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20/12/2024
07/07/2020 ENTEN HITTI
''Ogni ascolto uno specchio. Ogni specchio una creazione...''
Abbiamo intervistato Pierangelo Pandiscia degli Enten Hitti.
Ciao Pierangelo e grazie di essere con noi a Music Map. Prima di avviare la nostra chiacchierata, da neofita della vostra musica, scoperta tardivamente con “A tutti gli uragani che ci passarono accanto” (Lizard Records, 2020) - “mea culpa” certo, ma rispetto all’autodafé opterei per l’autoassoluzione, preso atto che è impossibile seguire tutto quello che si vorrebbe, dico bene? :-) - , ti chiederei di sorbirti questa mia premessa per preparare il terreno ed agevolare (spero) il lettore: ok? ''Certo! Andiamo cosi…''.
Ex-abrupto: credo che il nuovo disco mi abbia, almeno inizialmente, portato fuori strada. Mi spiego: i 9 brani di taglio minimalista, guidati da una voce femminile convincente ed espressiva, con melodie accattivanti quanto lontani dalle ingannevoli sirene pop, mi avevano dirottato su binari per me inconsueti, di matrice folk, centrati sull’importanza dei testi e sulla struttura-canzone. L’ultima traccia però (Dea mangiamele) mi ha “insospettito”, sollecitando il mio mai sopito interesse verso quello che a fine anni settanta (epoca della mia perduta giovinezza) si definiva “sperimentazione”, “avant-progressive rock” o “rock sperimentale” che dir si voglia. Leggendo la vostra biografia ho avuto l’impressione di entrare in un atrio con diverse porte dove ciascuna conduce in stanze interessanti quanto poco familiari (torneremo su questo punto). Leggo infatti su Wikipedia che “Il progetto è di costituire un gruppo aperto, un laboratorio sonoro per l'esplorazione e la ricerca delle intersezioni fra elettronica, musiche rituali ed etniche e canzone d'autore (https://it.wikipedia.org/wiki/Enten_Hitti)”. La forma canzone è una di queste, quindi non affatto estranea alla vostra proposta: prima di entrare nella “stanza degli uragani”, vuoi dirci come si sono avvicendate e/o integrate queste diverse anime della vostra proposta musicale? ''Bella l’immagine dell’atrio con diverse porte. E ciascuna porta un mondo. E’ proprio cosi. Ciascun mondo corrispondeva inizialmente ad un certo tipo di ascolti. Third Ear Band, Penguin Cafe Orchestra, Terry Riley, Popol Vuh, Tuxedo Moon, ma anche le canzoni tristi e disperate di Nick Drake, di Nick Cave, di Robert Wyatt e degli italiani… Rocchi, Lolli, Battiato... Tutto questo rivelava corrispondenze e suggestioni. Ogni ascolto uno specchio. Ogni specchio una creazione. Spesso in parallelo, spesso senza pensarci troppo. Non ci interessava fare sperimentazione come scelta razionale. Quello che usciva usciva… Facce diverse di una stessa medaglia. E la medaglia si chiamava e si chiama tuttora: profondità, solitudine, intensità''.
Sin dalle sue origini nei seventies la nicchia dell’avant-rock può vantare anche in Italia una significativa tradizione: dal primo Battiato agli Area, agli Stormy Syx, abbiamo un filone che per fortuna è riuscito in qualche modo a sopravvivere e ritagliarsi i suoi spazi fino ai nostri giorni (doverosamente, aggiungo, grazie anche a etichette come la Lizard Records e alle altre indipendenti che danno priorità alla qualità artistica e alla ricerca rispetto ai diktat del mercato. Sto pensando a Yugen, Officina F.lli Seravalle, Runaway Totem, Anatrofobia... e mi fermo qui). Cosa rappresenta per voi oggi questa nicchia musicale (e non solo)? ''E’ il latte… ci ha nutrito. E’ parte di noi…''.
Il vostro “laboratorio sonoro” è connesso con altre forme d’arte, in primis con performance teatrali, ma non solo… ''La musica è un veicolo per esprimere qualcosa di sé… per trasformarsi... Ma non è il solo. La separazione fra le arti è un concetto molto moderno, frutto di una logica iper specialistica... Alle origini musica, teatro, danza erano indissolubilmente uniti e compenetrati. Ci viene spontaneo prendere quella via… modi diversi, ma connessi, per arrivare al centro di sé. Al centro della relazione con chi è presente (non ci piace molto chiamarlo pubblico, meglio testimoni, partecipanti). Più che musicisti in senso stretto ci piace immaginarci come officianti di un rito comunitario dove utilizzando vari veicoli aiutiamo chi partecipa a tornare a sé… trasformando loro ci trasformiamo…''.
Vediamo più da vicino i contenuti della stanza “A tutti gli uragani che ci passarono accanto”. Come si colloca quest’ultimo (nono) disco della vostra produzione? ''In verità “A tutti gli uragani che ci passarono accanto” è un disco che risale al 2005 e raccoglie l’onda lunga di un contratto con Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni siglato nel 1998. Sono un pugno di “canzonette” uscite un po' cosi dal 2000 in poi. Erano pensate per un edizione CPI/Polygram. La chiusura del Consorzio le ha lasciate lì. Ma erano preziose. Certo è il disco più incline alla forma canzone. Con tanta voce. E non è stato semplice dare voce alle nostre sensazioni. Ringrazio per questo in particolar modo Adriana Pulejio, che prima della passione per il canto nel tango, ha cercato di esprimere il feeling non facile dei nostri brani. Sono pezzi molto intimi e forse per questo li vogliamo proteggere e diffondere al tempo stesso''.
Fuor di metafora, quali sono questi uragani? :-) ''Tutto quello che nelle nostre vite è arrivato e ha sgretolato un equilibrio. Una perdita, un lutto, l’avvento di un amore che porta gioia e rivoluzione… Gli uragani portano via… ci portano via. Possono anche distruggerci. Se riusciamo a sopravvivere impariamo molto. Impariamo quello che è essenziale per noi. E diventiamo più forti. In questo senso abbiamo usato nel titolo il passato. Quel “ci passarono” dice appunto che sono passati e… siamo ancora vivi. Ed è bello!''.
Nella vostra biografia si fa riferimento a significativi contatti con tradizioni extra-occidentali, tanto che la prima cosa che mi è venuta in mente in prospettiva di questa intervista è che occorreva interpellare un etnomusicologo (e non scherzo…). Si parla infatti di Confraternita Gnawa (Marocco), di tecniche canore legate allo sciamanesimo di area mongolica, di esoterismo vodu haitiano… vuoi raccontarci qualcosa in merito? ''I rituali musicali del mondo sono una fonte importante per alcune delle nostre produzioni. Personalmente ho viaggiato molto. Sempre qualcosa mi ha cambiato. Nel deserto con i dervisci per giorni e giorni ho imparato la bellezza del vuoto e del silenzio, nelle praterie della Mongolia come il canto con gli overtones fosse indispensabile per far emergere la propria voce nonostante il suono dei cavalli al galoppo, nei canti esoterici del vodu trovo la connessione con gli avi che abitano dentro di me… spesso questi incontri sono diventati amicizie e talvolta ho ricevuto delle iniziazioni a confraternite. Ma questa è davvero una lunga storia che ci porta via… forse in un’altra occasione possiamo parlare solo di queste esperienze. Intanto colgo l’occasione per dire che ho iniziato a scrivere un libro dedicato ai rituali musicali. Probabile che fra un anno sia finito e pubblicato''.
Partendo da queste esperienze, ti chiederei di focalizzare l’attenzione sui rapporti fra musica e transe o più in generale con gli stati non ordinari di coscienza (brevemente certo, perché l’argomento è… oceanico). Ho avuto modo di approfondire queste tematiche attraverso i testi di studiosi come G. Lapassade (1996, 1997) e in Italia di L. Montecchi (2000). Ci sono dei collegamenti con le vostre esperienze musicali? ''Certamente. Nei nostri sleeping concert (dove suoniamo ininterrottamente dalla mezzanotte all’alba) ci sono echi di ritmi e canti di trance. Cosi anche nei labirinti sonori, nei concerti in caverna o nel buio assoluto, spesso utilizziamo dei frame ripetitivi che conducono chi ascolta in una dimensione extra-ordinaria, al confine fra sogno, veglia e sogno lucido. Non siamo sciamani, non vogliamo indurre la trance, ma qualcosa accade in quella direzione. Quando accade si sente il cambio di vibrazione nel gruppo e… i visi delle persone a fine concerto dicono che qualcosa di importante è avvenuto…''.
In conclusione, apriamo una finestra sull’attuale (inquietante) attualità dove viene paventato il rischio di una mutazione antropologica dell’Homo Sapiens in Cyborg o Homo digitalis che dir si voglia (magari passando dall’Homo Videns, come scriveva Sartori (1997), tanto che la distinzione fra realtà online e offline tende sempre più a erodersi, specie nelle nuove generazioni. Non a caso il filosofo Luciano Floridi (2014) ha introdotto la definizione di on-life. Come vi ponete rispetto alle nuove tecnologie e ai social media? ''Sta a noi non farle diventare dei demoni mangiatutto! Certo una mutazione “antropologica” sta avvenendo. Chi verrà dopo di noi porterà dentro di sé le tracce di questa mutazione. Per quanto ci riguarda restiamo parchi. Usiamo il digitale. Usiamo i social (poco!), ma restiamo fedeli al sacro arcaico che come un ruscello scorre incurante dentro di noi!''.
Cosa vedi nella sfera di cristallo (o se preferisci nel sogno dello sciamano tunguso :-)) riguardo alle prossime tappe artistiche di Enten Hitti? ''Beh, stiamo già lavorando a “VIA LATTEA”, il nostro prossimo disco che uscirà probabilmente nel 2021. Il titolo dà la linea. Cosmo e femminile. La via lattea è quella delle stelle e anche della trasmissione della vita incarnata nel femminile sacro. Un disco fra ambient, minimalismo classico (con un quartetto d’archi), ricerca del femminile nella tradizione di Madre Africa e canti intimi ed eterei… Già da questa estate riprenderemo gli sleeping concert a cui abbiamo invitato anche il poeta Franco Arminio. Poi spero che in autunno avremo modo portare in teatro il progetto multimediale fatto in collaborazione con Francesco Paladino, Juri Camisasca, Riccardo Sinigaglia e tanti altri musicisti sul dialogo surreale fra Sant'Agostino e John Cage. Ecco dunque anche le nostre prime cover!!!!''
Bene Pierangelo, dandoti appuntamento alla prossima occasione, a te il microfono per salutare i frequentatori di Music Map. ''Bene, semplicemente buon vento! E se avete voglia di dare un occhio ogni tanto sul nostro sito www.entenhitti.it potete vedere cosa bolle in pentola! Buon vento ancora!!!''. (MauroProg)
Riferimenti
Floridi L. (2014), The Onlife Manifesto, Being Human in a Hyperconnected Era, Springer, New York, USA.
Lapassade G (1997), Dallo sciamano al raver, tr it. Urra-Apogeo, Milano, 2000.
Lapassade G. (1996), Trance e dissociazione, Sensibili alle foglie, Roma.
Montecchi L. (2000), Officine della dissociazione. Transiti metropolitani, Pitagora Editrice, Bologna.
Sartori G. (1997), Homo videns, Laterza, Roma-Bari.