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24/09/2007 VALLANZASKA
'Ehi, ma noi siamo seri...'
1991: nascono i Vallanzaska. Dopo oltre 15 anni qual è il vostro bilancio di carriera? "Che sappiamo contare bene: sono infatti 16 anni dal 1991! A parte gli scherzi, credo di poter dire che il bilancio è soddisfacente, nel senso che è una grande fortuna potere girare l’Italia, e da poco anche l’Europa, con la propria musica; avere fan e fare dischi. Ancora di più se pensiamo che abbiamo sempre fatto tutto da soli senza mai un aiuto economicamente valido o spinte dall’alto. E’ un privilegio non da tutti. Rimane comunque un po’ di amarezza per come le tv e i giornali di settore sono soliti trattare il nostro genere, lo ska, e la nostra proposta musicale come qualcosa di meno interessante del nuovo disco di Shakira o del buon Paolo Meneguzzi. Siamo e rimaniamo un gruppo indipendente con sprazzi di notorietà extra alternativa, e la cosa ci diverte molto; ma crediamo che, pur avendo fiducia nel pubblico che ha la facoltà di scegliere, ci sia una sorta di allontanamento volontario da parte del sistema che conta nei confronti di chi propone qualcosa di non facilissimo, sperimentale e non immediatamente fruibile quale è, secondo noi, molta delle nostra produzione". Siete nati con l'idea di proporre cover di Madness e Specials. Cosa ricordate di quel periodo? "E’ un bellissimo ricordo, ma legato anche ad una grande inesperienza. Erano i primi anni 90, e al parco Sempione ci si trovava con tantissimi gruppi di allora, di altro genere, alcuni dei quali ancora in attività. Le altre band già avevano il coraggio di sperimentare e proponevano canzoni loro. Le discussioni vertevano tantissimo sulla risposta dell’ascoltatore. Mi ricordo che noi all’inizio volevamo il pogo, che la gente ballasse, una festa insomma. Le cover ska erano una certezza da questo punto di vista. E, incredibile, ai nostri primi concerti si presentavano centinaia di redskins. Il pubblico mano a mano è diventato eterogeneo e l’inserimento graduale di pezzi nostri ci ha dato la fiducia necessaria per buttarci nella creazione pura". Cosa vi spinse a questo passo? "Un giorno Lucio si presenta in saletta con una canzone sua e non una cover: portento! Fare una canzone nostra… e chi l’avrebbe mai pensato che saremmo stati capaci di fare una canzone dei Vallanzaska? La canzone la chiamammo “Lucius”, ed era solo strumentale tranne la mia voce che ad un certo punto dice “ma guarda quello!” e da lì non abbiamo avuto più dubbi sulla scelta di creare musiche originali. Ed è stato un fiorire di proposte continue, come quando impari ad andare in bicicletta e passi le giornate a gironzolare con la Graziella, oppure quando prendi la patente, e vai a prendere anche il pane con la macchina: era la scoperta di una dimensione nuova di fare musica, molto più stimolante della proposta di cover. Anche perché quel che abbiamo cominciato a proporre piaceva a noi e al pubblico". Nella vostra proposta musicale si trovano, in ordine sparso, ska, rocksteady, pop, reggae, punk, rock, swing, canzone d’autore, e chi più ne ha più ne metta. Ve lo “imponete” di essere così variegati o vi viene naturale? "Senza volere fare il sergente cattivo di “Full metal jacket”, le uniche imposizioni che ci facciamo riguardano il rispetto di alcune regole della normale vita in comune che una band fa: rispetto reciproco, puntualità, e cose del genere. Nessuna imposizione invece riguarda l’aspetto artistico. Nulla è imposto ma tutto è molto ricercato. Questo perché la canzone è un messaggio e un disco un insieme di messaggi rivolti ad un pubblico che potrebbe non avere più bisogno di te, se sprechi le tue cartucce. E comporre col cuore, seguendo una spontanea linea stilistica che nasce dall’affinità intellettual-musicale che unisce le menti creative dei 'Vallanza' è uno dei piaceri della nostra vita, oltre che garanzia di fare qualcosa che, almeno, è vera e non artefatta. E a noi viene naturale fare ska, anche se contaminato". "Otto etti di ottagoni netti": cosa provate a riascoltare oggi il vostro primo lavoro? "E’ da un po’ che non lo ascolto, ma posso dire che la prima recensione firmata dal grande Steve Valli recitava: “geniali e bravissimi”. Eravamo ragazzini. Seguiva il numero di telefono per i contatti, e poco dopo mi chiamò Silvio dei Persiana Jones, che per me era come essere un cantante metal e ricevere una visita di Paul Di Anno. Ma non era un caso: i fiati erano Gigi T-Bone e l’incredibile coppia Monestiroli-Moretto, sax e tromba già Casino Royale e poi 883 e ora Jannacci. Oltre a tutti noi, naturalmente, tra cui Pedro, il fantastico chitarrista degli Strike. Senza di lui mai ci saremmo mossi per registrare il disco. Disco che vendette tra l’altro quasi 10 mila copie". Il 2° album “Cheope”, se non erro, è rimasto per sei mesi consecutivi nella classifica di Musica e Dischi; eppure, nonostante questo, allora non eravate ancora noti al grande pubblico. Come ve lo spiegate? "Per la stessa ragione che ti spiegavo quando mi hai chiesto un bilancio dopo tanti anni di carriera: secondo me non c’è la volontà di rischiare verso la sperimentazione. Per assurdo quel disco ha 10 anni e l’hanno scorso la canzone “Cheope” è stata usata da Gene Gnocchi per tutto l’anno come sigla di uno sketch di “Quelli che il calcio…”. Meglio tardi che mai. Senza contare che se vai in tutti i club rock d’Italia, prima o poi nella selezione del dj parte “Cheope”". 'Sisisi nonono', diventando la sigla del programma cult di Italia 1 SuperCiro, vi ha praticamente cambiato la vita… "Ha cambiato la vita dei nostri concerti. Non è da tutti riuscire a fare una hit. Noi l’avevamo fatto con “Cheope” appunto, ma ancora più difficile è fare una seconda hit. Superciro ce lo ha permesso, anche se è stato solo una vetrina per una canzone che noi, da soli, abbiamo composto, prodotto e registrato. Un altro gruppo che è capace di fare come noi delle canzoni un po’ hit sono i Punkreas. Tutti gli altri gruppi che ne sfornano una a estate, come per esempio i Negramaro, le sfornano anche perché hanno i veicoli per farsi sentire. Ed essendo così bravi ben venga. Ma tanti gruppi con canzoni bellissime rimangono nel buio. Meno male che c’è Myspace! E appunto, tornando alla domanda, ai nostri concerti il botto di pogo si registra non più solo su “Cheope”, ma anche su “Sisisi nonno”". Tre anni per arrivare, ora, a “Cose spaventose”: paura dopo il successo ottenuto, difficoltà di produzione, o semplicemente stavate bene con le mani in mano?... "Nulla di tutto ciò naturalmente: ogni nostro album è uscito tre anni dopo quello precedente. E’ il nostro spazio di tempo necessario, tra tour, composizione, prove e rifiniture, per arrivare ad avere i pezzi da registrare. Noi non siamo una band che fa un album con due canzoni stracurate e il resto fuffa. Noi se mettiamo 12 canzoni, o 15 nel disco, è perché le crediamo necessarie. Infatti studiamo a lungo la scaletta del disco. Per questo per noi la traccia numero 11, per esempio, non è meno importante della 1 o della 3. Per qualsiasi dei nostri cinque album". A quale quota-concerti siete arrivati? Raccontateci un live particolare, il più pazzo della vostra lunga carriera… "Tra poco raggiungeremo quota… 1000! E la festeggeremo con un concerto festa in un club milanese, ne saprete di più prossimamente. Un live incredibile è stato quello che noi chiamiamo live-doppio. Avevamo un concerto al Paci Paciana di Bergamo già fissato da mesi, e all’ultimo ci chiamano per suonare al PalaSharp, ai tempi Palavobis, per suonare prima di Elio E Le Storie Tese: lo stesso giorno. Siamo quindi andati al Pala a fare il sound check, abbiamo smontato tutto, siam corsi a Bergamo a fare il suond check, abbiamo smontato tutto, siamo corsi al Pala per suonare, smontato tutto e infine di nuovo a Bergamo per il concerto al Paci Paciana. Fantastico. Altro aneddoto? Quest’estate avevamo una data a Usti nad Laben, in Repubblica Ceka. Il nostro promoter si chiamava Martin. Arrivati al festival ci siam messi a parlare con Martin il quale ci disse che era saltato tutto. Dopo un’ora abbiamo capito che quel Martin non era il nostro Martin, e il nostro festival, che è stato bellissimo, era a un chilometro più in là! E abbiamo avuto un gran successo!". Scusate la domanda ma qualcuno se lo sarà chiesto: vi è mai venuta, una volta, la voglia di “fare i seri”? "Ehi, ma noi siamo seri...". (Andrea Rossi)