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GARBO "Live Area Feste Lomazzo 22-08-21"
(2021)
“Meglio Tardissimo che mai… finalmente mi avete invitato”. Esordisce così Garbo, con un accenno leggermente polemico, per Il quasi ritorno a casa, a Lomazzo, a due passi da Como e neppure troppo lontana da Milano, ma è solo una battuta, poi inizia con i ringraziamenti per chi ha organizzato la serata.
Siamo quasi alla rimpatriata tra vecchi amici, gente del luogo, personaggi che sembrano usciti più da un libro di Piero Chiara che dagli anni ruggenti della new wave italiana. Riuniti sotto questo un piccolo tendone bianco appena fuori Lomazzo sono, sotto le mascherine, tanti occhi che scrutano il palco, tra il furgoncino rosso dei fritti e quello con la spina delle birre, in attesa dell’inizio dello show.
Garbo si presenta, total black, dai pantaloni a tubo alla montatura degli occhiali, per un set a due con il factotum Eugene, forse il più giovane di tutti, pubblico compreso, un abile manovratore di basi, tastiere, drum pad, computer e tutta l’orchestrazione wave su cui si appoggia la voce profonda di Garbo, che appare teso, forse emozionato un po’ per il ritorno sulle scene dopo la pausa forzata del Covid, o per la situazione spartana, o perché suonare quasi a casa è sempre un qualcosa di diverso.
La scenografia del palco è molto semplice, composta esclusivamente da un’immagine proiettata dietro i musicisti, che raffigura il muro di Berlino ripreso dal versante est, che appare totalmente deserto e fa da contraltare e argine alle luci dei grattacieli che illuminano lo sfavillante sfondo del lato ovest.
Quindi tra l’audience un po’ agé, il capannone da sagra di paese con tanto di tavoloni, le basi con i bassi incalzanti, la scenografia essenziale, si ha la percezione quasi di una balera con gli avventori obbligati, dalle restrizioni covid, a rimanere inchiodati sulle panche, a distanza di sicurezza, invece di lanciarsi nelle danze.
Garbo, superato il primo imbarazzo e qualche inconveniente tecnico, riesce con la sua navigata esperienza a convogliare le energie e coinvolgere il pubblico in una cavalcata retrospettiva del suo repertorio pescando a piene mani dai primi lavori, alternando i cavalli di battaglia a qualcosa di meno noto.
Dopo un intro con una “Lili Marlene” appena accennata, arriva direttamente dal 1982 l’ode alle piantagioni di silenzio “Terre Bianche”, e, a ritroso nel tempo, dal primo LP del 1981 una doppietta con l’ispirata “On The Radio” e “In questo cielo a novembre” riarrangiata in chiave elettro/wave, con Garbo che ogni tanto da un’occhiata al leggio per ricordare il testo ma che alza lo sguardo ammiccante verso il pubblico su il passaggio ”Ci barattiamo sigarette e idee/ Pensiamo solo di poter volare”.
Neppure il tempo di finire l’applauso e parte, misteriosa e magnetica, una “Scortati” che sembra uscita da “Metamatic” di John Foxx, poi “Generazioni” con Renato Abate, detto in arte Garbo, che si muove con la stessa mimica che fu del Bowie della trilogia berlinese.
“Io ho visto ragazzi rubare pensieri ad un’era” arriva una versione scura come la pece di” Moderni”, quasi a sottolinearne la disillusione e l’amarezza per i tempi andati.
Il dandy ora è a suo agio, spende anche qualche parola per lanciare “Vorrei regnare” che il pubblico conosce e apprezza, si passa a “Quanti anni hai?” piano e voce, molto intensa, con un Garbo/Bogart che in mezzo al brano si concede una pausa da attore consumato per accedersi una sigaretta, e allora lo show prende il volo.
Sospesa e notturna arriva “Radioclima” con il versatile Eugene a rafforzare le voci, a seguire “Il fiume”, un po’ “Heroes” e un po’ The Stranglers, e poi in crescendo fino alla chiusura, un medley in cui riconosco “Auf Wiedersehen” e una citazione di “We Are All Made of Stars” di Moby.
L’unico bis spetta al classico, quello che titola il tour “A Berlino… va bene”, la conoscono tutti, il pubblico si unisce al coro ma il cantante ammette che ha bisogno del leggio perché ogni tanto dimentica il testo, come a sottolineare il rapporto contraddittorio con la canzone che lo ha reso famoso, ma che ha anche oscurato il resto del suo repertorio.
È arrivato il tempo di scendere dal palco, in mezzo il pubblico, che si avvicina per i complimenti, e tra le pacche sulla schiena e i saluti i tanti conoscenti portano i figli a incontrare l’illustre amico. “Te lo ricordi? Visto com’è diventato grande? L’ultima volta che ti ha visto aveva la bici con le rotelle”. “La vita è un fiume che nasce domani che scorre piano sopra di noi”, potrebbe rispondere Garbo, ma invece si limita a sorridere contento.
Io decido di lasciarlo tra i vecchi amici e di tornare a casa, ne è valsa la pena venire fin qui, a Lomazzo, e ora mi aspetta l’autostrada, anzi l’autobahn. Auf Wiedersehen Garbo, alla prossima. (Lorenzo Montefreddo)