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MASSIMO VOLUME "Live Santeria Milano 24-01-20"
(2020)
Si vede che i Massimo Volume non sono più quelli di un tempo, e alle volte penso che non sia un male.
La vita ha le sue stagioni, i suoi mutamenti, le sue evoluzioni.
Le ultime due volte che li ho visti – sempre con Luca, ovvio: è il più grande esperto vivente su tutto quanto riguardi la banda di Mimì – sono state lo scorso giugno al Castello Sforzesco insieme ai Giardini Di Mirò in una principesca, suggestiva cornice davvero nobile e regale e due settimane fa alla Santeria, sempre a Milano.
Bel locale, La Santeria, piuttosto fighetto. Sta in una zona di confine tra la Milano-bene e quella più borderline: da un lato il parco Ravizza, la Bocconi, Porta Romana, la darsena; dall’altro via Ripamonti e lo Stadera fino alla Chiesa Rossa, dove tira già aria di periferie che non sono proprio Beverly Hills.
Bel locale, però. Da un lato è un classico lounge-bar o come diavolo si chiamano oggi questi posti non so: ha un tot di tavoli per bere e mangiucchiare qualcosa in compagnia, un bel bar, arredamento à la page. Chiassoso ritrovo per giovani della buona borghesia, studenti, cose così. E poi, sul lato opposto, si apre una porta sul buio che è la sala destinata ai concerti.
Alla faccia del virus, ceniamo in una pizzeria cinese poco distante, venti alle dieci entriamo. Parecchia gente, qualcuno âgée come noi due, ma anche una certa gioventù che non ci aspettavamo.
Siamo nella sala, piena piena. Abbiamo i giubbotti in mano, dico a Luca che esco per metterlo al guardaroba. Lui è il solito taccagno, dice che se lo tiene, perché di sicuro costa troppo. Costa 2€, secondo me poteva farcela, ma amen.
E’ la coda del tour de “Il nuotatore”, non proprio il loro capolavoro se devo essere sincero e crudele fino in fondo, ma è questione di gusti, si sa. Anche a Luca “Il nuotatore” non è piaciuto un granché, sostiene che sia il loro album meno significativo dopo “Club privè”, ma è questione di gusti, si sa. Di positivo c’è invece la recentissima ristampa di “Stanze”, esordio datato 1993, speriamo lo omaggino a dovere. Lo faranno, ma ci sarà un po’ da attendere, e per quanto mi riguarda anche un bel po’ da sbadigliare.
Quando rientro un paio di minuti più tardi – mannaggia la miseria – il concerto è già iniziato. L’opener – bene, anzi benissimo – è “Ronald, Tomas e io” che stava proprio su “Stanze”, e se la buonasera si vede dall’incipit ci sono valide premesse. “Fausto” tiene alti ritmo e tensione e “Le nostre ore contate” a me dà sempre un brivido, anche in questo arrangiamento appena differente – non saprei, è ancora più morbido, laid-back, quasi jazzato - rispetto alla versione ufficiale su “Cattive abitudini”.
Bell’inizio, sono contento. Luca, secondo me anche, seppure un po’ meno. Non glielo posso chiedere, perché come succede da una vita quando comincia il concerto ci perdiamo quasi sempre. Lui è alto un pezzo più di me, può permettersi delle angolature migliori ed una vista sul palco che io me la sogno, costretto come sono a cercare varchi panoramici accettabili. Di solito resto in fondo, frequentemente su un lato.
La band macina bene, anche se ogni tanto mi sembra che Vittoria segua linee non proprio pulitissime, ma sarà una mia impressione.
Ecco, fin qui andava benissimo. A questo punto Mimì – a partire con “Una voce a Orlando” – infila praticamente tutto “Il nuotatore” un pezzo dietro l’altro. Nemmeno a giugno al Castello ne avevano proposti così tanti, ora fanno praticamente tutto l’album in fila. Capto lo sguardo annoiato di Luca che sta una decina di metri più avanti di me e si gira per incrociare il mio stesso disappunto. Sfilano dunque “Amica prudenza”, “Nostra Signora del caso”, “Fred”, “La ditta di acqua minerale” (per fortuna: forse il pezzo migliore del nuovo, anche se l’acustica del locale la satura un po’ troppo).
Dai che adesso fanno qualcosa di vecchio, forza signori. No, neanche per sogno. E allora via con “Il nuotatore”, “L’ultima notte del mondo” ed infine “Mia madre e la morte del gen. José Sanjurjo”. Rimane fuori soltanto “Vedremo domani”, potevano farla così almeno ci levavamo il pensiero.
La band comunque è in gran forma, Mimì ha una presenza scenica palpabile, mai stato così sciolto – perfino spavaldo - come negli ultimi anni. Sta lì al centro, solido e incalzante sotto il cappello a tesa larga che indossa oramai da parecchio e che sembra far parte di lui. “Adesso le facciamo tutte”, dice rivolto all’uditorio entusiasta. Ecco, bravi.
E dopo otto brani da “Il nuotatore”, quando ti aspetteresti – che so io – “La città morta” o “Il tempo scorre lungo i bordi”, ci piazzano invece “La bellezza violata”, piccola gemma minore di “Cattive abitudini” che personalmente accolgo come una liberazione e non senza rilassato appagamento.
A seguire – goduria vera – una sequenza micidiale, che Mimì sputa con una veemenza nemmeno lontana parente della gelida declamazione degli albori: “Stanze” – di una violenza terrificante con i suoi stop-and-go quasi math; “In nome di Dio” con l’intreccio tra le chitarre di Egle Sommacal e Sara Ardizzoni che gela il sangue; “Alessandro”, oramai immancabile in scaletta e sempre toccante nella sbilenca, disperata rappresentazione della malattia; “Vedute dallo spazio/Ororo”, psicotica e dilatata nelle sue divagazioni spaziali.
Bene: li ho quasi perdonati per la prima parte. Escono. Rientrano per gli encore. Speriamo in bene, e comunque “Il nuotatore” l’hanno già fatto tutto, quindi non corriamo più rischi, c’è solo da guadagnarci.
Attaccano i bis con “Litio”, che a Luca non piace, ma a me moltissimo, come tutto “Cattive abitudini”. E poi – che ve lo dico a fare – arriva “Il primo dio”, accolta da un generale tripudio, come è logico che sia. Va bene anche “La cena”, unica concessione (strano) ad “Aspettando i barbari”. Manca poco, so che Luca aspetta un paio dei “suoi” pezzi. Resterà deluso. Incredibile, Mimì attacca “Dopo che” da “Club privé”, il meno amato – azzarderei: all’unanimità – della loro discografia, per chiudere – anche questa divenuta oramai una firma – con una “Fuoco fatuo” che diventa sempre più secca e tesa ad ogni esecuzione.
Mentre sono in coda al guardaroba (“Hai visto? – mi fa Luca – Adesso quanto ti tocca aspettare per riprendere il giaccone?”) vedo e sento gente esaltatissima, di ogni età. Buon segno, Mimì: ci avete messo una vita, ma oggi riempite i locali praticamente senza pubblicità alcuna, solo grazie alla meritata fama che vi precede. Sono contentissimo per questo, di cuore. Pure Luca è contento, anche se mentre scarpiniamo verso la macchina nella notte gelida continua a lamentarsi perché non hanno fatto neanche un pezzo di “Da qui”. “Pazzesco – brontola – davvero pazzesco”. Poi continua il suo monologo ricordando come “Mai e poi mai facevano “Stanze”, ai tempi. Cioè, facevano “Stanze vuote”, quella sì, ma “Stanze” mai. Bella. Non la facevano mai. E Sara Ardizzoni come ti è sembrata?”. Rispondo che mi sembra piuttosto gnocca, lui ribatte: “Sì, ma lascia perdere: come chitarrista, dicevo?”. Dico che fa l’essenziale, Luca attacca una disquisizione sull’interplay tra Sara e Egle, roba che non ho notato. “Certo, Pilia era un’altra cosa”. Gli do ragione.
Io mi limito ad osservare che ho notato un grande cambiamento in Mimì: oramai è sereno, consapevole, sciolto, pacificato. Non ha più nulla da dimostrare. E’ padrone di sé stesso, sembra perfino divertirsi mentre indossa con soave lievità una leggerezza un tempo lontana e sconosciuta. Forza con la voce, percuote il basso con veemenza, lo brandisce talvolta come una rockstar, altro che il timido introverso di un quarto di secolo fa. Erano altre stanze. Luca è d’accordo, quindi ci ho visto bene.
Non sarà certo da concerti come questo che i neofiti si innamoreranno dei Massimo Volume, i quali rimangono tuttavia qualcosa di assolutamente ineguagliabile, nunc et semper. Anche su questo Luca concorda. Sto andando bene.
Come al solito, non parliamo per neppure trenta secondi né di lavoro, né di mogli (tanto ci conosciamo, no?) o di figlie (tanto vanno nella stessa scuola). Proprio zero.
In macchina, mentre attraversiamo Milano nel ritorno a casa, finiamo per discutere animatamente della direzione della musica odierna, dell’apparente disinteresse delle nuove generazioni per la musica in generale (“La roba che ascoltano è figlia del digitale, quindi di rapido consumo e di scarsa assimilabilità”, chiosa Luca acido), del fatto che – sostengo io – solo il metal sembri sopravvivere all’uragano. Luca è seccato dalla piega che le cose prendono e prenderanno, perfino arrabbiato mentre guida e sostiene con forza il suo punto di vista.
Meno male che c’è Mimì. (Manuel Maverna)