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04/01/2022   GEOFFREY DE VAI
  ''Suonare del pop che sia di qualità è un’impresa tutt’altro che semplice...''

Ciao. Molte militanze in varie bands (Starry Eyes, Bluecaos, Lucida, Rossomargot, Raging Times). Che matrici stilistiche hai espresso con loro e con quali risultati? ''Del periodo con gli Starry Eyes porterò sempre dentro quella sua giostra luccicante di glam e rock in tutta la sua sfrontatezza. Pura energia. Quello è stato l’inizio di tutto, il mio imprinting artistico. Con i Bluecaos si può dire che sia avvenuta una vera e propria evoluzione, in un certo senso necessaria all’epoca. Abbracciare la dimensione dell’alternative rock ha rappresentato una fase caratterizzata da tanta devozione e altrettanto sudore. Rappresenta il momento in cui sono stato costretto ad esplorare e comprendere le reali potenzialità della mia voce per poterle sfruttare appieno. Questo è stato possibile solo grazie ad uno studio metodico e tanto sacrificio. Contrariamente a quanto si potrebbe essere portati a pensare, suonare del pop che sia di qualità è un’impresa tutt’altro che semplice, per questo ricordo quello dei Lucida come un progetto particolarmente impegnativo. Questo anche perché la sfida di interpretare melodie pop con una voce talmente rock che molti non avrebbero esitato a definire abrasiva, all’epoca rappresentava una scommessa molto rischiosa e mi spaventava parecchio, ma vincerla è stato stupendo, ed è stato ancora più gratificante il fatto che il frutto del nostro impegno è stato poi firmare un contratto discografico con una major. Un’esperienza indimenticabile è anche quella vissuta con i Rossomargot. Una tappa assolutamente fondamentale per me, che si colloca subito dopo il progetto Lucida con Universal e che precede l’uscita del mio primo album, ''Delicante''. In molti dei miei brani, sia di quest’ultimo che del disco precedente, suonano artisti che componevano quella formazione. Mi spiace che il progetto non abbia raccolto i consensi che meritava, sono convinto che avesse un suono eccezionale che valga la pena ascoltare con attenzione. Quello di Raging Times è un progetto indipendente di Luca del Sole, mio attuale manager, al quale ho collaborato prestando la mia voce per tre singoli scritti e prodotti tra il 2019 e il 2021. Si tratta di un’iniziativa molto interessante che ha coinvolto artisti italiani e polacchi, sviluppatasi durante i primi due anni di pandemia. La produzione è stata realizzata dal River Studio di Claudio Luce, a Monzambano, e ha visto anche la partecipazione del mio produttore storico, Paolo Agosta, che ha mixato la mia voce dal suo Bunker Studio di Milano. I tre singoli ''I Wish You'', ''Where'' e ''Grida il mio Nome'' propongono musicalità pop-rock che ricordano le atmosfere delle ballad di fine anni Novanta; sono pubblicati su tutte le principali piattaforme streaming e i video sono disponibili sul canale YouTube Raging Times. Un progetto dal taglio molto personale che a noi è servito come banco prova per lavorare alla promozione del mio nuovo album''.

Comunque, a 44 anni, non sono molti gli artisti che possono vantare un fitto background come il tuo. Direi, quindi, anni intensi e molto soddisfacenti, no? C'è qualcosa che non rifaresti? ''Quasi nulla. Sono soddisfatto di tutto il mio percorso e amo profondamente ognuna delle cose che ho fatto e che hanno contribuito a portarmi fin qui, a parlare di questo mio ultimo lavoro. Chiaramente si tratta di una strada molto spesso in salita, lo è tutt’ora, ma tutto è servito. Non sono forse la fatica e le delusioni a renderci ogni volta più forti? Sono stato performer in una band di pazzi e sognatori. In seguito, sono diventato interprete in progetti di rilevo, che vantano produzioni curate da professionisti importanti. Oggi sono qui, in veste di cantautore che propone progetti suoi a cui hanno accettato di collaborare artisti di indiscusso livello. In queste mie tre vite ho avuto la fortuna di suonare, piangere, ridere e vivere con esseri umani speciali. Questo è il più grande dono che la musica mi ha fatto''.

Dal tuo esordio solista "Delicante" al nuovo "Respira il mio respiro" sono passati 6 anni. Perché questo lungo periodo? ''In realtà l’album era già pronto due anni e mezzo fa, ma la pandemia del 2020 ha costretto me come altri artisti a congelare la pubblicazione del nuovo lavoro. Ovviamente mi rendo conto che sei anni per realizzare un nuovo disco siano effettivamente tanti, ma non essendoci un progetto discografico ben definito, non aveva senso avere fretta. Questo in qualche modo si è rivelato essere un bene. Non avere alcun tipo di pressione, sia manageriale che artistica, mi ha permesso di dedicarmi al disco con cura e tanta pazienza. Inizialmente avevo concepito questo progetto con l’idea di provare ad allontanarmi delle atmosfere del primo album, esplorando anche soluzioni stilistiche nuove. In questo senso mi sono preso tutto il tempo di cui avevo bisogno per lavorare al meglio che potevo. In particolare, alla luce della volontà di sperimentare nuove sonorità, ho sentito il bisogno di dedicare molta attenzione al confronto con gli artisti che hanno collaborato con me. Volevo che il risultato finale fosse un buon prodotto, spero di esserci riuscito''.

Dell'album mi piace la varietà stilistica. Oltre ad essere una tua mira personale, in parte è dovuta anche all'apporto di special-guest come Massimo Luca (chitarrista nel giro di Battisti e De Andrè), Roberto Dell'Era (basso degli Afterhours) ed Esa El Presidente? ''No, loro sono arrivati dopo che i brani erano già ad uno stadio molto avanzato della produzione. Tuttavia, in quella fase sentivo il bisogno di collaborare con artisti così diversi tra loro. Sapevo che era la cosa giusta da fare nell’ottica di voler ottenere il risultato di far convivere anime diverse nello stesso album. A tal proposito mi fa molto piacere che tu abbia apprezzato questo aspetto del progetto, per me è un feedback molto importane, dal momento che era proprio il messaggio che volevo passasse''.

Già tre i singoli estratti: ''Vuoti amari'', ''Nasconderai'' e ''D.S.E.'': perché la scelta è caduta su essi? ''Molto semplicemente perché quando è arrivato il momento di sedersi e decidere quali sarebbero stati i singoli, ognuno ha detto la sua e tutti, produttore, manager, discografico e io, abbiamo espresso tutti la stessa preferenza per quei brani. Quindi ci è sembrato che non ci fosse granché da discutere e abbiamo deciso che quelli potevano essere la scelta giusta. Adesso si tratta di aspettare e capire se il pubblico ci avrà dato ragione''.

Nel sound, si captano matrici di Jeff Buckley e Damien Rice: magari, i tuoi Big ispirativi sono altri? ''La verità è che non c’è un genere o un artista specifico cui ispiri il mio stile in modo diretto, amo la musica in generale e mi piace esplorare dimensioni anche molto diverse tra loro. Questa è la ragione principale per cui nei miei lavori è possibile percepire influenze spesso distanti. Se proprio dovessi indicare alcuni nomi che ritengo più vicini di altri alla mia visione musicale e che in passato hanno contribuito a darle la forma che ha oggi, citerei Prince su tutti, poi Nine Inch Nails, Casino Royale e indubbiamente, come giustamente sottolineato, Damien Rice e Jeff Buckley''.

Nasci in Francia ma hai transitato per varie città: Sanremo, Londra, Milano. Quale preziosità hai raccolto in questi spostamenti, oltre all'incontro col producer Marco Trentacoste (Delta V, Vibrazioni)? ''L’eredità di quello che potrebbe sembrare essere stato un vagabondare senza una meta precisa è indubbiamente una visione musicale e artistica molto aperta. La verità è che tutti i miei spostamenti sono sempre stati fatti per seguire la musica, se si esclude quello dalla Francia all’Italia dove da bambino mi sono trasferito con la mia famiglia. Personalmente ho sempre fatto in modo che tutto dei luoghi in cui ho vissuto, suoni, colori, persone, mi contaminasse scevro da preconcetti. Mi piace abbandonarmi e lasciarmi assorbire dai contesti in cui mi trovo di volta in volta, sono convinto che questo sia fonte di arricchimento. Quello che ne è risultato è un’arte non a senso unico, ma in continua trasformazione, e quando scrivo spero sempre che questo possa essere percepito. Quella con Marco Trentacoste è un incontro che risale agli anni 2000 ed è stata un’esperienza illuminante che, come altre, ha lasciato il suo segno. Ricordo di aver avuto allora la sensazione che lui fosse una sorta di enfant prodige, quasi un visionario, per cui il mercato mainstream italiano dell’epoca non mi sembrava davvero pronto''.

Stai stilando date per promozionare il disco? Come imposti i tuoi Live? ''Sia con il mio management che con la mia attuale etichetta discografica stiamo lavorando per poter suonare dal vivo il più possibile nei prossimi mesi. Riteniamo che sia il modo giusto per promuovere il genere di musica che faccio. Purtroppo, i noti sviluppi legati alla situazione sanitaria sembra renderanno nuovamente le cose estremamente complicate per tutto il comparto della musica e dello spettacolo. Amo il contatto con il pubblico e le performance live sono l’aspetto della mia attività artistica che sento più vicino al mio modo di essere e di esprimermi. Di solito pianifico le mie esibizioni dal vivo in modo tale da coinvolgere il più possibile il pubblico presente. Sono ossessionato dalla loro partecipazione, perché ritengo sia il riscontro più veritiero di quanto abbiano apprezzato la mia musica e quando lascio il palco non sono contento se non sono riuscito a farmi accompagnare dal loro battito di mani su almeno una delle mie canzoni''. (Max Casali)