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VAMPIRE WEEKEND   "Live Adidas Arena Parigi 13-12-24 "
   (2024)

Freschi della pubblicazione, lo scorso aprile, del loro quinto disco in studio, l’eccezionale Only God Was Above Us, che stanno portando in tour dalla primavera di quest’anno prima negli Stati Uniti e ora in Europa, i Vampire Weekend di Ezra Koenig sbarcano all’Adidas Arena di Parigi nel penultimo stop di questo loro passaggio nel Vecchio Continente. Sul palco sette elementi pieni di grinta, talento e voglia di divertirsi e di divertire stupiscono e conquistano il pubblico francese e regalano un live di qualità spaziale.

Versatili, grintosi, pieni di voglia di divertirsi e di divertire, spinti da un entusiasmo che li fa sembrare un gruppo appena formatosi ma al tempo stesso maturi a tal punto da poter creare e gestire uno spettacolo estremamente complesso dal punto di vista sia musicale che “fisico”, i Vampire Weekend eseguono un set di due ore e mezza – una rarità quasi assoluta nel panorama contemporaneo – senza una sbavatura, un'indecisione o un momento di calo, dando vita a una serata speciale e ribadendo ancora una volta, per chi avesse bisogno di conferme, che siamo di fronte a una delle band più rilevanti degli ultimi vent’anni e anche a una delle più scoppiettanti ed entusiasmanti dal vivo.

Sono proprio l’intesa tra i membri del gruppo e la convinzione con cui Ezra interagisce col pubblico – con davanti a sé un palazzetto sold out – e interpreta i suoi brani, credendo in ciò che canta e godendo lui per primo delle sperimentazioni sonore così variegate cui lui e la sua band vanno incontro sin dal loro primo disco, a rendere l’esperienza eccellente. Il concerto inizia con il gruppo che si compone pian piano. Sale sul palco Ezra che inizia a modulare alcuni accordi sulla sua chitarra elettrica e a cantare “Hold You Now”. Pochi secondi dopo salgono sul palco il batterista Chris Tomson e il bassista Chris Baio: sono di fronte ai nostri occhi i Vampire delle origini, il nucleo fondante del progetto, che è sopravvissuto all’uscita dal gruppo di Rostam poco meno di dieci anni fa, e si muovono e si fondono tra loro con una convinzione stratosferica mentre eseguono prima “Holiday”, furiosa e lacerante, e poi la chicca, non così frequente nei set del gruppo, “Boston”, b-side dei primi anni di carriera della band, travolgente e spigolosa. Dietro di loro campeggia un tendaggio nero con su scritto a caratteri cubitali il nome del gruppo.

I tre controllano pienamente la situazione. A un inizio scoppiettante ma intimo seguono alcuni secondi di pausa in cui Ezra parla col pubblico in un discreto francese presentando l’ultima fatica discografica dei Vampire. Inizia così una sezione in cui vengono eseguite di fila tre tracce di Only God. Durante la prima, “Ice Cream Piano”, la tenda dietro i tre viene improvvisamente abbattuta e il resto della band, altri quattro elementi si aggiungono, componendo teatralmente la lineup di sette componenti che ha caratterizzato questo intero tour. Seguono, eseguite con altrettante precisione e grazia, sia nell’esecuzione sia nell’amalgama creati dalla band, “Classical” e “Connect”, due dei momenti più coraggiosi e al di là di qualsiasi genere dello show.

Le esecuzioni dei brani tratti dall’ultimo lavoro del gruppo sono particolarmente efficaci e sentite. Koenig e soci maneggiano le asperità più ostiche di questi brani, aspetti che pretendono da parte del pubblico una maggiore attenzione e concentrazione, con cura e con devozione, occupando ogni angolo dei pezzi con il cuore e con la mente. Più avanti nel set spiccano le performance di “Pravda” e di “Mary Boone”, diamanti cantautorali nei quali la melodia ipnotica e quasi soprannaturale e le liriche profonde e ingegnose lasciano quasi col fiato sospeso gli spettatori. Nel corso della seconda il pubblico intero rispetta un silenzio a tratti religioso mentre Ezra si schermisce con una specie di spada laser di un bianco accecante e si muove di soppiatto sul palco, prima nella parte retrostante di esso e poi avvicinandosi di volta in volta ad alcuni membri della band.

A impreziosire il sound del gruppo sono gli interventi del sax e del violino, che in capitoli stratificati e complessi come “Connect” e “Sympathy” emergono in tutta la loro potenza e bellezza. È anche questo sound di così ampio respiro e scrupolosamente studiato che rende levigati e avvolgenti il pop-rock – in realtà è impossibile recintare queste canzoni entro un qualsiasi genere – di “Gen-X Cops” e di “Prep School Gangsters” e il cantautorato folk di “Capricorn” e di “Hope”. Quest’ultimo è il brano che chiude il set regolare del gruppo: venticinquesimo pezzo in scaletta, inizia con Ezra che spiega al pubblico che si tratta di un brano folk e che analizza rapidamente il giro di accordi che forma il chorus e si conclude, dopo una lunghissima coda strumentale, con gli elementi del gruppo che escono pian piano, uno dopo l’altro, lasciando infine soltanto il bassista a chiudere il pezzo rallentandone le note finali.

In mezzo, nel set regolare, c’è però molto altro, e tutto di qualità eccelsa. La band si diverte, danzando gioiosa tra le sue varie epoche, riuscendo ad attualizzare e al tempo stesso a non snaturare i pezzi degli album precedenti. Emergono “Step”, nel quale un arrangiamento sublime e una performance vocale estremamente solida rendono il momento quasi sacro, il mare mosso e limpido di alcuni classici tratti dal disco omonimo d’esordio come “Campus”, “Oxford Comma” ed “A-Punk”, accolti, soprattutto quest’ultima, con un boato clamoroso del pubblico, così come viene accolta da un clamore pazzesco “Diane Young”, capitolo travolgente ed evocativo tratto da Modern Vampires of the City, e in mezzo anche sintetici episodi elettrizzanti tratti da Contra, il secondo disco del gruppo, come “Cousins” e “White Sky”.

Svariati tratti dello show sono dedicati a Father of the Bride, uscito cinque anni fa, il disco più ambizioso – alla pari dell’ultimo –, caotico e multiforme della band, che dimostra di apprezzarlo ancora profondamente. Il funky filosofico e pungente di “Sympathy” si dilata enormemente in una psichedelia visiva e sonora nebbiosa e straniante. Il pezzo raggiunge gli otto minuti di durata e si collega senza soluzioni di continuità alla cover degli SBTRKT “New Dorp, New York”, che mantiene la consistenza musicale e scenica fumosa e intangibile del pezzo appena precedente e durante la quale Ezra ci delizia con un breve solo di sax. Luminose e raggianti nella loro ambigua natura e nel loro esistere in bilico tra gioia fiammante e cupa nostalgia sono anche “Unbearably White” e “Harmony Hall”, che vengono interpretate magistralmente da Koenig e dal gruppo. È innegabile che la magmatica intesa tra i membri del gruppo sia il collante e il maggior punto di forza dello spettacolo, ma senza la qualità delle canzoni composte da Koenig e senza le sue emozionali e vivide interpretazioni il gruppo stesso non esisterebbe.

Dopo il set regolare, terminati gli appena due minuti di pausa, la band rientra per dar vita a quella che è ormai una consuetudine consolidata e apprezzata enormemente dai membri della band e dal pubblico, ossia uno spazio di circa venti minuti in cui il gruppo si diverte a eseguire le cover – il gioco prevede che vengano richiesti soltanto brani di altri artisti – che gli spettatori scrivono sul proprio smartphone o su un foglio. Tra impegno testardo e spontanee risate, il gruppo propone spezzoni di una dozzina di brani tra cui “505” degli Arctic Monkeys, più o meno riuscita, una fedele versione di “Common People” dei Pulp, una coraggiosa ma precaria “Paris 1919” di John Cale, una tempestosa e frenetica “Born to Run” di Bruce Springsteen, una sentita e discreta “No Surprises” dei Radiohead” e una infuocata “It’s All Coming Back to Me Now” dei System of a Down con il pubblico in visibilio. Koenig accetta di rompere le regole del gioco solo una volta, per eseguire una breve parte di “The Kids Don’t Stand a Chance”, tratta dall’album d’esordio, perché richiesta da un fan venuto a Parigi dal New Jersey. Oltre a questi frammenti non sono mancati spezzoni di pezzi di Phoenix, Cher e Céline Dion e un accenno al classico “Les Champs Élysées”. Dopo questi divertentissimi e babelici venti minuti Koenig e soci salutano Parigi con una sfavillante versione di “Walcott”, uno dei classici più rappresentativi dell’idea stessa che i Vampire hanno della musica, dell’arte in generale e del piacere. Noi non possiamo che ringraziarli mentre attendiamo con curiosità quale sarà il prossimo percorso che intraprenderanno. (Samuele Conficoni)