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23/06/2016   BARACHETTI/RUGGERI
  ''Le nostre vite... disumane''

Il duo italiano Barachetti/Ruggeri ci ha deliziati con lo strepitoso “White Out”, uscito nel maggio 2016 via Ribéss Records e Dreamingorilla Records con distribuzione Audioglobe, un album che ha ottenuto una risposta straordinaria da parte della critica. Sempre sulle pagine di Music Map trovate la recensione del disco.

1) Vorrei partire dal video di White Out, la traccia che dà il titolo al disco, girato da Luca Ferri. Avete definito il pezzo “una ninna nanna”, che però “nel tempo della crescita inarrestabile e dell'accelerazione non può che essere un pezzo tecnoide che non induce il sonno ma una veglia convulsa”. Che ruolo ha, in questo senso, il gruppo di tre elementi formato da contadino, asino e gallina che si vede nel video, prima immobile e poi lentamente in viaggio verso casa? A mio modo di vedere si collega perfettamente con le idee che veicola quel brano e l’intero album.
Luca Barachetti: ''A questa domanda potrebbe rispondere meglio di chiunque altro Luca Ferri, ma dubito che lo farebbe. Posso dirti come l'ho vissuta io e appunto credo che il vivere il video e il brano, dato il loro carattere esperienziale, sia il primo collegamento fra suono e immagine. Poi c'è un discorso sull'umano come accadimento biologico ed esistenziale che il brano “White Out” accenna, il disco sviscera in molteplici forme e il video allarga in modo sconfinato, con uno sconfinamento non solo geografico, ma cosmico. Questo sconfinamento e allargamento del visuale non sarebbe potente e assoluto com'è se non si contrapponesse al brano, in una frizione fra movimento spasmodico e stasi pacifica, artificiale e naturale, umano e disumano. Una frizione che riguarda il perdersi nel tutto, qualsiasi cosa questa parola significhi. Ecco quali sono forse i collegamenti, fermo restando che video e brano sono collegati anche per il loro carattere di avanscoperta rispetto alla realizzazione (ne' Luca ne' noi sapevamo completamente cosa sarebbe accaduto)''.

2) Mi interessa approfondire le sonorità che avete indagato nell’album. È sempre difficile affrontare un genere piuttosto “ostico” come quello che voi proponete: eppure siete riusciti a gestire la cosa magistralmente. Come è nata, innanzitutto, la vostra collaborazione? E a quali artisti e/o gruppi avete guardato maggiormente mentre stavate registrando il disco?
LB: ''La collaborazione è nata essenzialmente per stima reciproca e incontro fortuito. Non so quanto ci sia di magistrale in quel che facciamo (però ti ringraziamo), quel che è certo è che ci siamo divertiti molto, potrà sembrare strano ma è così. E quando ci si diverte significa che l'incontro funziona. Barachetti / Ruggeri è la confluenza di centinaia, se non migliaia, di ascolti. Tuttavia è divertente e forse utile accennare dei nomi. Per quando mi riguarda di sicuro il David Sylvian di “Blemish”, Alva Noto e i suoi dischi con Blixa Bargeld, Autechre, Laurie Anderson, Shackleton, Logos, Vladislav Delay e qui mi fermo, ma potrei citarne altri''.
Enrico Ruggeri: ''Ho conosciuto Luca grazie ai Bancale e per amicizie comuni e quasi subito ci siamo trovati ad immaginare di provare a fare qualcosa insieme. Il divertimento è stata una delle componenti più sorprendenti che ha accompagnato la genesi del disco (ma neanche troppo visto che siamo due spara cazzate da competizione); considera che le prove e le registrazioni si sono svolte nel soggiorno di casa mia e spesso le serate si sono concluse con una bella cena. Riguardo le influenze devi tenere presente che io sono un vecchiaccio con più trent'anni di ascolti ed esperienze musicali che in un modo o nell’altro confluiscono sempre durante la fase creativa. Selezionare una rosa di nomi mi riesce difficile; posso solo dirti che dopo le prove, per ripulirmi le orecchie, ascoltavo tanto tanto heavy metal''.

3) Come mai avete scelto proprio il mal di testa come simbolo del declino etico, culturale e soprattutto esistenziale dell’Occidente?
LB: ''Non è un simbolo, è un'epifania. E' il male di testa che disvela la corsa dell'umano verso il disumano, questione tutta Occidentale, se non fosse che l'Occidente è quasi il mondo intero. Quante persone conosci che soffrono con frequenza di male di testa? Personalmente tante, la prima sono io, altrimenti non avrei potuto tentare di portare a un livello universale un fenomeno sconosciuto. “White Out” è un disco sul male di testa, ma avrebbe potuto essere un disco sul reflusso gastrico, o sulla crisi di panico, oppure sull'ansia, o ancora su quei piccoli episodi di autolesionismo che la letteratura psicologica e psichiatrica registra come sempre più diffusi, in particolare fra le persone sotto i quarant'anni. Il nostro corpo ci dice che la contemporaneità ci obbliga a stare oltre il limite di sensatezza di cui abbiamo bisogno per vivere bene, per esistere umanamente. A portarci oltre questo limite – dove c'è il nulla – è stata la precarizzazione, la mercificazione e la reificazione delle nostre vite. Un qualcosa che non riguarda solo il lavoro ma la politica, la religione, l'amore, l'amicizia e tutto ciò che ci formava come individui e collettività. E' banale dirlo, ma una delle principali cause del male di testa è lo stress, o quello che oggi viene chiamato burnout. Abbiamo male di testa perché stiamo male, perché le nostre vite sono disumane, perché non abbiamo più nulla a cui aggrapparci che non siano gli psicofarmaci e soprattutto nulla in cui credere che ci riguardi veramente. Il mondo in cui viviamo risponde con il bancomat ad ogni domanda di senso. Ma il bancomat non è una risposta e non ci salverà''.

4) È evidente che vi sia una stretta connessione tra la tematica del disco e le atmosfere create da ogni canzone. I momenti più cupi corrispondono anche ai testi più cupi. Non mancano però i momenti melodici, come l’excursus di Panda Psichico. Come siete riusciti a far convivere una sperimentazione a tratti anche estrema con improvvise aperture “pop”?
ER: ''La connessione tra suono e parola c’è ed è strettissima, però non sono suoni buttati lì per essere semplicemente didascalici. Così come succede per i testi le timbriche adottate cercano di svelare o evocare quello che già c’è e ci permea tenendoci in balia di questo mal di testa collettivo. Panda Psichico è l’unica canzone ironica del disco, con un testo che in alcuni frangenti sbeffeggia i malati di salutismo sempre in forma e con una vita tutta di corsa. Ci voleva qualcosa di apparentemente giocoso e così con il preset slow-rock di una tastiera giocattolo ci siamo inventati questa sorta di pezzo pop al rallentatore. Alla fine c’è un sintetizzatore che pare evocare il suono della ciaramella, è uno strumento antico che solitamente accompagna la zampogna e raramente suona da solista. Metterlo lì alla fine, fuori da tutto e con un ritmo impazzito, mi è parso rappresentativo della solitudine di chi corre veloce su un tapis roulant. Affannato e fermo in un non-luogo''.

5) I testi sono curatissimi e bellissimi. Sono nati in forma di poesia dalla penna di Barachetti, ma si adattano meravigliosamente alle “pieghe sonore” – se posso usare questa espressione – create da Ruggeri. Com’è stata affrontata la loro assimilazione all’interno di tracce così piene di variazione ritmiche e melodiche? E, in particolare, come si è trovato Ruggeri qui per la prima volta alle prese con un album non strumentale?
LB: ''Ti ringrazio. E grazie anche per la definizione “pieghe sonore”, che è molto precisa. Non sempre le parole sono state assimilate o viceversa, a volte si sono scontrate. In ogni caso c'è una sola risposta a questa domanda: quel poco o tanto che siamo riusciti a raggiungere l'abbiamo ottenuto suonando ma soprattutto riflettendo molto. Prove brevi, non frequenti, ma tanta riflessione e confronto. Sono un fervente sostenitore della teoria secondo la quale per ottenere qualcosa con il proprio bisogna non suonare, per scrivere bene bisogna non scrivere''.
ER: ''Registrando costantemente le prove abbiamo avuto modo di verificare man mano la buona riuscita delle esecuzioni per poi ragionarci insieme a mente fredda. L’ intento era anche quello di preservare la freschezza dell’idea primigenia su cui stavamo meditando. Personalmente la situazione è stata molto stimolante perché spesso ho dovuto provare ad interpretare un’idea di Luca, magari immaginifica ma poco concreta in termini tecnici, che negli intenti cercava di rappresentare l’atmosfera del pezzo. Mi viene in mente “Cretto del vero”, dove Luca ha suggerito un suono che desse l’idea di una superficie fratturata, grezza. La parte iniziale del brano cerca proprio di interpretare il momento della frattura''.

6) Otto tracce “sul e nel” mal di testa; quattro, invece, come possibili analgesici al dolore o tentativi di ribellione. Quelle quattro cure proposte possono essere sufficienti, oppure prevale il pessimismo? Quale metodo consigliate all’Occidente per uscire da questa “condizione di minorità” – se così si può chiamare – in cui versa?
LB: ''Saremmo presuntuosi a pretendere di avere metodi risolutivi per uscire dallo “White Out”. I quattro pezzi analgesici sono la dimostrazione che non prevale il pessimismo e gli otto emicranici che non prevale l'ottimismo. Prevale la realtà, che ha forme di resistenza e di fuga da praticare assolutamente. Ne va del nostro stato di uomini, del nostro poterci definire ancora tali''.
ER: ''La tentazione potrebbe essere quella di aderire ad un facile nichilismo per fare piazza pulita di tutto e ripartire da zero ma l’urlo di White Out è diverso e ci dice che per un pelo siamo ancora in tempo a restituire all’uomo una dignità diversa da quella sancita dalla dichiarazione dei redditi''.

7) È una scelta precisa il non voler pubblicare l’album in digitale? In tal caso si tratterebbe di una posizione forte e decisa nei confronti di tutti i servizi di streaming e vendita online, che invece stanno diventando preponderanti nella distribuzione di un disco. Che cosa ne pensate del mercato musicale attuale? (Recentemente, ad esempio, alcuni artisti hanno scelto di pubblicare i loro album solamente via streaming TIDAL o in vendita su Apple Music, almeno inizialmente).
LB: ''La scelta è precisa e riguarda due aspetti. Il primo preservare una qualità di suono su cui abbiamo lavorato tanto (anche grazie alle mani esperte di Enrico prima e di Paolo Costola poi). Il secondo creare le condizioni per un ascolto attento e approfondito e per valorizzare il lavoro visuale fatto da Alice Falchetti per la copertina e il booklet e da Emanuele Biava per le foto. “White Out” non è un disco da ascoltare in mp3, magari dalle casse del pc, mentre si lavora. Tornare alla musica ascoltata senza fare altro ma lasciandosi investire misticamente da essa è una delle prime forme di resistenza che dovremmo tornare a praticare o praticare più spesso. Detto ciò, siccome il disco esce in sole cento copie (e metà se ne sono già andate), è possibile che terminata la tiratura “White Out” finisca sulle piattaforme digitali, ma non ne siamo ancora certi. Sul mercato musicale invece la penso come il buon vecchio Neil Young, uno che sarà anche retrogrado ma continua a divertirsi parecchio, e si vede. Non credo di poter dire la stessa cosa di Beyoncè''.
ER: ''Il digitale è veloce e pratico ma dispersivo. Nel mio caso mi ritrovo spesso ad avere scaricato dischi che poi non ho mai ascoltato o che in vecchi post su Facebook ho pure raccomandato ai miei amici e di cui ora non ho memoria. Il disco, visto che ci hai speso qualche soldino, ti costringe ad un livello di attenzione che altrimenti non avresti. Anche non volendo è così''.

8) Il vostro è uno dei dischi italiani più belli dell’anno. È fondamentale, secondo me, discutere del mondo musicale con chi ne fa parte e produce, come nel vostro caso, album ottimi. Quali altri artisti italiani del momento vi piacciono particolarmente? E quali invece nella scena internazionale? [Facoltativa: Sarebbe interessante sapere quali sono stati, secondo voi, i 5 dischi più belli usciti finora nel 2016.]
LB: ''Grazie, sei troppo buono. Nella vita mi occupo di musica italiana, quindi ne ascolto tanta. Evito di citare fra i cinque dischi 2016 artisti con cui collaboro perché sarebbe ingiusto escludere qualcuno e in ogni caso lavoro con loro anche per motivi extra artistici che riguardano quel tanto di urgenza umana che, a mio parere, è uno dei criteri (anche se non il solo, ovviamente) per distinguere la musica buona da quella cattiva. Dischi che mi hanno colpito quest'anno sono quelli di Richie Hawtin “From My Mind to Yours”, Anohni “Hopelessness”, Danio Manfredini “Vivere per Niente”, Heather Leigh “I Abused animal”, Richard Youngs “Parallel Winter”. Se invece devo citare un paio di nomi italiani che hanno fatto grandi cose negli ultimi tempi non posso dire altro che Iosonouncane e Daniele Brusaschetto''.
ER: ''Grazie per il complimentone! Italiani che ammiro: Emiliano Mazzoni, Father Murphy, Iosonouncane, Marnero. Internazionali: Godflesh, Oren Ambarchi, Meshuggah, Arvo Part, Shishi Mishimo Orchestra''. (Samuele Conficoni)