Sono presenti 346 recensioni concerti.
THE CURE "Live Wembley Arena Londra 02-12-16"
(2016)
Se questa fosse una recensione partirebbe, magari, con una descrizione della location, avendo cura di ricordare (seppur marginalmente) le bellezze offerte dalla città ospitante. Se fossimo all’interno della recensione che non scriverò oggi, si potrebbe accennare alla band di supporto e a come la propria performance sia migliore o peggiore rispetto a quella della volta precedente. Oggi, invece, lascio stare ogni tipo di informazione (quasi), abbandonando la didattica, in luogo di sensazioni che arriveranno direttamente dalla mia mano, mentre osserverò la tastiera del computer macchiarsi di nero. Partiamo dal nero. Perché ad un concerto dei Cure il nero ci deve essere. Ma poi aggiungiamo anche qualcosa di variopinto (che non vuole essere solo il rosso della labbra di Qualcuno). Eh sì, perché all’interno di una recensione seria dovrei spiegare (ecco lo spirito didattico!) il perché i Cure siano andati oltre ed oltre quella musica dark degli esordi, per abbracciare un intelligente pop caratterizzato da scenari variegati. Ecco, allora, bisticciare perfettamente una “Charlotte sometimes” con una deliziosa “Close to me” (leggendo la scaletta inizio e fine della recita), oppure, in questo gioco delle coppie impossibili, accostare “Disintegration” ad una improbabile “The hungry ghost”. Se questa fosse una recensione, non si dovrebbe neppure accennare agli inseparabili compagni di viaggio con i quali si condividono chilometri, stanchezza, sudore, incazzature ed abbracci finali; oppure il ritrovare quegli amici saltuari, con i capelli che si ingrigiscono, ma rimangono sempre loro, sempre le stesse facce, anno dopo anno, tour dopo tour. Ed allora, nella non recensione, salutiamo la coppia svizzera ed il gruppetto dei fedelissimi tedeschi (ma una decina di anni fa uno di loro non si presentò a me con il nome di Haiko?… E perché mi torna in mente sempre e solo in queste occasioni?) o alla francese che, quasi fosse la Charlotte della canzone targata 1981, si posiziona algida, pettinata, immune da stanchezza, proprio di fronte all’asta del microfono. Sempre! Chissà che importanza possono mai avere quei bicchieri che i rodies mettono vicino agli strumenti di Robert. In effetti non ce l’hanno, ma proprio per questo, mi diverto a fare andare le mani nella suggestione dei ricordi. Non pensate all’amata birra, durante i concerti Robert Smith tracanna in continuazione una bevanda (la parte più malata del mio cranio mi suggerisce succo d’arancia con vitamine), per rinfrescare l’ugola così duramente messa alla prova. Quello che vorrei aggiungere è che, nella stanchezza e nella disidratazione del concerto, mai pozione è stata più intensamente invidiata e desiderata dagli spettatori!!! In una recensione non si dovrebbe parlare a lungo di mani alzate verso il cielo. Qui, invece, pretende spazio il rito che accompagna la fine dell’esecuzione dell’inno “A forest”. Mentre la chitarra tagliente di Robert Smith dialoga con il basso di Simon Gallup, il ritmico clap clap della folla è spettacolo nello spettacolo. Osserviamo (ci osserviamo) come comparse di uno spettacolo che ha ragione di esistere anche e soprattutto per il popolo dei Cure. Un po’ di cronaca, sul finale. Ma solo per aggiungere che si chiude con “Killing an arab” (e magari a nessuno interesserà sapere che per lo scrivente nessuna conclusione potrebbe essere migliore) che si canta con quel briciolo di energie residue. Perché ora ci aspetta una notte che deve essere rigenerante. Domani inizia un’altra avventura da aggiungere alla galleria dei ricordi. E, questo, Robert Smith lo conosce benissimo, ed è per questo che il leader ha un rapporto così speciale con il suo pubblico. La dedizione che accompagna le sue esibizioni, la durata delle stesse, l’intensità delle performance, spiegano solo in parte il legame che il tempo ha cementato tra la band e chi si è guadagnato lo status di fan. (TESTO: GIANMARIO MATTACHEO; FOTO: GIANMARIO MATTACHEO E ADRIANA BELLATO)