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NICK CAVE AND THE BAD SEEDS "Live Piazza Napoleone Lucca 17-07 18 (2a recensione)"
(2018)
A pochi giorni da un concerto dei Cure, non si può che scendere sul versante emotivo, presentandosi ad un altro evento live. Ma il vero punto non è scendere, quanto scendere gradatamente.
Insomma, un live di Marcella Bella sarebbe un po’ come passare dalle stelle alle famose stalle, mentre una discesa progressiva, dignitosa, emotivamente altissima può essere il live odierno di Nick Cave and the Bad Seeds, e l’occasione offerta dal Lucca Summer Festival è decisamente una di quelle che non ci possiamo far sfuggire.
Un ritorno a Lucca per i Bad Seeds che suonarono qui cinque anni fa, presentando l’allora fresco “Push the sky away”. Nell’ultimo lustro, invero, la vita di Nick Cave è stata letteralmente stravolta, complice la tragica morte del figlio. L’ultimo lavoro in studio ed il conseguente tour sembravano porsi come una ricerca di dialogo tra l’artista australiano ed il caro scomparso. Non fu difficile interpretare quella passerella attaccata alle transenne ed il vuoto tra la passerella stessa ed il palco come una riproposizione di quel vuoto che inghiottì Arthur Cave (caduto dalle scogliere di Brighton). I continui balzi nel nulla potevano essere proprio letti in questa misura e le continue strette di mano, insieme alla ricerca di un qualcosa negli occhi dei ragazzi, ci lasciava intendere un di più, un “oltre”, rispetto al consueto concerto.
Oggi le dinamiche sono praticamente identiche, salvo lo “spazio vuoto” che per problemi logistici è stato praticamente azzerato.
Con puntualità i Bad Seeds sono accolti da un’ovazione del pubblico, che cresce quando è Nick Cave a mostrarsi ai suoi fan, mentre l’adrenalina che si respira azzera, di botto, il caldo infernale odierno.
“Jesus Alone” e “Magneto” sono preamboli dignitosi per l’inizio dello show, ma è con la terza e quarta traccia che la band butta sul tavolo gli assi da novanta. “Do you love me” parte lenta per diventare rumore assordante, e “From her to eternity” è uno di quei brani che poco lascia ai commenti, talmente perfetta nel suo rappresentare irrequietudine, amore e desiderio.
Nel frattempo, Nick Cave è un assoluto uomo spettacolo, capace ormai di creare rappresentazioni in cui si rende continuamente complice dei sui sostenitori; ci dialoga, scherza, sgrida quando è il caso e si fa coccolare (“Riesci a sentire il battito del mio cuore?”), e gli altri Bad Seeds si confermano una delle band più straordinarie del pianeta. Il passare dalla melodia al rumore, alle distorsioni, fino ai momenti più raccolti è una peculiarità di questo gruppo, e la facilità con la quale ci riescono, con precisione millimetrica, conferma la grandezza dei musicisti sul palco.
Facile citare tra i migliori Warren Ellis: l’ormai consolidata spalla di Cave è abile nel destreggiarsi tra violino, pianoforte, mellotron e flauto traverso, ma ci piace citare Martin Casey che, con il suo basso, tiene in mano la preziosissima sessione ritmica dei cattivi semi.
Cave osserva la statua di Maria Luisa di Borbone e chiede “Who is that?”, quasi incazzato perché qualcuno sia riuscito ad entrare senza il biglietto, e poi dedica al pubblico “Deanna” su richiesta di uno scalmanato.
Un momento da ricordare si ha quando durante “Tupelo” Nick invita un ragazzino ad unirsi alla performance; beh, il ragazzino ci sta, eccome, duettando alla grande, gridando in faccia al re inchiostro ed imitandolo alla perfezione (si meriterà, alla fine del pezzo un “You are beautiful” dallo stesso leader dei Bad Seeds).
Alcuni titoli: “The ship song” è sempre uno dei momenti più godibili, “Into my arms” è la dolcezza che oggi può godere Lucca, e “Push the sky away” è un nuovo classico della produzione, ma in tutti l’intensità è regola ed il trasporto una costante. Bolgia confermata da Nick Cave che suona ovunque, tra la gente sul palco, coricato tra gli spettatori o vicino al mixer, e caos confermato dalla cinquantina di fortunati che l’australiano ha lasciato salire sul palco.
Ultimissimi bis con “City of refuge” e “Rings of saturn” che, scelte un po’ a sorpresa, mettono fine a questo capitolo.
Perché andare a vedere Nick Cave? Perché è un gigante. Un gigante. (TESTO: GIANMARIO MATTACHEO, FOTO: ADRIANA BELLATO E GIANMARIO MATTACHEO)