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20/12/2024
04/07/2016 FABRIZIO RISPOLI
''Spero che i tempi si facciano meno cupi perché l’umanità ha bisogno assoluto di musica...''
Dopo molteplici rodaggi nell’ambiente televisivo (da “Quelli che il calcio” a “Viva Radio 2”), e un considerevole tratto di strada intrapreso con “Aaron Tesser & The New Jazz Affair”, l’appetito artistico di Fabrizio Rispoli l’ha spinto a cimentarsi con un progetto solista che fosse al contempo somma delle esperienze precedenti ma anche pagina inedita nel suo percorso di interprete e musicista. “White & Blue” è il titolo del suo disco. Ciao Fabrizio, hai all’attivo tantissime esperienze. Cosa ti ha spinto a iniziare una strada da solista e pubblicare un album tutto tuo? ''Ho sempre pensato che un giorno avrei prodotto qualcosa di mio ma è stato sempre un sogno nel cassetto che, probabilmente a causa del mio amore per il lavoro di gruppo, ho sempre rimandato. Ho sempre collaborato con altri musicisti limitandomi a fare il frontman come cantante o come chitarrista della band di turno che mi chiedeva di farlo. Devo comunque ammettere che le esperienze di gruppo sono state sempre positive, talvolta entusiasmanti, e sono servite a farmi capire in coscienza quale fosse il livello delle mie capacità''. Ti va di parlarci di “White&Blue”? Come mai questo titolo? ''Il titolo “White & Blue” scaturisce dalla visione e dalla percezione avuta al rientro da una bella vacanza, quando dall’aereo del volo di ritorno scattai la foto che poi diventò la cover del cd. Non fu tanto la foto quanto la sensazione che mi prese l’anima mentre osservavo quel senso di infinito e di libertà al di sopra delle nuvole, ed insieme la necessità di dover ritornare là sotto alla vita di tutti i giorni, ai problemi quotidiani ma pur sempre con una speranza... che sopra alle nuvole c’è il sole e un bellissimo cielo azzurro. È un album di 12 brani, ognuno con un proprio carattere ma tutti scaturiti dal cuore, senza essere costruiti ad hoc, quindi hanno conservato una propria naturalezza che si sente all’ascolto. Credo che ''White & Blue'' sia energeticamente positivo e denso di piacere proprio perché è stato creato con questa intenzione, è un amalgama diversificato dove si percepisce quel filo di speranza che può farci ritrovare il gusto della musica''. Improvvisare incrementa il piacere del suonare? ''Certo ma devi saperlo fare altrimenti può diventare un incubo. L’improvvisazione per un musicista jazz, ad esempio, è vitale. È la vera espressione dell’Io musicale che si fonde con il “dio” musicale, un colloquio che instauri indipendentemente dal tuo linguaggio con una fonte inesauribile di ispirazione. Questo è bellissimo, in qualunque stile si stia suonando, ma per arrivare a una forma espressiva riconosciuta valida musicalmente lo studio del linguaggio musicale è indispensabile''. Il tuo lavoro è stato apprezzato anche in Giappone. Come lo spieghi? ''Il Giappone è un paese molto attento alle novità discografiche dell’intero pianeta. Il giapponese non solo è un popolo molto sensibile e preparato, appassionato e predisposto all’ascolto delle novità che arrivano dal panorama musicale, ma è anche un mercato ancora fruttuoso per le produzioni discografiche internazionali. La predisposizione all’ascolto della musica e della melodia per il popolo giapponese penso sia alimentata essenzialmente dall’antica cultura e dal sistema di vita molto curato. I giapponesi sono sempre alla ricerca del bello e del buono in ogni campo dell’esistenza, percepiscono facilmente la validità di un prodotto perché a mio parere ne percepiscono l’energia intrinseca, e la musica come tutta l’arte nei suoi possibili risvolti, viene considerata un grande punto di energia e di forza dell’individuo''. Quali sono gli artisti di riferimento che ti hanno accompagnato e ti accompagnano tutt'oggi? ''Beh sì, sono moltissimi, quasi tutti d’oltreoceano, a partire da Al Jarreau dal quale ho attinto molto della mia vocalità e che ritengo uno dei cantanti più liberi ed espressivamente naturali del nostro tempo. Ma possiamo anche dire qualcosa di Frank Sinatra, fino ad arrivare alla vocalità leggera e dintensa di Gino Vanelli che ho visto in concerto qualche giorno fa (...stupendo!), o di Michael Bublé per rimanere nello stile che prediligo. Essendo io anche un vocal coach, credo che ogni voce ascoltata nel mio cammino, da Whitney Houston a Bono degli U2 abbiano fornito qualcosa alla mia formazione di cantante, ma quando lo diventi veramente hai finito di rapportarti a qualcuno e diventi tu''. Cosa pensi della scena musicale italiana? Cosa bisognerebbe cambiare? ''Abbiamo sbagliato pensando che il business stesse al di sopra della Musica. Al massimo stanno alla pari, se proprio si deve parlare di business. Penso che la decadenza sia cominciata dopo la massima euforia degli anni ’80 in cui si era arrivati al picco spinti dalla musica dei ’70, questo a livello internazionale. In Italia la cultura come si sa non è una prerogativa, almeno fino a questo momento, e tantomeno lo è la cultura della musica se non per quel suo lato commerciale che alimenta il pur fiacco business musicale. Gli Artisti sono chiamati a diventare spesso qualcosa che non sono, infatti... pochi sono già qualcosa o qualcuno, e quei pochi sono disseminati chissà dove mentre case discografiche, produttori e media si rintanano nei Talent a costruire qualche ipotetico personaggio da cui trarre un po’ di profitto. Brutta storia, lo so. Secondo me l’artista deve avere l’obbligo di gavetta, ovvero fare almeno 5 anni di esperienza ed attività sul campo e deve essergli data la possibilità di farle. Quindi detassazione della musica per i locali che propongono il live, regolamentazione dei musicisti in un Albo Nazionale con distinzione di chi lo fa per professione e chi per hobby. L’hobbista non dovrebbe poter suonare nei locali più di un tot di volte all’anno, questo per tutelare l’attività e la sussistenza del musicista professionista, come succede già in altri paesi, ed infine e soprattutto una intensa promozione della cultura. Lo stato deve farsi partecipe e promotore della cultura di un paese, e non solo a parole deve fornire i mezzi e gli impulsi affinché ciò avvenga''. Che rapporto hai con il tuo pubblico? ''Direi buonissimo. Io cerco di dare sempre il massimo in un concerto o comunque in qualsiasi attività musicale mi ritrovi. Per me non esistono due modi di approcciare alla musica ma uno solo, che sia una semplice prova o un concerto, il mio modo di fare musica è identico e con lo stesso impegno e il pubblico questo lo sente. È sempre energia che viaggia, se ti dai completamente la gente apprezza e ricambia con l’affetto e la stima''. Stai già pensando al secondo disco? ''Sì, ho già dei pezzi pronti, ci sono tante idee in ballo e tutte molto interessanti, ma per ora niente anticipazioni. In ogni caso, per chi volesse, vi invito a tenervi informati in rete dove troverete le info di quello che sto combinando in giro''.Progetti per il futuro più o meno immediato? ''Beh, per ora vorrei continuare a promuovere questo mio progetto, fare concerti e scrivere nuove cose. Spero che i tempi che stiamo attraversando musicalmente si facciano mano a mano sempre meno cupi perché l’umanità ha bisogno assoluto di musica e tutto ciò che va contro e fa da deterrente per questa cosa meravigliosa andrebbe soppresso, per il nostro bene''.