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VAN MORRISON   "Live Teatro degli Arcimboldi Milano 11-04-2008"
   (2008)

E così Van Morrison è tornato, con un nuovo disco e un nuovo tour, che l’ha visto in Italia per sole due date sul palco del Teatro degli Arcimboldi a Milano. Ma come, ancora Van Morrison? Ma non fa lo stesso disco da trenta anni? Però sembra che in questo periodo sia piuttosto in forma, e così, per l’ennesima volta, si va all’appuntamento con l’irlandese. In effetti già dall’ingresso sul palco, sembra in ottima forma. Sax in mano, intro decisa, parte con una serie di tre brani travolgenti, senza soluzione di continuità. Il palco sembra ricostruire l’atmosfera dei jazz club, sia per i giochi di luce, molto semplici e raffinati, sia soprattutto per la disposizione dei musicisti, tutti raccolti intorno al leader, in poco spazio, anche se il palco degli Arcimboldi permetterebbe una sistemazione ben più allargata. E l’intesa con la band è davvero perfetta. Già dal primo brano, Van lascia molto spazio ai dieci musicisti che l’accompagnano, con assoli di violino, chitarra, organo, tromba, e da vero band leader gli basta un piccolo gesto con la testa per far passare l’assolo da un musicista all’altro, tutti grandi solisti. Ma la parte del leone ovviamente è la sua. Ottimo l’assolo di sax in “Magic Time”, ancora al sax per una bella versione swing di “Have I Told You Lately That I Love You?”, poi imbraccia la chitarra, e parte alla grande con “Vanlose Staiway”, nel cui finale si lancia in un vocalizzo entusiasmante, che porta il pubblico ad un lungo applauso a scena aperta. Indubbiamente Morrison è davvero in ottima forma, e per tutto il concerto dà prova anche della sua bravura come strumentista, alternandosi tra sax, chitarra, piano, armonica. Ma quello che più colpisce, è il suo essere un tutt’uno con la musica che esegue: lo si vede negli assoli, negli stacchi, nei vocalizzi con cui accompagna i suoi assoli o risponde a quelli dei suoi musicisti. Pochi i grandi classici del suo repertorio, ma ne ha scritti talmente tanti che non basterebbero due concerti. Inutile quindi contare i brani che mancano all’appello, meglio contare le sorprese: “Tupelo Honey”, splendida, con un bell’assolo di chitarra, una versione countyeggiante di “I Can’t Stop Loving You” con un crescendo finale in pieno Morrison style, che strappa ancora una volta applausi a scena aperta, e il blues strappa cuore di “St. James Infirmary”, introdotto da un dialogo tra la tromba e il sax di Morrison, che in questo brano forse dà il meglio di se, come musicista e come cantante, dimostrando cosa vuol dire cantare e suonare con l’anima. Dopo novanta minuti scarsi di musica, toglie il microfono dall’asta, e continuando a cantare si avvia verso l’uscita del palco. Niente bis, ma nessuno reclama. Quest’uomo quando suona regala un pezzo della sua anima: cosa si può chiedere di più? (Giorgio Zito)