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recensioni concerti

BOB DYLAN   "Live Mantova Palabam - Milano Teatro Arcimboldi 08/09-04-18"
   (2018)

L’8 aprile Mantova accoglie Bob Dylan con grande eccitazione. Il PalaBam è stracolmo e lo show inizia puntualmente come al solito. Scaletta identica ai primi due concerti romani. Anche con questo set fisso, ogni sera le emozioni che si vivono sono diverse. Basti pensare all’ultimo brano prima del bis, “Long and Wasted Years”, che diventa anno dopo anno più solido, una sera cantato con veemenza, una sera cantato in modo sommesso, una vera e propria poesia recitata al centro del palco. Lì al centro del palco - asta tenuta in mano - Bob canta i tre numeri sinatriani e, come detto, “Long and Wasted Years”. In “Simple Twist of Fate” sono comparsi alcuni versi nuovi, già cantati a Roma. “Don’t Think Twice” in questo arrangiamento è semplicemente sensazionale. I numeri blues (“Duquesne Whistle”, “Honest with Me”, “Early Roman Kings”, “Thunder on the Mountain”) sono eseguiti molto velocemente. L’assolo di batteria in “Thunder” è esaltante. In “Honest” e “Thunder” Bob è costretto a “mangiarsi” qualche parola per seguire il ritmo molto serrato, ma in definitiva tiene benissimo anche nella accelerazioni più estreme. In questi pezzi si comporta quasi da rapper, seguendo il beat ossessivamente e in maniera impeccabile, tenendo il ritmo con arpeggi di pianoforte a metà tra jazz e blues. “Desolation Row” è arrangiata in chiave quasi country: il pubblico la accoglie con una ovazione. Quanti i brani post-1997 in scaletta: “Tryin’ to Get to Heaven” è meravigliosa - il fraseggio con cui Bob chiude ogni strofa è tremendo per la tristezza che veicola. “Love Sick” è, ormai da anni, il brano più spettacolare della scaletta. “Blowin’ in the Wind” viene cantata da tutti. “Ballad of a Thin Man” è la chiusura perfetta, aggressiva e cinica proprio come nella sua forma originale: la voce roca di Bob gli dà una ulteriore sfumatura rabbiosa.

A Milano (9 aprile) la scaletta non cambia, e anche stasera la venue è sold out. Il Teatro degli Arcimboldi è meraviglioso, il pubblico estremamente coinvolto: applaude a scena aperta durante e dopo i numeri da crooner, apprezza la possibilità di vedere Bob al centro del palco anche se per pochi minuti, batte spesso le mani sui brani più ritmati in cui Dylan suona con vigore il pianoforte (“Desolation Row”, “Thunder”), che fanno scatenare gli spettatori, ma sono le ballate (“Don’t Think Twice”, “Simple Twist”, “Love Sick”, “Long and Wasted Years”) a far strappare i capelli, eseguite meglio ancora della serata precedente. C’è qualche problema al microfono durante “Trying to Get to Heaven” e “Thunder”, immediatamente risolto, mentre Bob sembra apprezzare il coinvolgimento del pubblico e sorride sempre. La voce è un po’ stanca (Dylan veniva da due serate di fila sul palco, Firenze e Mantova, e prima di quelle aveva avuto una sola giornata di pausa dopo le tre serate romane). Il calendario è fitto e il tour europeo è solo a metà. Il teatro accoglie con un’ovazione Bob e la band mentre rientrano per i bis. “Blowin’ in the Wind” viene cantata da tutti, inno immortale e sempre attuale, mentre “Ballad of a Thin Man” viene ascoltata in religioso silenzio: il Poeta ora declama i suoi versi di fronte al pubblico, che tace. Come scrisse Auden, la poesia è “a way of happening, a mouth”, un qualcosa che accade hic et nunc, qualcosa di vivo, che si muove di fronte a noi. Una performance, appunto: una bocca. E Dylan è questo. Che fortuna poter ascoltarlo ancora ed essere a pochi metri di distanza da un Premio Nobel, da una persona che il mondo, sì, lo ha cambiato davvero. E noi gli siamo grati. (Samuele Conficoni)