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RADIOHEAD "Live Visarno Arena Firenze 14-06-17"
(2017)
I Radiohead in concerto sono sempre qualcosa di straordinario. Lo si vede dall’affluenza del pubblico – alcuni, nonostante il sole cocente fiorentino, vanno a prendere posto sotto il palco già alle 15:30 – che, poco prima dell’inizio dell’evento, raggiungerà i 50mila presenti. Mancano da cinque anni in Italia, e l’attesa è quella delle serate indimenticabili. Ci si aspetta molto, perché i Radiohead dal vivo non hanno mai deluso, e perché il loro ultimo album – “A Moon Shaped Pool”, uscito lo scorso anno – è un altro pilastro della loro carriera, l’ennesimo lavoro dalla qualità altissima, un ritorno a sonorità acustiche imbevute di tutto ciò che hanno imparato nel “viaggio elettronico” che, dal ’95 a oggi, hanno compiuto partendo dal rock classico. E il concerto rappresenterà in qualche modo questo viaggio, e illuminerà a ritroso il percorso che li ha resi i pionieri di quel genere che solo loro sanno fare.
Quella che è probabilmente la più grande band degli ultimi 27 anni – chi altro ha inanellato, in questo lasso di tempo, tre dischi perfetti di fila in cinque anni tra 1995 e 2000, e successivamente una serie lunghissima di album meravigliosi, e dato alle stampe probabilmente il miglior album sia degli anni ’90 sia degli anni ’00? – sale sul palco alle 21:30 in punto, dopo che James Blake, in trio – tastiera-synth, batteria e chitarra elettrica –, ci aveva inebriato in maniera eterea con le sue melodie riverberate e oniriche per quasi un’ora. Thom Yorke, Jonny Greenwood e soci sembrano da subito in forma smagliante; Thom scherza spesso col pubblico, accenna qualche parola in italiano tra un brano e l’altro, interpreta le canzoni in modo misurato e leggiadro, con la giusta emotività ma anche con quell’energia positiva che rende i Radiohead del presente vere e proprie rockstar – una figura che avevano sempre rifuggito in carriera, ma oggi sanno vestire questi panni in maniera gloriosa e spontanea.
Buona parte della prima metà del concerto è la descrizione dei Radiohead di oggi, di come vogliono apparire al proprio pubblico, perennemente in crescita artistica e sempre toccati dall’ispirazione: si divertono sulle note dei pezzi tratti dall’ultimo album, come “Daydreaming” e “Ful Stop”, il cui “compendio” visuale negli schermi è strepitoso, colorato e allucinato; si emozionano, così come il pubblico che canta trasportato, durante i classici “Airbag”, “Lucky” e la sublime “Let Down”; non risparmiano un approccio jazz in diversi brani (“Everything in Its Right Place”, “Myxomatosis”, “Idioteque”) e un’esplosione elettronica asfissiante in altri (“15 Step”, “Bloom”, “Bodysnatchers”). “Weird Fishes” è come al solito impeccabile, puntellata da chitarre dolcissime e poetiche, e fa cantare tutta l’arena.
Da un lato, come detto, la volontà da parte del gruppo di mostrarsi per ciò che è ora, nel mezzo di una nuova, ennesima reinvenzione di sé stesso, pervaso da una linfa vitale che ha prodotto già tre dischi strepitosi negli ultimi dieci anni. Dall’altro lato, inoltre, la voglia di mostrare tutto ciò che li ha portati a essere quelli che sono ora. I classici in scaletta sono tanti e colpiscono al cuore – alcuni, per altro, poco eseguiti negli anni passati – ma anche le perle più nascoste risaltano e portano quasi alle lacrime: un primo encore vede esecuzioni precise e scatenate di “You and Whose Army?”, “There There”, “2+2=5”, una sognante “Paranoid Android”, con la voce di Thom semplicemente lacerante, e una potentissima “Street Spirit” – che brividi nel sentire Thom cantare “you’re fading out again” con così tanta fragilità! Il secondo e ultimo encore ribadisce ulteriormente l’equilibrio che i Radiohead sembrano aver raggiunto oggi, in bilico tra un passato così grandioso e un presente così raggiante. “Lotus Flower” precede la meravigliosa “Fake Plastic Trees”, che lascia senza parole. Con la pelle d’oca dall’inizio alla fine del pezzo, veniamo lentamente cullati verso il termine di questa esperienza meravigliosa. La chiusura spetta a “Karma Police”: il coro del pubblico sembra quasi una preghiera e accompagna la voce di Thom Yorke. E dopo che la band è uscita lui continua a suonare la chitarra acustica per concedere ai 50mila qualche secondo di karaoke, a ricordarci di nuovo che i Radiohead possono rendere “hit” anche le creazioni artistiche più profonde e raffinate.
(Samuele Conficoni)