Sono presenti 346 recensioni concerti.
THE CURE "Live Ovo Arena Wembley Londra 12-12-2022"
(2022)
Penultimo capitolo di questo “Shows of a lost world tour” e ci ritroviamo ancora alla Wembley Arena, ormai mitico luogo in cui i Cure sono soliti chiudere le proprie fatiche concertistiche, dopo un lungo ed estenuante peregrinare per tutta l’Europa.
Forse il botto emotivo ci colpirà ancora di più domani, ma non nascondiamo che un inizio di malinconia sembra iniziare a bussare alla nostra porta; ci penseremo a tempo debito. Ora è il momento per un po’ di cronaca.
Vociare del pubblico sempre più insistente, poi un rumore di tuoni, unito ad alcuni lampi, anticipa l’ingresso sul palco dei musicisti e, mentre partono le prime note del concerto, il cielo stellato ci porta immediatamente dentro lo show. “Questa è la fine” canta Robert nell’incipit di “Alone”, anche se è l’inizio di un’altra favolosa avventura, lunga la bellezza di 28 canzoni.
Nella prima porzione del concerto “At night” avvolge tutta la Wembley Arena di un’atmosfera magica che, subito dopo, continua con il classicone dark di “Charlotte sometimes”. Sono due canzoni che segnano la strada di un intero concerto.
“Burn”, dopo tanti anni di silenzio, è da qualche stagione un classico irrinunciabile del gruppo, così come il siparietto in cui Robert si appoggia su Simon, schiena a schiena in un momento di preziosa complicità.
“The figurehead” e “A strange day” sono perfettamente eseguite e continuano a trasportarci nel clima di un concerto nato per scatenare emozioni tanto forti quanto intime, invece “Push”, “Play for today” e “Shake dog shake” hanno il compito di far virare il concerto sul ritmo, sulla forza e sulla partecipazione collettiva, attraverso un piglio incredibile e una potenza sonica difficile da eguagliare.
Parte del leone per l’album “Disintegration” con 6 pezzi, seguito da “The head on the door” con 4 e “Seventeen seconds” con 3, mentre rimangono ancora al palo gli ultimi due in studio, a testimoniare come siano indubbiamente i capitoli meno felici del gruppo.
Quando arriva l’ultima canzone del mainset, non possiamo rimanere insensibili alle parole contenute in “Endsong”: “È tutto finito, è tutto finito, Non è rimasto niente di tutto ciò che ho amato, Sembra tutto sbagliato, È tutto finito, è tutto finito, è tutto finito, Nessuna speranza, nessun sogno, nessun mondo”.
Il primo encore è sempre il più atteso. Alla dedica al fratello, segue un vero e proprio tributo all’ineguagliabile album del 1989. Finalmente, riesco a sentire “Plainsong” quest’anno e, anche se rende esponenzialmente di più quando è presentata come apripista dei concerti, conserva intatte tutte le sue dolci qualità. Poi Robert Smith ci fa vedere quanto voglia portare al limite le sue capacità vocali, prima con “Prayers for rain” e poi con “Disintegration”. Con la prima, non giocando per nulla al risparmio, concede un acuto esattamente speculare alla versione live del 1989 (riascoltare “Entreat”) e, con la canzone che titolava quell’album, finisce senza un briciolo di energie.
Solo in parte i segni dell’età suggeriscono, anche a noi, quanto il concerto stia volgendo al termine, perché, quelle due ore e mezza, sono volate, in effetti, a velocità quadrupla rispetto al normale corso di un orologio.
Ma, come da copione, la band non si fa mancare l’ultimo rientro; quello che si definisce pop potrebbe (erroneamente) essere letto in senso dequalificante, quando, in realtà, rappresenta una delle tante facce che Robert Smith ha splendidamente assunto in più di quaranta anni di carriera. E, allora, ci sono “Lullaby” (che io spero sempre non faccia), c’è il funky elettronico di “The walk”, c’è la “Friday” che quest’anno è diventata una splendida trentenne, e ci sono le altre, fino a “Boys don’t cry”.
Lui alla fine sorride e dice “See you again” e allora perché piangere, dopotutto?
(TESTO E FOTO
GIANMARIO MATTACHEO)