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recensioni concerti

NICK CAVE & THE BAD SEEDS   "Live Parco della Pellerina Torino 07-07-2001 "
   (2001)

Il 7 luglio del 2001, ci rechiamo all’Extrafestival per assistere ad un nuovo concerto di Nick Cave & The Bad Seeds, all’interno della bellissima cornice del Parco della Pellerina di Torino. Il nome è di quelli che scottano. Nick Cave, l’australiano ex tossicodipendente (ma quante sono state le overdose che ha superato?), ex leader degli avanguardisti Birthday Party e, dal 1984, autore di una brillante carriera solista, unitamente agli amici musicisti che ormai tutti chiamano Bad Seeds. Sì, proprio lui sbarca nel capoluogo piemontese, portando in giro la sua ultima fatica discografica “No more shall we part”. Dopo avere guadagnato (senza troppa fatica) una postazione decente, siamo costretti ad attendere seduti l’inizio dello show. I membri della sicurezza, inoltre, indicano ai ragazzi delle prime file che possono guardare il concerto vicino alle transenne purchè continuino a rimanere seduti anche dopo l’inizio dello show (disturberebbe non ho capito bene cosa). Come inizio davvero grottesco. Pensare di assistere ad un concerto rock accovacciati come su una turca; proprio niente male. Pochi preamboli; l’inizio è semplicemente travolgente (anche se tutti sono ancora sulla turca). “Stagger Lee”, tratta da “Murder Ballads” è qualcosa che definire potente non le rende adeguatamente ragione. Sul finire della canzone di apertura, inoltre, c’è spazio per un po’ di magia, quando il chitarrista Blixa Bargeld (già leader dei berlinesi Einstuerzende Neubauten) libera un urlo atroce che paralizza tutti i presenti. È come se fossimo stati tutti teletrasportati, con una macchina del tempo, nel 1969, quando l’urlo schizoide di Roger Waters dei Pink Floyd veniva impresso nel capolavoro “Careful with that axe eugene”, all’interno del live album di “Ummagumma”. Tutti i musicisti sono elegantissimi nei loro pantaloni e nelle loro giacche nere, mentre Nick Cave attacca con “Do you love me?”, il secondo brano della serata. Da questo momento inizia il dialogo personale tra il cantante ed il pubblico: lui a domandare “mi amate?” ed i suoi fan a replicare con l’inevitabile risposta. A conclusione del brano, Nick Cave compie un eloquente gesto della mano (come a dire “alzatevi!”). I ragazzi delle prime file non attendono altro e, abbandonata la turca, aggrediscono la transenna, avvicinandosi ai musicisti. Nessuna replica può essere concessa al personale della sicurezza. Da questo momento il concerto non conosce interruzioni, mentre le note canzoni vengono cantate in coro dai fedelissimi. Nicola Caverna alterna brani ripescati un po’ dappertutto. Ci piace ricordare “Red right hand”, le cui campane sono accompagnate da un boato di gioia da parte di tutti i presenti, o l’irruenta “Papa won’t leave you Harry” (tratta da 'Henry’s dream' del 1992) che, probabilmente, rimane l’esecuzione migliore della serata. Cave, con il suo minaccioso dito indice, punta un po’ qua ed un po’ là nel pubblico. In realtà il suo non è un canto; è una sorta di sermone che concede ai suoi fedeli. Dall’ultimo lavoro vengono eseguiti alcuni ottimi pezzi, e tra essi spicca la dolce “God is on the house”. Al rientro c’è la dolcezza per antonomasia del Cave sound: “Into my arms”. Cave, da solo al piano riesce a commuovere, mentre i Bad Seeds attendono il loro turno per il gran finale. Ed un concerto di Cave non può essere tale se non c’è il suo cavallo di battaglia. “Mercy seat”. Il brano che sta all’australiano come “A forest” sta ai Cure, o “Satisfaction” ai Rolling Stones. Tutti i Bad Seeds sono regolati come un orologio (compreso il nuovo esuberante violinista Warren Ellis) e Cave è sempre più minaccioso con il suo dito perennemente puntato sul pubblico e con la sigaretta perennemente accesa. “The weeping song” è anticipata dal canto di Bargeld (che interpreta il padre di Cave), mentre in “The ship song” i Bad Seeds perdono il passo, andando un po’ ovunque, ma “salvati” dal basso di Casey, che riesce a ricucire gli strappi. Il finale è per “Saint Huck” gioiello sporco e inquieto del primo Nick Cave solista; un ultimo decadente regalo tratto da quel “From her to eternity” del 1984 che segnò l’inizio del suo percorso creativo e infernale. (Silvia Campese & Gianmario Mattacheo)