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PREMIATA FORNERIA MARCONI "Live Teatro Alessandrino Alessandria 03-12-2011 "
(2011)
La Premiata Forneria Marconi, orgoglio musicale di tutto il Bel Paese, decide di far tappa in Alessandria per dar vita ad uno spettacolo pensato per omaggiare Fabrizio De Andrè e, nella seconda parte, la propria (ed ormai lunghissima) carriera musicale. Uno spettacolo che, già dalle premesse, si annuncia praticamente diviso in due. Un modo, dunque, per accontentare un po’ tutti: gli inossidabili fan del Faber e chi, invece, è più legato alle canzoni autografe di Di Cioccio e Mussida. Personalmente, chi scrive ritiene questa scelta artistica preferibile rispetto ad un generico “PFM canta De Andrè” e, questo, non per una particolare affinità od amore nei confronti del progressive rock (di cui la PFM è esponente mondiale), ma perché consente al gruppo milanese di dividersi nelle sue due anime, senza correre il rischio di ridursi a mera cover band. È uno squadrone quello che entra in campo al teatro Alessandrino, quando non sono ancora scoccate le 21.00. Ci sono Franz Di Cioccio, Franco Mussida e Patrick Djivas (ovvero la PFM), insieme alla “PFM aggiunta”, composta da quei musicisti che, ormai da anni, gravitano intorno al celebre gruppo: Lucio Fabbri (violino, chitarra e tastiere), Roberto Gualdi (batteria), Gianluca Tagliavini (tastiere). È Di Cioccio che veste i panni del capitano (t-shirt nera con la scritta “Randagio” e impronte di cane sulla schiena) e, dopo aver ribadito le intenzioni di questa serata: “Non sarà un concerto breve!”, parte con “Bocca di Rosa”, uno di quei brani immortali nella discografia di De Andrè. Da subito si apprezzano le indiscusse doti tecniche e la buona sintonia dei musicisti, nonché l’incredibile verve di Di Cioccio che, invero, non brilla per qualità canore: la voce del frontman risulta infatti debole e poco efficace, caratteristiche che risultano tanto più evidenti se accostate al calore e alla profondità della voce espressiva del cantautore genovese. La PFM regala alcuni dei classici successi di Faber, alternandosi alla voce e agli strumenti. In alcune di queste canzoni, Di Cioccio torna al suo primo amore, martellando i tamburi della sua batteria e lasciando l’onere del cantato a Franco Mussida, la cui voce, assai più credibile e accostabile a quella di De Andrè, ci regala i momenti migliori della prima parte del concerto. Risultano infatti assai efficaci “La canzone di Marinella” e “Zirichiltaggia”, in cui Mussida è impagabile nello scioglilingua sardo, ma estremamente toccanti e passionali sono anche “La guerra di Piero”, “Amico fragile” e “Andrea”. Se Di Cioccio non si dimostra un grande virtuoso al microfono, si fa apprezzare, invece, per essere uno straordinario mattatore: salta e balla ed è costantemente attento a far partecipare il pubblico (ci troviamo anche a cantare, tra una canzone e l’altra, “Branca, Branca, Branca, Leon, Leon Leon!”) che, in effetti, risponde calorosamente. Vengono proposti alcuni brani tratti da “La buona novella”, album del 1970 di De Andrè che vide per la prima volta la collaborazione con la PFM, mentre con “Il testamento di Tito” (tra le più applaudite della serata) il pubblico può osservare Di Cioccio e Mussida duettare al canto. Quando arriva la seconda parte dello spettacolo, la PFM può finalmente sfoggiare la propria storia ed attingere dall’ormai vastissimo repertorio progressive (l’esordio “Storia di un minuto” è del 1972). Ci piace osservare i grandi vecchi sul palco. Di Cioccio è un tarantolato che non si ferma mai (sia quando è al microfono, sia quando torna dietro ai tamburi); Franco Mussida è uno sorta di mago della chitarra (sembra che possa fare tutto con il suo strumento), mentre Patrick Djivas è, tra i tre, quello che rimane decisamente più in sordina, rimanendo freddo e distaccato per tutto il concerto. Tra gli “altri” è Lucio Fabbri che si mette maggiormente in evidenza; eccelso violinista e polistrumentista in genere (tastiere e chitarre sono utilizzate questa sera), è quello che, più di tutti, meriterebbe l’ingresso a pieno titolo nella band. Ecco partire alcuni superclassici della ditta: “Quartiere otto” (da “Come ti va in riva alla città”) è una delle più riuscite di questa porzione di concerto; “E’ festa/ Celebration” è un costante inno in cui tutti i membri della PFM si dimostrano dei maestri (Di Cioccio gioca con il pubblico facendogli cantare un pezzo di strofa) e “Impressioni di settembre” è l’inno per eccellenza del gruppo. C’è veramente poco da aggiungere per quest’ultimo brano, ovvero la loro canzone più rappresentativa ed una sorta di summa artistica del gruppo. Melodia, unita ad un virtuosismo non certo comune, cambi di ritmo a ripetizione (ossia il progressive rock) ed una partecipazione corale; questo è cosa rappresenta “Impressioni di settembre” suonata live. Quando il set di canzoni targato PFM sembra volgere al termine, Franz Di Cioccio dichiara di essersi dimenticato un pezzo fondamentale della discografia del Faber, anticipando “Il pescatore”. La canzone è una di quelle che, più di altre, ci fa capire la qualità del progetto portato avanti dalla band: unire le storiche melodie di De Andrè con una musica ricca, potente (a tratti un po’ pretenziosa, ma sempre raffinata), cercando di mantenere, comunque, il rispetto dell’originale. Dopo più di due ore e mezza di un concerto tirato, i musicisti lasciano gli strumenti per prendersi l’ultima meritata dose di applausi. Di Cioccio (evidentemente non ancora esausto) batte ancora le mani incitando il pubblico e la città tutta. Festa collettiva ed un doveroso omaggio ad artisti di altissimo spessore, per un concerto assolutamente apprezzabile. (Gianmario Mattacheo & Beatrice “Sadness” Simonelli)