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ELIO E LE STORIE TESE "Live Mattorosso Festival Montebelluna TV 13-07-24"
   (2024)


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   (2024)

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ELIO E LE STORIE TESE   "Live Mattorosso Festival Montebelluna TV 13-07-24"
   (2024)

Chi ha già visto un concerto di Elio e le Storie Tese, si troverà a casa, leggendo queste righe. Perché il cosiddetto “Ritorno Sgradito” (così il simpatico complessino ha deciso di definire il suo tour attuale), non è né più né meno che quello che le fave ben conoscono: Elio che fa finta di litigare con gli altri (soprattutto Faso in questo caso), l'uscita a concerto quasi finito, per poi tornare e suonare “Tapparella”, gli intermezzi di cabaret, spesso guidati da Vittorio Cosma. Un rito che torna dopo la pausa, sostanzialmente inalterato.

Una novità simpatica è arrivata dal leggendario bassista Faso, di cui come ben sappiamo, la sua abilità alle corde è pari solo alla sua instancabile capacità di sparare cazzate, e stavolta il racconto era incentrato sul fatto che Christian Meyer è stato sostituito da due giovani batteristi e percussionisti: Paolo Rubboli e Riccardo Marchese. (Lasciatemi sottolineare: per sostituire Meyer, ce ne son voluti due)! Comunque, Faso ha imbastito un esilarante teatrino (non voglio spoilerarlo, andate a vederli, cribbio) sul loro conto, creando non pochi imbarazzi (voluti) a Elio. Insomma, più che mai il loro show è anche teatro. E non c'è stato un momento di noia (a parte per il sottoscritto, non mi fucilate, quando hanno suonato “Storia di un bellimbusto”. Non l'ho mai digerita, mi sembra una canzone fin troppo “normale” e anonima per i loro standard; potrebbe essere di chiunque).

La scaletta era prevalentemente composta da classici, Bellimbusto a parte; anche “La Terra dei cachi”. Presenti ovviamente le canzoni obbligatorie, come “Il vitello dai piedi di balsa” e “Supergiovane”, con annessi travestimenti di Mangoni. “Servi della gleba”, “Gimmi I.”, ma anche la rara “Valzer transgenico”, “La follia della donna” e una versione accorciata di “Cameroon”, proveniente dal loro album “Figgatta de Blanc”, che per quanto fosse l'ultimo atto di un gruppo stanco, conteneva comunque alcune perle (anzi, peerle) come appunto questa canzone afro, di grande difficoltà tecnica e assoluta efficacia dal vivo. E “Urna” nella versione funky, che, crescendo, effettivamente apprezzo di più della versione metal. Di grande effetto l'introduzione di “Supergiovane”, fatta da Faso sopra il suo assolo blues, e come sempre tutti gli assoli di chitarra del buon Cesareo, costretto a rimanere seduto per tutta l'esibizione, per le sue note condizioni fisiche. Nulla da dire sulla voce di Paola Folli e Jantoman alle tastiere, sempre impeccabili. Mi manca da morire Rocco Tanica, mio vero mentore nel gruppo, ma se lo fa soffrire, è giusto che non ci sia.

Verso l'inizio “Arriva Elio”, e verso la fine “Arrivederci”, ricordavano le loro primissime esibizioni, quelle degli anni '80. Elio ha corso sul palco del Mattorosso Festival, come un eterno Giamburrasca. Ed è stato in quel momento, ecco, che ho avuto la sensazione di essere ad un concerto dei Pooh. Non sto deridendo i Pooh, intendiamoci. Ma per un attimo, vedendo Elio – Giamburrasca, mi son sentito invecchiare di colpo. È stata una gioia esserci, ma mi è scattata la consapevolezza, che questo spettacolo era tale (canzoni recenti a parte) anche nel 2003, la prima volta che li avevo visti dal vivo. E, se assistendo ad un concerto di Claudio Baglioni o Riccardo Cocciante, il senso di nostalgia ci sta tutto, ecco, col gruppo italiano più all'avanguardia di sempre, sentirsi nostalgici è un po' disturbante. Mi son sentito mia nonna, quando rimembrava una canzone per lei trasgressiva e maliziosa: “Vieni, c'è una strada nel bosco, il suo nome conosco, vuoi conoscerlo tu?” Eh, bei tempi quando ci si infrattava nei cespugli... La bella canzone di una volta...

Ho la sensazione che Elio sia ormai a tutti gli effetti una maschera definitiva, come quella di Fantozzi. Stefano Belisari ha creato un personaggio talmente riconoscibile, catalizzando in sé ogni modo di essere ironico nell'impostare la voce, ogni mimica facciale del sarcasmo, ogni movimento del corpo che sbeffeggia un atteggiamento, che chiunque oggi provi a fare ironia in musica, e critica feroce ma col sorriso, viene inevitabilmente accostato a Elio. Non si scappa dal confronto. Insomma, è imprescindibile per la storia della musica italiana, ma è anche una condanna per tutti gli eredi, gli altri satiri wannabe.

Ero lì dalle 17.30, appena aperti i cancelli dello Stadio San Vigilio di Montebelluna, e prima degli EELST si sono esibiti i Jaspers, giovane band milanese che fa un rock divertente e intelligente. Il loro tormentone recita: “Grazie al riscaldamento globale / ci abbronzeremo anche a Natale / Addio tintarella di luna / l'inquinamento è la nostra fortuna!”. Ogni membro era travestito: il chitarrista da ape, il bassista da cavalletta, il cantante con la camicia di forza, l'altro cantante androgino con le calze e le pose da Rocky Horror ecc... insomma, bravi ma già visti, per uno che ha superato i 20 anni. Sono felicissimo che i giovanissimi possano avere i loro nuovi “birichini” da seguire, ma vedete, ai miei occhi 37enni arriva il crudele effetto post-Elio a cui alludevo. Per chi vuole fare il cazzone ed essere originale, oggi è durissima! Infatti, le cose migliori dei Jaspers sono state proprio quando facevano altro: il frontman ha suonato il didjeridoo, e poi hanno realizzato una strepitosa cover distorta de “Il cielo in una stanza”, trasposta in chiave minore! A quel punto, siccome c'era molta interazione tra loro e il pubblico, volevo ironizzare gridando: “BRAVI NEGRAMARO!”, ma ho preferito non fare il bastardo. Anche se penso che avrebbero apprezzato e risposto a tono.

Dopo i Jaspers, si sono esibiti i Selton. Eh, tanto di cappello. Un tiro funky micidiale, e si sente che sono di origini brasiliane: il chitarrista e cantante in più occasioni suonava accordi di nona, tredicesima e altre complicazioni che piacciono a Chico Buarque e João Gilberto (infatti, di quest'ultimo hanno eseguito una cover). Davvero raffinati, e interessante anche l'insolita disposizione sul palco: la tastierista in fondo e al centro, rialzata. I due batteristi davanti a lei, spostati di lato a guardarsi negli occhi, e davanti chitarrista e bassista, spostati ancora di più di lato. In pratica, formavano una V! Da vedere e da ascoltare.

Tornando agli headliner, il concerto di Elio e le Storie Tese, per chi li ha già visti, è esattamente quello che vorrebbe sentire il loro popolo affezionatissimo. E forse anche per questo, si erano voluti prendere una pausa. Agli artisti che vogliono sempre innovare e rinnovarsi, come loro, un po' deve pesare, il fatto di dover ripetere una formula perfetta ma immutata. Per loro, dev'essere come tornare sempre al 1996, e magari vorrebbero fare altro adesso. A dire il vero, prima di eseguire “Tapparella”, gli Elii hanno suonato uno strumentale a me sconosciuto, dal sapore prog e perfettamente nel loro stile. In verità, non so se fosse tipo una cover dei Genesis, o se fossero appunti di quell'idea a cui Faso accennava: forse arriverà una nuova canzone? In ogni caso, sabato la stanchezza non si è vista. Anzi, al momento dei saluti, ho intravisto gli occhi lucidi di Elio, gli è caduta per un attimo la cinica maschera (che ormai sempre più spesso lascia cadere in serenità).

Ero in prima fila, non mi sono schiodato dalle 17.30 alle 23.30, dalla transenna su cui ero appoggiato. Non so se sia riuscito a trasmettervi tutte le emozioni che abbiamo provato, sia io che il ragazzo alla mia destra, col baffetto non ancora sviluppato, e la signora alla mia sinistra, e la moltitudine dietro di me. C'è ancora un pubblico di adolescenti che riconosce il valore di questa band di sessantenni, e questo mi ha commosso, tanto quanto rivedere i miei beniamini urlare ancora una volta, assieme al pubblico: “Forza panino!”. (Gilberto Ongaro)