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20/12/2024
09/02/2021 KIOL
''La musica dal vivo è l’unico modo di parlare direttamente alle persone...''
Chi è Kiol? ''Kiol è semplicemente un ragazzo di Torino che ama la musica, raccontare storie, godere di ogni piacere di questa vita e viverla nel modo più positivo possibile!
Il mio amore per la musica è nato quando ero molto piccolo. Avevo un amico un po' più grande di me che suonava la batteria. Un giorno andai a casa sua e me la fece provare. Il giorno dopo costruivo sul letto di camera mia una batteria usando le custodie delle videocassette su cui sbattevo con forza dei mestoli di legno. Rotte tutte le cassette, mio padre fu costretto a prendermi una batteria muta. Da li iniziò tutto; le prime band, i primi contest, le prime registrazioni, imparare a suonare altri strumenti, a cantare, e infine, a scrivere le mie canzoni.
Nel 2014, quando passai 3 mesi a Mallow, in provincia di Cork (Irlanda), conobbi un sacco di persone del posto con cui iniziai ad uscire. Una sera mi esibii per loro e da quel momento insistettero nel farmi portare la chitarra ogni volta che ci vedevamo! Proprio durante quell’estate, loro decisero quale sarebbe stato il mio nome, che in gaelico antico significa musica. In realtà sarebbe scritto “Ceol” ma la pronuncia mi fece pensare a Kiol e subito me ne innamorai.
Da allora ho scritto e suonato senza sosta ogni giorno della mia vita''.
Raccontaci un aneddoto legato al tuo album, "Techno Drug Store". ''L’album ''Techno Drug Store'' non è nato come tale, ma più come una selezione delle canzoni che più mi piacevano. Il titolo dell’album viene dall’omonima canzone, la traccia numero 5. Oltre a essere un titolo che mi piace molto, l’ho scelto perché rappresenta benissimo l’eterogeneità dell’album. ''Techno Drug Store'' per me è il mondo in cui viviamo oggi, un mondo pieno di possibilità che, grazie alle tecnologie, lascia quasi l’imbarazzo della scelta e rende più difficile per noi giovani “scegliere” quale strada percorrere nella vita; una via che un tempo poteva sembrare sicura e retta oggi non darebbe le stesse sicurezze a chi la intraprende. Ecco perché “Drug Store”, un gigantesco supermercato che offre talmente tante scelte che, se non hai le idee chiare, rischia di farti perdere la strada. ''Techno'' invece, non rappresenta un genere musicale, ma il fatto che siamo sempre più legati a vivere la nostra vita tramite la tecnologia (smart working, registrare un album su un computer, laurearsi in una università di londinese vivendo a Torino ecc..)''.
Come è stato aprire i concerti di importanti artisti internazionali? ''In due parole? Un sogno! Ho avuto la fortuna di essere opening act di artisti molto importanti, quali Natalie Imbruglia, Jack Savoretti, Negrita, Placebo, Patty Smith, Joan Baez, Eros Ramazzotti. Grazie a loro ho suonato su palchi che non avrei neanche mai sognato di vedere (Olympia di Parigi, 02 Academy & Sheperd’s Bush a Londra…). Non immaginavo di poter addirittura stringere amicizie, come è successo con alcuni di loro, ma la cosa più importante che ho imparato da questi “Big” della musica è quanto questo sia un lavoro che necessita una solidità impressionante, e soprattutto quanto lavoro duro ci sia dietro la facciata della Rockstar. La passione per la musica è la cosa principale, la cosa per cui ogni artista inizia la sua carriera, ma per rendere quest’ultima di successo, dietro ci sta un lavoro enorme non solo dell’artista, ma anche di tutte le persone fidate con cui scegli di percorrere la tua strada''.
Cosa ti manca di più dell'esibirti di fronte ad un vero pubblico? ''Dopo 150 concerti sono arrivato alla conclusione che la musica dal vivo è l’unico modo di parlare direttamente alle persone e di vedere le loro reazioni alla mia musica. All’inizio del 2020 avevo appena finito di produrre il mio primo album e avevo già in programma di suonarlo dal vivo di fronte al maggior numero di persone possibile. Qualche mese dopo però è arrivato il COVID. Siccome mi sono sempre concentrato sul cantare dal vivo e portare la mia musica ovunque si potesse, mi sono ritrovato nella situazione in cui l’unico modo per parlare alle persone era tramite i social networks. Inutile dire che non avendo mai improntato la mia carriera sull’utilizzo dei social, mi sono ritrovato, e tuttora mi ritrovo fermo, in attesa di poter ricominciare a suonare le mie canzoni davanti al mio pubblico. Credo di parlare a nome di molti musicisti quando dico che rapportarsi con i tuoi fans tramite le piattaforme digitali non potrà mai competere con l’emozione e la realtà della musica dal vivo. Il COVID ha penalizzato tanti di noi, che, essendo piccole realtà indipendenti, basavano tutto sul rapporto diretto con le persone che venivano ai live. Nonostante questo blocco totale, che dura ormai da quasi un anno, ho pubblicato il mio primo album lo scorso ottobre, nella speranza di regalare qualche emozione alle persone che mi seguono. Inutile dire che se avessi potuto portare questo album live, avrei potuto godere a pieno del lavoro fatto. Rimanendo invece dietro uno schermo, anche se i risultati sono stati buoni, sento un distacco totale tra me e le persone che mi ascoltano.
Come tanti altri miei colleghi sto solo aspettando il momento in cui la gente si potrà di nuovo riunire per sudare e urlare insieme sotto un palco. Fino ad allora continuerò a fare uscire la mia musica e a tenere aggiornate le persone che mi seguono tramite i social, consapevole però di perdermi i loro sorrisi, le urla, il sudore, le lacrime, che da sempre mi rendono felice di essere un musicista''.
Pensi che il fatto di cantare in inglese ti penalizzi in Italia? ''La mia non è stata una vera e proprio scelta, quella di cantare in inglese; ho sempre amato quel tipo di sonorità e sin dalle prime cover e dai primi testi ho sentito il bisogno di esprimermi in inglese. Dopo anni di esperienza e di abitudine nello scrivere in questa lingua, ormai è diventata essenziale per me per dar voce ai pensieri più intimi. Non credo sia penalizzante in alcun modo, sono italiano e ne vado fiero, ma la mia musica non lo è! Ovviamente alcuni italiani, o francesi o tedeschi quando ascoltano la mia musica non capiscono subito il senso delle mie parole. Ma sono convinto che se ad una persona piacciono le mie canzoni, che siano in inglese, spagnolo, francese o italiano, si leggerà i testi, li tradurrà, li interpreterà e verrà sotto il palco ad urlarli insieme a me''.