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THE CURE "Live Ippodromo delle Capannelle Roma 09-07-2012 "
(2012)
A soli due giorni dal concerto milanese, i Cure arrivano nella capitale per la seconda e ultima tappa italiana dell’European Tour 2012. L’ultima presenza a Roma fu in occasione dell’anteprima di “4:13 dream”, l’album del 2008 che, ad oggi, rappresenta l’ultimo lavoro di inediti del gruppo di Robert Smith. I concerti iniziano ad essere numerosi e la fatica inizia a farsi sentire (soprattutto per una band che non ha più i vent’anni dell’esordio), ma ad oggi possiamo affermare che le prestazioni sul palco non hanno risentito del tour de force estenuante a cui il gruppo è sottoposto. I cinque Cure hanno dimostrato di sapersi ancora divertire un mondo sul palco (cercatevi sul web le immagini di quando Robert Smith canta all’amico Simon un simpaticissimo “Happy birthday”, lo scorso giugno!), garantendo spettacoli sempre suggestivi e carichi di energia, mai la fotocopia del precedente, mai un lavoro da “impiegati” della musica. Certo, esiste un corpo di canzoni che rappresenta il nucleo principale del main set, ma Smith e soci hanno dimostrato di saper ripescare brani sperduti e chicche del passato meno scontato, tanto da farci ribadire quanto sopra richiamato: un’attenzione particolare del gruppo per il proprio pubblico ed una spontaneità pari a quella di una band debuttante. La location odierna è quella dell’Ippodromo delle Capannelle, all’interno del Festival “Rock in Roma”, per una giornata musicale che vede la comparsa, dalle primissime ore della sera, dei Cranes e dei Crystal Castles (questi ultimi già presenti a Milano). È con piacere che riascoltiamo i Cranes di Alison Show, band sponsorizzata dai Cure nei primi anni novanta. Portatori di una musica dark a tratti eterea, i Cranes hanno dato alle stampe album eccellenti (“Wings of joy” e “Forever” su tutti); la loro presenza oggi ci sembra azzeccatissima quale antipasto per l’entrata in scena dei Cure. Lo spettacolo offerto è genuino ed il pubblico incoraggia la Show anche quando alcuni inconvenienti tecnici impediscono un’esecuzione esemplare; la risposta dei musicisti è quella di ringraziare calorosamente e di scusarsi per gli intoppi, prima di lasciare il palco. Antipasto che prosegue con i Crystal Castles di Alice Glass, ovvero la prima e l’odierna “protetta” di Robert Smith: un plauso agli organizzatori. L’entrata in scena della Glass non può non essere accolta con entusiasmo. È (nel senso più buono del termine) una pazza scatenata, che pone in essere un live set energico, vitale e spontaneo; non fatichiamo a comprendere il perché Robert Smith si sia così intensamente legato al gruppo. Alle 21.30 circa, arriva il momento dei Cure. Robert Smith, Simon Gallup, Jason Cooper, Roger O’Donnell e Reeves Gabrels si posizionano sul palco, mentre l’intro musicale di “Tape” tende a lasciare il posto ad “Open”, apripista del concerto. Difficile pensare che il sopraccitato brano possa deludere. È uno dei più efficaci di tutta la discografia e pare essere concepito per rompere il ghiaccio durante le esibizioni dal vivo: anche oggi non si sbaglia. Da questo momento, partono le canzoni che costituiranno il corpo centrale del concerto. Da “High” a “The end of the world” (singolo del 2004, che Smith ripropone con puntualità ad ogni spettacolo), passando per “Doing the unstuck”, i Cure incalzano lo spettatore con un ritmo che pare essere ancora più assillante del solito. Mai una minima pausa tra un brano e l’altro, per una situazione in cui la fine della canzone precedente pare essere l’inizio forsennato di quella successiva (una sorta di gara all’esaurimento di energie!). Del corpo principale, ci piace ricordare “The caterpillar”, “Inbetween days” e “Just like heaven” (in queste arriva anche il “pogo” di una sezione del pubblico) e “Pictures of you” che rimane da più di vent’anni splendidamente a cavallo tra pop song e romanticismo estremo. Un’occhiata ai dettagli presenti in scena, ci porta ad osservare Robert mentre sfoggia un messaggio attraverso la sua chitarra nera: “2012 Citizens not objects”, un appunto che porta avanti dalla prima data. L’immancabile “One hundred years” e la supplica contenuta in “End” (“Stop loving me… I’m none of these things / smettete di amarmi, non sono niente di tutto questo”) chiudono il main set. Durante l’esecuzione dell’impareggiabile pezzo tratto da “Pornography”, la band “sembra perdere la bussola”; un errore che ci mostra un lato umano/artistico ancor più apprezzabile: Robert Smith perde il filo delle parole e, con esse, la normale e consueta melodia del pezzo. Gabrels sembra spaesato e solo l’intervento di Simon Gallup (che si avvicina all’ex collaboratore di Bowie) riesce a far tornare il tutto sulla retta via, mentre il leader non fatica a riprendere il normale corso della canzone. Il primo rientro è dedicato alla sola “The same deep water as you”, gioiello dolce e malinconico (dalla durata oceanica), contenuto in “Disintegration”. È grandissima l’ovazione per il secondo rientro, quando il gruppo propone un trio datato 1987: il bacio di “The kiss” (con un assolo chitarristico estremamente acido del leader), “If only tonight we could sleep” (dark e psichedelica insieme) e la battaglia di “Fight” sono una delle porzioni migliori del concerto odierno. E poi spazio al finale più pop (finale che, comunque, comprende ben sette canzoni!); “Dressing up”, “The lovecats, “Close to me”, “Just one kiss”, “Let’s go to bed”, “Why can’t I be you” e “Boys don’t cry”, mettono la parola fine ad un concerto che, anche oggi, ha saputo toccare le tre ore. Con queste ultime note, i Cure terminano le tappe italiane del tour. Due spettacoli diametralmente differenti che ci dimostrano l’attenzione della band verso il pubblico italiano (è come se avessimo assistito a due concerti di due tour differenti, tale è stata la varietà delle canzoni proposte). Il concerto odierno, condotto con professionalità e naturale classe, ci indica, invero, come andare in tour sia davvero estenuante per tutti. Maratone impressionanti e concerti lunghi un’eternità provano, ancora una volta, il carattere degli artisti (ma, diciamolo, un po’ anche dei fan!). Ci sono band che vanno in tour per fare un’oretta di concerto, suonare qualche hit ed essere freschi e praticamente riposati già qualche minuto dopo lo spettacolino offerto… poi ci sono i Cure. (testo e foto: Gianmario Mattacheo)