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20/12/2024
05/11/2019 SITARVALA
''Il mio disco è un viaggio nel tempo di un’intera giornata, dall’alba alla notte fonda...''
Lo spazio interviste di oggi lo riserviamo al polistrumentista Andrea Ferigo, in arte Sitarvala che, in occasione dell’uscita dell’album solista “Steppin’ out” e col combo dei Dharma 108 “L’alba sul mio nome”, ci racconta di questi progetti.
Ciao Andrea. Chi è Sitarvala? Come ti sei accostato alla musica? ''Sitarvala è un nome d’arte nato qualche anno fa pensando a qualcosa di semplice che potesse esprimere il mio rapporto con l’India e la musica indiana. Significa “colui che possiede o suona il Sitar”. Il suono ricorda una parola in lingua italiana per cui ho deciso di adottarlo per il mio progetto solista. Mi sono accostato alla musica quando avevo 12 anni con la chitarra. Il desiderio di studiare la chitarra classica mi venne dopo avere ricevuto in regalo un vinile di Andrès Segovia, forse il più grande chitarrista classico di tutti i tempi. Conobbi un insegnante di Sitar e da lì iniziò il viaggio''.
Quanti strumenti suoni? Come nasce questa passione per il sound filo-orientale e non solo? ''Attualmente suono la chitarra in tutte le sue manifestazioni, il basso elettrico, il sitar, il sarod, il banjo, la nirmala vina (una specie di chitarra modificata a 32 corde, disegnata da me), il sitar elettrico (strumento a 20 corde disegnato da me). Mi era stato regalato un CD della Real World fondata da Peter Gabriel: musica classica indiana per violino e sarod. Ricordo di essere stato folgorato da quel suono rimanendo a riascoltarlo per ore su un divano. Decisi di studiare quella musica e di impadronirmi di alcuni di quegli strumenti e di modificare quelli che avevo''.
Parliamo di “Steppin’ out”, il nuovo album solista tutto strumentale. Che cosa hai voluto evocare con la musica, ovvero cosa hai voluto… “dire” essenzialmente? ''''Steppin Out'' è un titolo che nasce da Alvaro Lanciai, regista del primo video estratto dall’album. Parla di come ci si sente quando si intraprende una strada nuova e si deve compiere il primo passo per staccarsi dal “già noto” e andare verso l’ignoto. Il termine “step” ha a che vedere anche con la danza, quindi è sia una metafora che una valenza coreografica. L’intero album è costruito in 8 quadri come le otto parti in cui è diviso il giorno per lo studio dei raga indiani. È un viaggio nel tempo di un’intera giornata, dall’alba alla notte fonda. I brani sono basati su frasi di otto raga diversi prese come un punto di partenza ed elaborate improvvisando in studio di registrazione, utilizzando quattro strumenti, due chitarre elettriche, la Nirmala Vina e il Sitar elettrico più una loop station''.
Le tracce si evidenziano per fluttuazioni seduttive e modulazioni fascinose: il tuo intento, forse, è quello di amalgamare culture musicali? ''Sono contento di avere ricevuto complimenti e critiche positive dalle recensioni dell’album. In realtà non avevo un vero intento nella scrittura musicale e mi sono lasciato guidare dall’intuito e da ciò che mi piaceva utilizzando principalmente l’improvvisazione o creazione estemporanea come regola generale. Quando mi sembra di essere ad un punto di svolta mi accorgo che creo una sintesi tra tutto quello che ho studiato, imparato, suonato e ascoltato in precedenza. ''Steppin Out'' è un punto di sintesi e quindi di svolta''.
Il sitar elettrico e la Nirmala Vina sono due strumenti di tua invenzione. Come ti è venuta l’idea e quanto è stato difficile realizzarli? ''Ci sono stati lunghi periodi in cui non potevo viaggiare in India per provare e acquistare strumenti nuovi. Ho provato a disegnare degli strumenti che rappresentassero una sintesi e che mi ricordassero quei suoni. Non essendo io un liutaio ho disegnato le forme e le proporzioni suggerendo agli artigiani numero di corde e tensioni. Tre liutai molto bravi mi hanno aiutato a costruire questi due strumenti: Nirmala Vina, che si ispira al Sarod e allo Svaramandala, è una chitarra acustica modificata e trasformata in una “32 corde” con tre linee di ponticelli, e il Sitar elettrico che si ispira al Sitar classico, ma con l’aggiunta di alcune corde e dei pick up per poterlo collegare agli amplificatori''.
Un adagio di Jean Paul Richter dice: “La musica è il chiaro di luna nella notte cupa della vita”. Da quando ti sei avvicinato all’età di 11 anni alla musica, è sempre stata lei la maggior fonte di illuminazione? ''La musica mi ha sempre salvato nei periodi più tristi e bui e mi ha dato la possibilità di conoscere tante belle persone, di capire i miei limiti nell’apprendimento e nello studio, di viaggiare in Italia e all’estero, di conoscere altre discipline che io amo come lo Yoga e il Cinema e la Danza''.
Tra i progetti che porti avanti (RANJ, Facciascura, The Last Drop Of Blood) ci sono, oggi, anche i Dharma 108 con l’album “L’alba del mio nome”. Ce ne parli? E come è nata l’idea di creare un super-combo? ''Dharma108 rappresentano un altro punto di svolta e di sintesi nella mia vita e ricerca musicali. Cercavo di creare qualcosa che facesse tesoro della mia esperienza con i Ranj e con i Facciascura, due rock band veronesi in cui ho suonato le chitarre e il sitar elettrico, e allo stesso tempo tenesse conto della ricerca testuale e musicale del mio percorso solista. Elementi musicali e testuali legati al mondo poetico dell’India e dei poeti occidentali che amo, tra cui Rabindranath Tagore, Mira Bhai, Khalil Gibran, William Shakespeare e William Blake hanno attraversato il secondo lavoro dei RANJ, l’album solista di Sitarvala e sono finiti anche nell’album d’esordio dei Dharma108''.
Sei, oltretutto, insegnante di basso, chitarra, armonia, linguaggio e teoria musicale a Verona. Provi, talvolta, a stimolare l’interesse degli allievi verso il sitar e le sonorità oriental-indiane che ci ha tramandato l’inarrivabile Ravi Shankar? ''Insegno musica (chitarra e basso) da 17 anni e cerco di farlo mostrando lati inediti e meno conosciuti degli strumenti musicali occidentali per stimolare ricerca e curiosità nei miei allievi. Da 4 anni ho iniziato ad insegnare anche il Sitar e la musica indiana presso un nuovo centro didattico chiamato Hanuman a Vicenza. Quindi la risposta è: “sì, pratica e insegnamento sono attuati senza barriere ideologiche o culturali da parte mia”.
Salutiamo Andrea “Sitarvala”, con il sincero auspicio che possa proseguire nella bella ricerca sonora, per continuare a ritagliarsi una distinta matrice compositiva. ''Grazie a Voi per lo spazio e l’attenzione che mi avete dedicato''.