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20/12/2024
22/11/2017 MATTEO PASSANTE E LA MALORCHESTRA
''Questo disco è quello che c’era nel fondo del mio stomaco...''
Domanda a bruciapelo: sei soddisfatto del tuo nuovo disco? ''Ho tirato fuori tutto. Ne sono uscite cose coraggiose e interessanti, piccole sfide, nuove sonorità, cose che faranno storcere qualche naso, ma di certo è venuto fuori quello che c’era nel fondo del mio stomaco. Sono io senza compromessi e quindi sono molto soddisfatto''.
''Il grande stupore'' è il tuo terzo disco dopo ''Signora Clessidra e lo Sposo Bambino'' (2010) e ''Welcome to love'' (2014): come si colloca questo ultimo lavoro nel tuo percorso artistico? ''È “l’album dell’immaturità”. L’ho definito così perché mi sembra che io stia facendo un percorso inverso, abbandonando la terra ferma dei cliché e delle canzoni “immediate”, quelle che ascolti e canticchi un attimo dopo. Credo che nell’immaturità si abbia invece il coraggio di osare, rischiare. Se è vero che ha volato solo chi ha osato farlo, allora io sono fiducioso perché con questo album ho osato quello che a vent’anni mai avrei fatto.
Devo tanto alla band, a Marco Vismara in modo speciale e a Lele Battista, il nostro produttore artistico''.
Il singolo di lancio è stato ''1958'', una canzone sul colonialismo europeo in Africa. Come nasce questo brano? ''Torna il discorso dello scavare per capirsi meglio. Qui scavare nella storia mi è servito a comprendere meglio il disordine che regna il mondo in questo momento storico. Il colonialismo di cui parlo non è solo quello delle risorse derubate ai paesi africani dalle grandi multinazionali, ma è un colonialismo intellettuale, più subdolo. Gli intellettuali italiani e non, compresi fantomatici guru della Sinistra italiana, ci hanno convinto che è tutto normale, che fare “affari” con i governi locali a danno delle popolazioni locali, rientra nelle logiche del mercato, che sposare bambine di 12 anni è normale nella misura in cui questa cosa è tollerata in quel paese. Come se potessimo dimenticare di essere i “civilizzatori” in base all’opportunità, in base alla convenienza''.
Con quest’ultimo disco hai attivato la campagna di raccolta fondi su MusicRaiser, come mai? Cosa ti aspettavi e cosa ti ha sorpreso? ''La raccolta fondi è stata impostata a tutti gli effetti come una prevendita del nostro nuovo lavoro. Mi ha permesso di mettere in circolazione l’idea di album già molto prima dell’uscita, ha reso partecipi i sostenitori coinvolgendoli in alcune scelte… E poi ci sono alcune chicche che sono un gioco sfizioso che ci siamo concessi, come provare a scrivere canzoni partendo da idee, poesie, pensieri sparsi dei sostenitori che hanno scelto questa particolare ricompensa. Mi aspettavo tutto questo. Mi ha sorpreso invece la “quota” acquistata dal mio peggior detrattore… L’avrà presa per scriverne male forse, vedremo…''.
Come nascono di solito le tue canzoni? L’ispirazione è improvvisa oppure mediti su un tema e lo metti in musica? ''Le mia canzoni sono sempre nate come esigenza personale e trasformano trafiletti di giornale con notizie improbabili o un battito cardiaco più accelerato per troppo stupore, per amore o per rabbia, in qualcosa di fruibile per tutti, in qualcosa in cui riconoscersi. Scrivo quasi sempre di getto. Quasi tutti i testi di questo album sono nati in macchina nel tragitto che va da casa a lavoro. Le musiche vengono sempre da sé''.
Quali temi prediligi affrontare nelle tue composizioni? ''La vita degli altri più che la mia, le storie rubate su un tram, agli amici davanti a una birra. A volte sono temi delicati, a volte frivoli. In questo album mi è capitato di parlare per esempio del bambino congolese sbarcato in italia in giacca e papillon, perché la mamma prima di partire gli aveva detto che in Italia lo avremmo accolto con una grande festa... Mi è capitato anche di scrivere di un paese fatato in cui si fabbricano aerei con fogli di giornale e le bombe a mano si fanno con riso siciliano. Sarà il mio piccolo omaggio al mondo fatato di Sergio Endrigo, uno dei più grandi cantautori italiani. Ho raccontato poi per esempio del “Museo degli amori finiti” di Zagabria, in cui ognuno può portare un cimelio del proprio amore finito. Mi aveva incuriosito la storia del tizio che dopo la guerra nella ex Jugoslavia, aveva portato la propria protesi e ha lasciato un biglietto: “questa protesi è durata più del nostro amore”. Non è fantastico…?''.
Cosa ascolta di solito Matteo Passante? ''Pochissimi cantautori della nuova scena “indie”, i cantautori storici, ma soprattutto centinaia di artisti stranieri impronunciabili, che scopro ogni giorno grazie a magici algoritmi di Spotify…''.
Perché cantautore? ''Perché ai tempi del Liceo o eri un rockettaro o frequentavi l’Azione Cattolica. Io ero un personaggio non classificabile, nel bene e nel male, ero sempre a metà strada tra tutti, ero più da “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”. Quando a 18, 19 anni pensi troppo, allora o ti metti a scrivere canzoni o diventi Diego Fusaro…''.
“Parlarsi addosso è come masturbarsi la mattina davanti allo specchio”. Così inizia la tua biografia: provocazione oppure manifesto? ''Ricollegandomi un po’ a quanto dicevo poco fa, ai tempi del Liceo il mio caro professore di Italiano usava spesso l’espressione “parlarsi addosso”, riferendosi agli autoreferenziali, ai saccenti, a quelli che si amano da soli. Io sono agli antipodi. Io non so parlarmi addosso, non so vendere le mie cose, ma scrivo canzoni perché mi piace ascoltare. Amo “l’amore di gruppo”, quello in cui tutti si danno da fare e, come disse Woody Allen, tu puoi anche dormire…''.
Matteo Passante si accompagna con la Malorchestra: è davvero così malaccio? Chi sono i componenti e perché li hai scelti? ''Tutt’altro che malaccio. Quando cominciano a suonare io vorrei andarmi a sedere in prima fila e ascoltarmeli, ma mi tocca cantare. Hanno un groove che adoro. C'è stato qualche avvicendamento nel tempo, ma oggi la formazione è composta stabilmente da Diego Scilla alle tastiere, Marco Vismara alle chitarre e agli arrangiamenti, Luca Moroni al basso e Raffaele Pellino alla batteria. Mi ha scelto Diego in realtà. Erano i suoi musicisti o giù di lì. Mi ha proposto questa band per tornare a salire sui palchi abbandonati da qualche anno, dopo il trasferimento dalla Puglia a Milano. Ci siamo divertiti sin dalle primissime prove in cascina. Ora siamo innanzitutto un gruppo di grandi amici''.
Matteo Passante e la Malaorchestra si esprimono meglio in studio o in concerto? ''Lo spirito che c'è dietro questo album è di non creare troppe differenze tra quanto espresso in studio e il live. Credo comunque che nei concerti dal vivo venga fuori sempre qualche sfaccettatura in più dell'anima della band''.