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FIDELIO "Fenice di Venezia 20-11-21"
(2021)
“Parola d'ordine”? “Fidelio”!
I cinefili (o semplicemente kubrickiani) riconosceranno la citazione da “Eyes Wide Shut”. Ma quanti si sono poi chiesti, se non la conoscevano già, cosa fosse Fidelio?
Si tratta dell'unica opera lirica composta da Ludwig Van Beethoven, nel suo sterminato repertorio. Fu anche un lavoro travagliato, a cui il compositore dovette mettere mano tre volte, prima di ottenere una versione che ottenesse il successo sperato, nel 1814. E si fece aiutare due volte da due librettisti diversi, per sistemare le parole dal punto di vista teatrale. Questo aneddoto è da ricordare a chi si sente, oggi, un artista maledetto e incompreso. Se perfino il Genio dei Geni ha dovuto chiedere aiuto a qualcuno per sistemare una sua creazione, chi sei tu per non accettare consigli?
Ma concentriamoci sul significato di quanto successo il 20 novembre 2021, alla Fenice di Venezia. Il teatro che risorge sempre dalle proprie ceneri, ha messo in scena il Fidelio. Orchestra e coro in mascherina (non mi abituerò mai, scusate), ma platea e palchetti pieni. Io non c'ero, però per fortuna alcune testate giornalistiche hanno avuto la concessione di trasmettere lo spettacolo in streaming. Così, pur non potendo godere direttamente delle emozioni che SOLO in presenza si possono ricevere, ho potuto osservare anche la situazione nell'intervallo tra i due atti. Una camera fissa puntata verso la platea, che lentamente si svuotava, e poi lentamente si riempiva di persone vestite rigorosamente in completo nero e camicia bianca, e donne eleganti. Una situazione tutto sommato banale, in tempi normali, ma fortemente suggestiva, in questo periodo.
Il direttore d'orchestra era il sudcoreano Chung Myung-Whun, e nell'ouverture si è potuto apprezzare, oltre alla sua direzione, anche il suo coinvolgimento emotivo, tale da doversi tenere più volte alla parete dietro di lui.
La scenografia: un gigante volto femminile poggiato al palco su una guancia, che ruota, rivelandosi poi essere la prigione, dalla quale si entra dal collo cavo. Prigione di che? Ah sì, non vi ho raccontato la storia. Siamo in un carcere vicino Siviglia, nel periodo del Terrore, dopo la Rivoluzione Francese. Florestan è un nemico personale di Don Pizarro, direttore del carcere, che lo imprigiona, facendolo però credere morto. Leonore, moglie di Florestan, si traveste da uomo, prendendo il nome di Fidelio, per andare a cercare il marito. Quando giunge alla prigione, si ingrazia il carceriere Rocco, e inizia a lavorare per lui, che per tutto il tempo lo crede uomo. Involontariamente però, Fidelio fa innamorare anche sua figlia Marzelline.
Mi fermo qui per farvi crescere l'hype. Credo che nel sito della Fenice si possa vedere, da oggi o prossimamente, la registrazione, dato che ci sono anche eventi passati, come la folle Sagra della Primavera di Stravinsky, seppur senza balletto.
Volete una recensione su Beethoven? Non oserei. Posso solo riconoscere il suo stile grandioso (non è un complimento, si chiama proprio tecnicamente “grandioso”, il suo stile) nell'orchestrazione. Una delle critiche che gli mossero all'epoca, era che trattava le voci dei cantanti alla stregua di strumenti musicali, senza far emergere le specificità vocali. Beh, ascoltando l'opera, posso dire: è vero. E allora? Non è Rossini, non è Verdi, e non è Mozart: non sentirete vocalizzi in stile Regina della Notte, né cadenze infinite, lasciate alla fantasia dei cantanti. Stiamo parlando di Beethoven, quindi non poteva non portare il suo irripetibile contributo, anche nell'opera lirica. Le voci altro non sono che il suono da far spiccare, e Lodovico Van le fa giocare con tutta l'orchestra, che non fa solo da mero accompagnamento. Non con lui. L'effetto quindi è grandioso, soprattutto col coro dei prigionieri finale, che prelude a ciò che arriverà dieci anni dopo, cioè la Sinfonia Nona.
La domanda è: perché è stato scelto proprio Fidelio? Che, nel cercare di liberare Florestan, è carico di parole quali “libertà”, “giustizia”, “tirannia” eccetera? Io non do risposte, mi limito a ringraziare per il privilegio che abbiamo potuto avere il 20 novembre. (Gilberto Ongaro)