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SEX PISTOLS + WIRE   "Live Parco della Pellerina Torino 11-07-2008"
   (2008)

È da alcuni mesi che sono noti gli headliners dell’edizione 2008 del Torino Traffic Festival, in quello che è senza dubbio il miglior festival del panorama italiano. Quest’anno gli organizzatori hanno voluto creare un ulteriore tsunami, dopo che nelle edizioni passate si sono alternati sul palco torinese Lou Reed, The Stooges, New Order, Antony and the Johnson e molti altri. Ma quest’anno ci si appresta ad andare ancora oltre. Infatti, sull’ormai solito e piacevole parco della Pellerina, gli appassionati di musica di tutta Italia intervengono per assistere allo show dei riformati Sex Pistols, una band che, senza dubbio, ha cambiato il corso della storia della musica. Con un solo album all’attivo gli inglesi hanno, in quel lontano biennio 1976/1977, prima creato il genere punk (e poco conta se il primo singolo punk venne edito dai Damned) e poi, sciogliendosi, posto le basi per la futura new wave e i suoi mille sottogeneri. Un episodio che, seppure brevissimo, è stato di una portata devastante, estendendosi dall’aspetto più prettamente musicale a quello sociale; qui possiamo umilmente rimandare ai mille libri e alle altrettante enciclopedie della musica che possono essere meglio esemplificative dell’importanza avuta dai Sex Pistols su più generazioni. I detrattori? Molti, come ovvio. La reunion puzza di “affare” e di soldi fin dall’origine (ma, al riguardo, non “puzzava” già la genesi del gruppo ad opera di McLaren nel 1976?) e poco conta che lo stesso Johnny Rotten nella rimpatriata del 1996 ammise che l’elemento lucroso fosse la prima e forse l’unica ragione del loro ritorno. Uno sguardo ai numeri. Giornali e organizzatori parlano di cifre che fanno girare la testa: 100.000 secondo alcuni, più verosimilmente 70.000 secondo altri. Per evitare un’eccessiva stasi del capoluogo piemontese, gli organizzatori hanno realizzato un ottimo sistema di navette tale da evitare il congestionamento di veicoli che avevano come punto di ritrovo il parco della Pellerina. Giunti nella bolgia della manifestazione, incrociamo personaggi tra i più disparati: irriducibili punk della prima ora e giovani cresciuti con la maglietta di Sid Vicious incollata al corpo da anni, ma anche appassionati di musica che non vogliono perdersi l’evento, oltre ai soliti personaggi presenti ad ogni concerto (….“mi hanno detto che ci sono i Sex Pistols …. chi? esco per non stare a casa”). Se questa è la cornice descritta, ben si comprende come sia passata in secondo piano la notizia che i Wire suonino come gruppo di spalla. Senza aprire un’altra parentesi della parentesi, ci piace unicamente ricordare che anche i Wire rappresentano un’altra storica e gloriosa band che contribuisce a rendere ancor più speciale la serata odierna; serata che, nello stile della manifestazione, continua a caratterizzarsi per la completa gratuità degli spettacoli offerti. Ma su Torino, mentre stanno finendo il proprio set i Plastination, accade quello che nessuno vorrebbe ad un concerto: un diluvio universale. Mezz’ora di temporale devastante che interrompe tutto e bagna chiunque abbia avuto la disgrazia di transitare alla Pellerina in questo venerdì estivo. Nota di colore: ci troviamo ad un concerto punk, vero? E allora ecco che, nel pieno del temporale, gli irriducibili dei Sex Pistols (ma anche Clash, Rancid e altri sono omaggiati nelle magliette sdrucite degli intervenuti) si gettano completamente nelle “piscine” che hanno preso forma tra i sentieri. Giù il cappello, per la temerarietà! Il set dei Wire (anticipati sul palco dai milanesi Punkreas), ha inizio alle ore 21.30, quando il parco della Pellerina è già praticamente saturo. Wire quasi al gran completo. Ci sono Colin Newman, Robert Gotobed, e Graham Lewis (Bruce Gilbert, membro originario della band, ha rinunciato a proseguire l’avventura): propongono il solito e carichissimo live set in cui il frontman si scatena urlando a squarciagola, proponendo brani dell’ultimo “Object 47”, ma attingendo molto anche dal classico repertorio (all’interno del quale, le canzoni di “Send” del 2003 sono entrate a pieno titolo, risultando tra le migliori loro esecuzioni). È curioso notare come i Wire abbiano sfornato questo eccellente “Object 47” che ci riporta alle sonorità di “154” (a giudizio di chi scrive il loro miglior album), ovvero il loro disco wave, proprio adesso in cui sono chiamati a celebrare, insieme ai Sex Pistols, il movimento punk. E, scorrendo nella discografia, i Wire hanno prodotto dischi assolutamente punk al 100%: l’esordio di “Pink flag” (1977) e “Chairs missing” (1978), pietre miliari del genere, ma anche “Send”, quest’ultimo definibile punk, almeno per spirito ed irruenza. Lo show dei Wire si presenta d’impatto e ha il merito di incuriosire le molte persone intervenute alla Pellerina unicamente per i Pistols. Chi non li conosceva andrà a casa con la certezza di avere osservato una grandissima band; chi già ne apprezzava le gesta, confermerà l’ottima reputazione del gruppo di Newman. Un’ora di concerto senza interruzioni e senza flessioni in cui probabilmente le migliori esecuzioni sono state “The15th” (da “154”) e la recente “One of us”; non ci rimane che confermare l’opinione che già avevamo di loro, introdotta, peraltro, dallo storico dj Mixo, presentatore d’eccezione del Traffic Torino Festival. Alle 23.00 scatta l’ora dei Pistols. I ragazzini sembrano davvero in estasi, mentre la tensione cresce in prossimità del palco (e chi glielo spiega adesso che Sid Vicious non c’è più?). Subito la provocazione: ancor prima di iniziare lo spettacolo, Rotten si incazza con il pubblico per il lancio di bottiglie di vetro sul palco (a poco erano serviti i consigli, precedentemente impartiti da Mixo), lanciando una serie di “Fuck” un po’ ovunque. Un colpo di chitarra e i quattro membri originari dei Sex Pistols fanno il loro ingresso sul palco. Lo schiamazzo del pubblico è uno dei più alti uditi da chi scrive nella (più o meno lunga) carriera di spettatore di concerti rock. Il punk entra in scena al gran completo, ovvero nella sua formazione originale: Johnny “Rotten" Lydon (frontman del gruppo e successivamente leader dei Public Image Ltd), Steve Jones (chitarra), Glen Matlock (basso), Paul Cook (batteria). Eh, già perché quel Sid Vicious che ispirò molti ragazzi (e molti continuano a subirne il fascino) entrò nella band solo dopo la registrazione di “Never mind the bollocks”, subentrando ad un più ordinario (e meno vendibile) Matlock. È “Pretty vacant” che ha l’onere di aprire. Rotten è vestito in stile Arlecchino (camicia lunga e colorata che gli arriva fino alle ginocchia), Steve Jones (enorme con i suoi circa 130 chili) è in pantaloncini e scarpe da ginnastica, mentre Matlock ha l’aspetto di un distinto signore inglese. In molti ironizzano sull’aspetto dei Pistols: “ma sembrano solo dei vecchietti!”. Detrattori che poco hanno avuto a che fare con lo specchio… come se loro fossero uguali a trent’anni fa. Siamo invecchiati tutti, vero? E con noi sono invecchiati (almeno nell’aspetto fisico) i Pistols. Si alternano le conosciutissime song che hanno fatto la storia del punk mondiale. È dirompente “No feelings”, in cui il pubblico canta in coro, mentre “Liar” è eseguita ancor più aspra rispetto all’incisione dell’album. Siamo sorpresi di vedere uno spettacolo autentico; il rischio dell’enorme farsa era veramente dietro l’angolo. Invece Rotten e Co. riescono a essere credibili riproponendo hit vecchi di trent’anni. Steve Jones produce dalla sua chitarra riffs graffianti e puntuali, risultando sempre impeccabile, mentre il vocalist dimostra di avere ancora buone corde vocali e un’innata tendenza nello fare lo spettacolo. Parla con il pubblico, scherza, si incazza, fa i versi e balla come uno scimmione, mentre snocciola “New York”, “Submission”, “No fun” (cover degli Stooges di Iggy Pop) e altre. Osserviamo il futuro leader dei PIL bere molta acqua tra un pezzo e l’altro, ma quando si gira verso il pubblico alza ben in vista la bottiglia di scotch (crediamo che i suoi punk preferiscano così), ottenendo un’ovazione generale. Prima di attaccare con “God save the Queen”, chiede al pubblico se qualcuno vuole cantare insieme ai Sex Pistols. Il risultato è un boato che accompagna la più nota canzone del gruppo. Ma l’entusiasmo è ancora maggiore per “Anarchy in the UK”. È davvero bello vedere il trasporto dei giovani scatenati sostenitori che alzano le braccia sotto il palco (qualcuno viene fatto trasportare sulle teste degli altri, in perfetto stile punk). Un’eccezionale sorpresa per l’ultimo rientro. Johnny Rotten annuncia che eseguiranno “Silver Machine” degli Hawkwind. In realtà non sappiamo quante persone conoscano quest’ultimo bis, ma certamente il riproporre la canzone del gruppo che fu di Ian Lemmy Kilmister è stata cosa gradita. Pensavamo ad una pagliacciata (che comunque andava vista, in onore della storia); pensavamo ad uno spettacolo senza dubbio al di sotto delle (tante) aspettative. Invece i Sex Pistols hanno dimostrato di poter vincere la sfida, risultando non solo credibili, ma anche potenti. Non è facile realizzare tutto questo con il peso del nome che portano. C’è ancora il tempo per l’ultimo “Fuck” e per un’ultima incazzatura verso un fan molto agitato. Realtà o finzione? Verità o gioco? La gente se lo chiede dal 1976. E intanto loro vanno avanti, probabilmente godendosela un sacco. (Gianmario Mattacheo e Silvia Campese)