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ROBERTO VECCHIONI "Live Teatro Alessandrino Alessandria 16-11-19 "
(2019)
Seconda tappa piemontese per Roberto Vecchioni, nel giro di una settimana. Dal Teatro Colosseo di Torino, all’Alessandrino di stasera, per la continuazione dell’Infinito Tour, in cui il cantautore di “Samarcanda” insieme ai suoi amici musicisti porta in giro il consueto spettacolo di canzoni e parole.
Prospiciente una delle più belle piazze cittadine, il Teatro Alessandrino si presenta gremito per l’ennesimo ritorno in città di un artista che non manca di ammettere, da sempre, di avere un debole per Alessandria ed i suoi abitanti.
Alle 21.30, quando il sipario è ancora chiuso, la voce di Roberto Vecchioni recita le prime parole di “Una notte, un viaggiatore” e, poi, tra applausi generosi, il paroliere si fa vedere, accompagnato dalla sua band. La prima cosa che notiamo non è una presenza, ma un’assenza; non c’è Lucio Fabbri, ovvero l’uomo da considerarsi imprescindibile nelle più recenti esperienze artistiche di Vecchioni e che, anche per quest’ultimo lavoro e tour, ha dato al “professore” un contribuito tutt’altro che marginale.
La prima parte del concerto è dedicata all’ultimo album in studio. Non sono certo classici, ma canzoni che si fanno già apprezzare. Un disco (ma non è certo una sorpresa) in cui il lato malinconico cerca risposte con il tempo che passa e qualche guizzo più scanzonato.
Ci piace la ballata “Vai ragazzo”, che viaggia delicatamente tra una sorta di canzone popolare ed un triste racconto nostalgico. Prima del brano, Vecchioni dichiara che quella di stasera è la terza esibizione e, prima di Alessandria, solo gli spettatori di Torino e Milano hanno avuto l’occasione di apprezzarne l’esecuzione. Tra le canzoni di “L’infinito” è con “Ti insegnerò a volare” che si toccano le corde emotive di tutti. Il brano (su disco segnò il ritorno al microfono di Francesco Guccini) piace non solo per la musica, ma per essere dedicata a quel fenomeno di uomo che è Alex Zanardi. Prima del pezzo Vecchioni non manca di citare gli aneddoti che (ri)portarono Guccini ad incidere la voce su di un album; aneddoti simpatici in cui siamo trasportati in dialoghi impossibili tra due amici e colleghi, in improbabili situazioni che vedevano la casa di Guccini come un improvvisato studio di registrazione. In “Formidabili quegli anni” lo schermo proietta un video in cui il Vecchioni odierno parla in un’aula universitaria, mentre un attore che impersona il Vecchioni ragazzo è visibile nelle onde del passato, raccontato nell’enfasi dell’odierno “professore”.
Tra un brano e l’altro Vecchioni ci prende gusto nel raccontare e raccontarsi (forse troppo?), tanto che ci chiediamo se provi più piacere nella musica piuttosto che negli spazi pseudo recitativi. Il tutto scorre, invero, piuttosto fluido, a testimoniare come le fasi dello spettacolo siano pensate e ragionate con professionalità ed accuratezza.
Dopo la pausa, si apre quella porzione del concerto che stanno aspettando un po’ tutti, ovvero la riproposizione di vecchie canzoni, più o meno note.
“La mia ragazza” apre questa fase del concerto e con “Stranamore” si ascolta uno dei pezzi più sentiti della sua discografia. Con “Velasquez”, poi, ci piace tornare a pensare al tema del viaggio ed al fascino eterno che accompagna ogni spostamento, mentre la iper malinconica “Ninni” anticipa “Bella ciao” (perché Vecchioni ci tiene a ripetere le sue simpatie politiche) ed una “Le mie ragazze”, interpretata al meglio.
Forse non è una delle canzoni più travolgenti di Vecchioni, ma “El bandolero stanco” ha un ritmo fondamentale nelle dinamiche del concerto, capace di essere ritmata e spiritosa, spezzando una pericolosa monotonia che avrebbe portato un’implosione di suoni ed emozioni.
Ultimi colpi di stasera con una sentita “Sogna ragazzo sogna” e poi due tra i più celebri cavalli di battaglia. Prima “Luci a San Siro” (chissà se comporrà una canzone il giorno in cui il celebre stadio sarà abbattuto) e tutti i pensieri per un tempo che non c’è più, ed infine “Samarcanda” con cui tutto il pubblico si cimenta con quel must di “oh oh, cavallo oh oh” che, quasi fosse un mantra/canzone, accompagna e chiude un buon concerto.
(TESTO E FOTO: GIANMARIO MATTACHEO)