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DEEP PURPLE "Live Mediolanum Forum Milano 15-12-2009"
(2009)
In questa sera di metà dicembre, ci apprestiamo a vivere un concerto di un’altra grande band di “dinosauri”. Sul palco del più importante dei Palazzetti meneghini sono di scena i Deep Purple, una band che ha scritto pagine indelebili nel grande libro della storia della musica, ma capace (ancora nel 2009) di portare una folla di appassionati, pronti a celebrare gli storici padri dell’hard rock mondiale. Oltre a Milano i vecchi rocker hanno già fatto tappa a Bolzano, Jesolo, Roma e Perugia (l’ultima data toccherà, invece, il capoluogo emiliano), per un intenso tour italiano che, a sentire le varie recensioni, ha consolidato la fama e la bravura di Gillan e compagni. Gli attuali Deep Purple sono composti dal già citato Ian Gillan (voce), Steve Morse (chitarra), Roger Glover (basso), Ian Paice (batteria) e Don Airey (tastiere); per una formazione che, se sommiamo le singole età dei componenti, supera i trecento anni! Una nota a parte meritano i due Purple più nuovi della formazione. Se Steve Morse (comunque in “viola” da più di quindici anni) non è certo una sorpresa ed è riconosciuto come uno dei maghi della chitarra elettrica, la vera sorpresa è stato Don Airey, Purple dal 2002. L'inglese (già collaboratore di Judas Priest, Black Sabbath, Eletric Light Orchestra) si presenta come un gran virtuoso delle tastiere; ogni suono sembra poter creare dal suo strumento e le sue mani (ma quante sono, otto?) si muovono con velocità supersonica. Se a questo aggiungiamo una mimica notevole durante gli assoli, capiamo ancor di più perché l’assenza di John Lord non si sia fatta sentire molto. L’inizio è decisamente uno di quelli col botto. Dopo l’intro di “Dance of the Knights” (base registrata e un po' stucchevole che accompagna l’entrata in scena dei musicisti) i cinque Deep Purple esordiscono con “Highway star”, ovvero uno dei must dell’intera loro discografia. È una scelta che, almeno nel brano d’esordio, ricalca quella del loro live più celebre, quel “Made in Japan” che ha rappresentato la vetta artistica più alta degli inglesi. Ma i paragoni è bene fermarli lì. Proprio nella prima parte del concerto Ian Gillan appare in deficit di corde vocali e gli ci vogliono un po’ di brani per scaldarsi ed entrare appieno nello show. Tuttavia “Highway star” è un inno per il popolo in viola che si esalta e prende quasi per mano lo storico vocalist, facendo supplire le lacune dovute al passaggio degli anni. La carenza maggiore la notiamo nell’estensione vocale, proprio quelle note così alte che, invece, caratterizzarono il suo periodo più energico (leggi “Child in time”, non a caso non riproposta questa sera). Dopo l’irruenza di “Highway star”, si passa a composizioni più recenti: “Things I never said” e “Rapture of the deep, tratte dall’omonimo album del 2005 che, inevitabilmente, non reggono il confronto con l’apripista. Decisamente meglio con “Bludsucker” (“In rock” 1970) e, soprattutto, “Strange kind of woman”, singolo del 1971, capace di esaltare ancora interpreti e ascoltatori, con il suo swing funkeggiante e il suo ritmo incalzante. Da qui in avanti i cinque musicisti alterneranno brani storici a pezzi appartenenti agli ultimi lavori in studio (“Rapture of the deep” del 2005 e “Bananas” del 2003). Indimenticabili sono le esecuzioni di “Fireball”, e “Hush” (1968), primo singolo in assoluto della band inglese; a conclusione del pezzo, il batterista Ian Paice regala un virtuoso e non banale assolo percussivo. I Deep Purple versione 2009 si rendono simpatici nel presentarsi senza trucchi e senza inganni, volendo mettere l’accento sul versante musicale, in luogo dell’immagine: un palco dignitoso, ma non troppo pomposo e un contesto di luci appena soddisfacente. Ian Gillan è quello che meno di tutti ricorda, nell’aspetto, il passato da rocker maledetto. Se Glover si presenta con un giubbotto di pelle smanicato, bandana sulla fronte e movenze da ventenne (mirabile quando si fa girare il basso intorno al collo) e Steve Morse è impeccabile in tenuta nera, il cantante dei Deep Purple è vestito con magliettina bianca e scarpettine da ginnastica… ovvero siamo agli antipodi del capellone che gridava a squarciagola negli anni settanta, facendo innamorare le groupie del momento. La porzione di concerto che maggiormente infiamma il pubblico del Mediolanum Forum si ha dagli estratti di “Machine head” del 1972: “Lazy”, “Space truckin”, e “Smoke on the water”, cavallo di battaglia in assoluto di casa viola. Quest’ultimo brano è un vero e proprio inno generazionale; quel riff di chitarra, probabilmente il più famoso della storia del rock, non riesce proprio ad invecchiare con gli anni ed è ancora osannato sia dai fan storici, sia dai giovani e giovanissimi che iniziano ad approcciarsi alla musica di qualità. Dopo “Smoke on the water” il concerto si può concludere solo con un altro pezzo da novanta: “Black Night”, singolo del 1970, ma ancora attuale nel suo incedere incalzante, è il degno congedo per una band intramontabile. (Gianmario Mattacheo e Guido “Giasone” Caimi)