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20/12/2024
01/11/2007 THE NEW STORY
Entusiasmo, rock, ispirazione e dedizione
I New Story sono un giovane gruppo rock composto da 4 ragazzi italianissimi, brillanti, motivati, in continua ascesa e assolutamente originali. Dopo il successo dell'album d'esordio, "Untold Stories", che li ha visti esplodere in Italia e all'estero, è attesissima l'uscita del nuovo singolo “Un’Altra Illusione”, prevista per il 30 Ottobre, che farà da "apripista" all'album "Different Ways", nato dalla splendida collaborazione con il noto produttore Steve Lyon (Depeche Mode, The Cure, Suzanne Vega, Paul McCartney), su etichetta Virgin Music. “Different Ways” contiene 12 tracce, equamente divise a metà: 6 tracce in italiano, 6 tracce in inglese. Una miscela di sonorità rock, emozioni pop, e la classica energia vibrante del punk rock, su cui scommettere per il futuro della musica a livello mondiale. Si preannunciano nuovi successi meritatissimi, emozioni e novità importanti per la nuova fatica della band milanese. Nel loro studio di registrazione, a Milano, abbiamo incontrato Johnny (voce e chitarra), Alex (basso) e Fabio (chitarra). Il 30 Ottobre esce il vostro nuovo singolo, che anticipa l'album in uscita il 30 Novembre... "Sì, per il nuovo singolo abbiamo in serbo una sorpresa, e anticiperà l'uscita dell'abum che si intitolerà "Different Ways" prodotto dal celebre Steve Lyon. Il nuovo singolo è un'evoluzione. Parla di una storia che finisce e passa attraverso le emozioni e i pensieri tipici di chi perde la persona amata. In tutto l'album abbiamo sperimentato suoni nuovi, che nel disco passato avevamo toccato meno. E' molto più curato, studiato, quello passato era nato come auto produzione, in erba, all' epoca non sapevamo quando e come sarebbe uscito, il riscontro del pubblico. Adesso abbiamo programmato il lavoro da fare, a livello di suoni si sente la differenza. Non è più solamente l'effetto del live che ha determinato la creazione delle canzoni, con l'esperienza e la tecnica il risultato è sicuramente migliore. Ci siamo resi conto che è possibile portare un pò dei nostri live nel disco grazie a degli accorgimenti, abbiamo abbattutto alcune barriere mentali e non solo, che ci impedivano di andare oltre al nostro modo di comporre e creare. Prima eravamo il classico gruppo basso-batteria-chitarra che "picchiava", ora abbiamo cercato di inserire nuove sonorità in maniera armoniosa, mantenendo il nostro stile. Alcune canzoni assomigliano di più al disco precedente, altre si discostano da esso. E' un'evoluzione dei New Story". Pensate che il fatto di cantare in inglese e non in italiano vi abbia un pò vincolati in patria? O magari spinti, all'estero? "In Italia c'è un pò la cultura di voler sentire la musica cantata nella nostra lingua. Noi scriviamo in Inglese perchè è la lingua che ascoltiamo in ciò che ci piace, e comunque ci permette di andare a suonare all'estero, senza doverci limitare al nostro paese". Voi avete alle spalle un anno di numerosi live all'estero, appunto. Cosa avete potuto riscontrare? "Il live è la dimensione preferita dell'artista, quella attraverso cui si raggiunge la massima espressione. Può sembrare presuntuoso, ma doversi 'accontentare' di poter suonare solo nel proprio paese è forse limitativo per chiunque. Quindi ben vengano. Avendo poi una buona conoscenza della lingua inglese, beh, perchè no? Suonando all'estero vieni a contatto con realtà diverse, sia dal punto di vista dell'organizzazione dei concerti, che dalle band stesse che vi partecipano. Ci sono gruppi che lavorano parecchio e poi hanno meno fortuna radiofonica di altri. Soprattutto in Giappone abbiamo potuto notare che tutte le band suonano davvero benissimo". E la realtà del Giappone è così differente da quella occidentale? "In Giappone lo scenario musicale è molto diverso. I concerti iniziano presto, intorno alle 17 e finiscono alle 21-22. Ci sono meno pregiudizi verso le band, anche sconosciute, la gente va a sentire musica e si diverte. Stop. Abbiamo notato che in Giappone subiscono il fascino dello straniero, che non significa solamente americano. In Europa si tende maggiormente ad ascoltare e seguire il panorama musicale d'oltreoceano, americano appunto. Per i giapponesi la visione è più ampia. Si ha la possibilità di essere apprezzati a priori, in quanto musicisti, indipendentemente dal luogo di origine. Però con questo non vogliamo dire che in Italia c'è poca considerazione per la musica, anzi. In Europa abbiamo potuto osservare che ci sono alcuni paesi in cui organizzazioni poco precise e locations poco adatte spesso portano gli stessi artisti a trovarsi non troppo bene a suonare live, come quando ci siamo esibiti in Inghilterra. Ci piacerebbe tornarci perchè è un mercato molto importante, ma non a quelle condizioni. E poi, diciamolo, recentemente ci siamo abituati molto bene anche in Italia. Comunque la gente che ci vede passare sulle Tv musicali, come MTV, spesso crede che siamo già 'arrivati', in realtà non è affatto così, ci adattiamo, ci sacrifichiamo, in fondo è il bello di suonare in giro per il mondo. Siamo ancora facendo la gavetta, in realtà siamo ragazzi semplici". Ci saranno in "Different Ways", come nell'album "Untold Stories", delle cover tra i vostri brani? "No, questa volta abbiamo saltato il capitolo cover. Ci abbiamo pensato, ma avevamo abbastanza materiale nostro. Abbiamo lavorato intorno a venti canzoni, e poi ne abbiamo registrate qualcuna in meno, concentrandoci maggiormente sulle prescelte. Anche perchè nel disco precendente ci eravamo 'buttati', puntando magari ad una buona etichetta indipendente, senza sapere troppo. Ora il lavoro è stato più mirato e metodico, sapendo fin dall'inizio il riscontro e il mercato. Così abbiamo escluso le cover, scelto tra i nostri brani e studiato al meglio questi". Qual è la spinta che vi stimola durante le vostre esibizioni live? "Come tutte le band, prima si suona live, poi si studia e registra, perciò la cosa più immediata della nostra carriera è suonare sul palco. Tante cose ci sono arrivate solo ora, come le promozioni. Il live è la forma principale e prima di ogni band. Si avverte il senso di confronto diretto con il pubblico, che è la cosa fondamentale per poter raggiungere le persone che, si spera, alla fine comprino i cd - perchè la musica si compra ma non si scarica - . Si può vedere subito se la gente potrà amare un brano, se c'è l'energia giusta. Personalmente se il nostro lavoro fosse solo quello di vendere dischi e non poterci esibire non sarebbe di certo quello a cui miriamo. La registrazione in studio è la parte più tecnica, quella in cui confrontarsi e creare, migliorare, è il momento in cui vedi le tue canzoni, i tuoi bambini, crescere e migliorarsi, prendere forme nuove e più complete, ma poi il live è l'emozione vera". Come fioriscono le vostre canzoni? "Beh, ci sono gruppi che si trovano in sala prove e iniziano ad abbozzare qualche nota insieme fino a scrivere un pezzo, altri nemmeno scrivono le proprie canzoni - e questa è davvero una tristezza -. Nel nostro caso ci sono diversi metodi, si porta qualcosa in sala prove e ci si lavora insieme, è come un assemblaggio di varie idee che prendono forma, fino ad arrivare al testo, che il più delle volte è l'ultimo gradino della creazione. I nostri testi sono molto sinceri, per quanto noi siamo molto più musicisti che poeti, cerchiamo sempre di essere veritieri". Ci sono influenze specifiche nei vostri pezzi, specialmente dell'ultimo album? "Ascoltando veramente tantissima musica, generi molto diversi tra loro, dal metal all'elettronica, dalla musica leggera italiana di Baglioni, si arriva ad una immensa quantità di influenze che alla fine nessuna di esse ha il sopravvento sulle altre. Nel disco precedente forse eravamo stati più influenzati perchè miravamo ad un risultato preciso. In questo album non ci sono correnti musicali che ci hanno travolti maggiormente, anzi personalmente siamo molto orgogliosi perchè non ci sono pezzi altrui simili, specialmente ad alcune nostre nuove tracce". La collaborazione con un mostro sacro della musica modiale come Steve Lyon deve avervi incentivati e stimolati non poco... "E' stata molto importante la scelta di collaborare con lui e ovviamente ha modificato il risultato finale. Ovviamente avendo a che fare con un colosso della musica, che ha prodotto un album di Paul McCartney, dei The Cure e dei Depeche Mode, un minimo di soggezione si ha all'inizio, ma poi ci si rende conto che è un grande professionista, alla mano, e che dire, siamo assolutamente onorati aver potuto lavorare con lui. Il suo ruolo non è stato quello di stravolgere la nostra musica, bensì di massimizzarla, quindi abbiamo trovato un solido equilibrio tra noi, fondendo la nostra ispirazione alla sua esperienza. Un'ottima collaborazione tra artista e produttore, che ha funzionato, direi". (Ilaria Rebecchi)