 (alcuni di essi mi raccontano concerti visti due decadi fa, quando nella band c’era ancora Winston Tong) e si arriva ai giovanissimi che hanno apprezzato gli ultimi lavori del dopo reunion. I quattro sono, fin da subito, ben coordinati fra loro e si fanno perdonare la lunga attesa con un’apertura non irruente nella quale l’atmosfera cresce piano piano. Ma è con “Luther Blisset” che si inizia a far muovere i corpi e le teste degli spettatori. Reininger al violino e l’ossessivo basso di Principle scandiscono il tempo e Brown ci ricorda che “…chi si ferma è perduto”. E loro non si fermano affatto, proponendo brani tratti da “Cabin in the sky”, intervallati ad alcune nuove canzoni che Blaine Reininger annuncia essere un’anteprima del prossimo lavoro in studio. Tra queste segnaliamo “Big Olive” che Reininger dichiara essere un omaggio ad Atene, città nella quale risiede. La chitarra elettrica di Reininger è assolutamente efficace; non virtuosa ma capace di spezzare il ritmo ed emozionare e Steve Brown (praticamente in ogni pezzo) è abile a passare dalle tastiere ai fiati, durante l’esecuzione stessa dei brani. I due, inoltre, si alternano alla voce: anche in questo caso possiamo affermare che il loro cantato non è trascendentale, ma è ciò che rende al meglio in parole la musica dei Tuxedomoon. Una nota doverosa anche per Peter Principle e per il suo basso insistente che, monolitico e puntuale come un orologio svizzero, riesce a tenere da solo tutta la sessione ritmica. Riff perenni ed uguali a se stessi, ma dall’efficacia incalcolabile: senza di lui l’intero meccanismo si sgretolerebbe. Mentre Reininger si diletta con il suo italiano e scherza con il pubblico, si susseguono i brani. Un’atmosfera davvero particolare (suggestione e malinconia) per “Home away” e, ancora, grande partecipazione da parte del pubblico per “Baron Brown” e “Annuncialto”. Quando giunge l’ora dei saluti, il caloroso pubblico invita i quattro musicisti a concedere ancora minuti di classe. La risposta c’è e, dopo un’ora e mezzo di show ad altissimi livelli, arriva il congedo. Non arrivano alcuni hit richiesti dal pubblico: “No tears” (soprattutto), “Desire”, per esempio, avrebbero dato ancora qualcosa di più al concerto, tuttavia condotto con grande maestria e, sinceramente, avvincente. (Gianmario Mattacheo)