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27/03/2025   VORIANOVA
  ''Sentirsi uguali nelle mille sfaccettature e nelle mille sensibilità identitarie dell’essere umano...''

Eccolo “Tempi scueti”, un disco in bilico nel tempo e nello spazio, nel suono e nei modi. In bilico perché il duo ormai consolidato formato da Biagio Di Gesaro e Alessandra Macellaro La Franca, porta in scena con un piglio decisamente maturo, una canzone che guarda al passato per i contenuti e punta al futuro nell’estetica. Suoni digitali mescolati agli antichi mestieri. Il dialetto di una Sicilia di confine mescolato al pop radiofonico di nuove tendenze. Un gran mestiere di sintesi…

La provincia italiana e questo disco: secondo voi è collegato come tema? Perché io lo trovo un disco decisamente di tutti… eppure tanta critica lega questo lavoro alla provincia. Che ne pensate? ''Il nostro è un disco che vuole ribaltare la concezione provinciale sull’uso del dialetto in musica. D’altra parte soffermarsi sulla comprensione dei luoghi significa anche comprendere il valore che la società consegna alla musica. E se invece i dialetti fossero considerati lingue di tutti? Lingue auliche, millenarie, colte se vogliamo, non dimentichiamo che è da lì che ha vita la nostra lingua italiana. Noi abbiamo voluto coniugare il presente del nostro dialetto con il presente della musica elettronica, per permettere all’ascoltatore di comprendere appieno il senso del luogo, in un viaggio tra passato, presente e futuro. Il tutto veicolando messaggi di denuncia sociale e resistenza, un modo per far comprendere a tutti l’importanza di sentirsi uguali nelle mille sfaccettature e nelle mille sensibilità identitarie dell’essere umano''.

Quanto di questo suono è reale? Quanto invece è digitale? ''Il disco è nato da uno strato analogico, che è quello del pianoforte per alcuni brani, della chitarra per altri. Da qui, grazie al lavoro artigiano del nostro produttore musicale e arrangiatore Leonardo Bruno, sono cominciate le prime sperimentazioni che hanno portato a condurre una ricerca sulla manipolazione sonora in cui abbiamo provato a scolpire i suoni modellandoli come uniche espressioni della nostra identità. La curiosità è stata la nostra bussola, un desiderio condiviso di superare gli schemi e di esplorare nuovi territori sonori. Messi da parte i preconcetti, ci siamo immersi in un viaggio musicale, setacciando i meandri dell’elettronica più sperimentale. In “Tempi scueti” reale e digitale convivono assieme, ma c’è tanto pianoforte, c’è la chitarra e c’è anche un quartetto d’archi, strumenti che rappresentano il collante tra la tradizione e la sperimentazione, strumenti che lasciano un’impronta di umanità in così tanta elettronica''.

Nella voce l’impostazione la trovo decisamente cantautorale ma anche in modo assai classico o sbaglio? ''Sì, è vero, il mondo da cui nasciamo affonda le radici nel cantautorato italiano ed è inevitabile che l’impronta si senta forte. D’altra parte noi ci occupiamo di canzoni e forse siamo ancora legati a quella forma tradizionale di canto che vuole farsi strumento di comunicazione in modo semplice e diretto, senza fronzoli, limpido e naturale''.

Esistono anche spazi che avete lasciato a qualche tipo di improvvisazione? ''No, il tutto è stato assemblato come tanti mattoncini musicali, ognuno dei quali sostiene l’altro in una simmetria che è funzionale a questa costruzione musicale che contraddistingue “Tempi Scueti”. Abbiamo lavorato sulla sonorità del nostro dialetto, intrecciando le parole della nostra letteratura con sperimentazioni musicali audaci. Il vecchio e il nuovo si sono fusi in un connubio inaspettato, creando un sound particolare. Incastri ritmici e sonorità enigmatiche, il tutto condito da una buona dose di pop e rock. Un continuo fluire di groove e beat che ci ha coinvolti fin dalla prima nota. Il nostro disco è come una partitura classica, rigorosa e complessa, ma allo stesso tempo vibrante e appassionata''.

Quanta critica sociale c’è dentro questo disco? Brani come “Farsu”, “Cu sa se cancia”, “L’invenzioni”… ''“Tempi scueti” è un disco che, come un grido lacerante, denuncia le storture del nostro tempo. Un'opera che non si limita a descrivere la realtà, ma la interroga, la mette a nudo, la giudica. Abbiamo voluto essere cronisti del nostro tempo, abbiamo voluto essere la voce di chi non ce l’ha, abbiamo voluto onorare la memoria di chi ci ha insegnato a combattere e resistere in un mondo in cui i deboli sono continuamente sopraffatti dai forti. Temi come la lotta alla mafia, la tratta di esseri umani nel Mediterraneo, l’uso della tecnologia a favore della guerra, le nuove malattie come la “sindrome della rassegnazione” nei bambini profughi, la dipendenza dai social, la violenza di genere, sono tutti i temi che risuonano nei nostri brani con costante coraggio e speranza. Crediamo ancora nel valore e nel potere della musica come veicolo di cambiamento sociale''.