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01/04/2025
04/03/2025 MARILENA ANZINI
''La gioia di creare, di diversificarsi, di fiorire, ma anche la paura di perdersi, di venire feriti...''
È un disco immersivo ma anche decisamente liquido, leggero ma non poco denso di contenuto e di poetiche visioni. Un titolo altrettanto evocativo: “Bio-“, che ovviamente rimanda a biologico, rimanda alla centralità della natura e non dell’artificio. Marilena Anzini torna con un nuovo disco che ancora una volta, anzi in forma ancor più determinante se possibile, affida alla voce il ruolo di spina dorsale del tutto… voce che qui trova ampia celebrazione anche grazie all’ensemble vocale femminile delle Ciwicè che lei stessa dirige. E poi, senza spoilerare troppo, pochi innesti strumentali che tanto richiamano tradizioni antiche e modi favolistici. È un disco dedito alla vita: con quel modo leggero che hanno le favole di raccontarcela.
Ho come l’impressione che dentro questo disco si torni alla terra, all’uomo, alle cose reali… o sbaglio? ''Sì, Bio- è uno sguardo su tutto ciò ‘che vive’: i temi trattati nei testi sono quelli a me cari - come la connessione con la natura e la spiritualità -, ma con una maggiore attenzione all’aspetto più terreno e vitale, agli esseri umani, alle loro relazioni e ai problemi di comunicazione che spesso le caratterizzano.
Come dico nella presentazione dell’album: “Umano deriva da ‘humus’, così come ‘umiltà’. Abitiamo la Terra e siamo fatti di terra, di humus, di foglie morte e marcite che si sono però trasformate in nutrimento e accoglienza per le nostre radici. È un terreno comune che condividiamo con tutti i viventi -non solo umani- e nel quale possiamo comunicare, cioè mettere in comune una parte di noi con ciò che è ‘altro’ da noi. Da qui entra la gioia di creare, di diversificarsi, di fiorire, ma anche la paura di perdersi, di venire feriti, di restare soli. Il delicato equilibrio tra questi due poli è ciò che ci rende diversi da ciò che vivo non è”.
Quindi sì, maggiore attenzione alle “cose reali”, comprendendo tra queste anche quelle non materiali, come le emozioni e la scintilla spirituale che c’è in fondo ad ogni essere umano: sono invisibili ma abitano anch’essi in noi e sono reali tanto quanto la nostra parte corporea''.
Che nel video di “Pace in terra” l’ho voluto leggere molto come il ricongiungersi con cose ormai abbandonate… ma è la mia lettura… ''Interessante il tuo punto di vista… a me il luogo dove abbiamo girato il video ha smosso tante riflessioni per le sue contraddizioni: nel progetto del costruttore, questa cittadina doveva essere una specie di piccola e luccicante Las Vegas e invece, a causa di una frana, è stata abbandonata e poi vandalizzata. Ora è una città fantasma ed è piena di macerie e di immondizia, ma anche di murales stupendi, che poi sono stati vandalizzati da altri writers molto meno artistici. È una costruzione artificiale (c’è addirittura un finto minareto!) ma è immersa in una natura rigogliosa, con una vista stupenda sulla vallata… insomma, è un mix di degrado e di bellezza, e non è così facile capire dov’è il confine tra le due cose. Ci sembrava il posto perfetto per accompagnare il brano “Pace in terra”, una sorta di favola immaginaria cantata in un linguaggio inventato, con il testo che segue il filo conduttore di colori simbolici per raccontare le contraddizioni umane: in un mondo così meraviglioso come il nostro, con l’esperienza e le conoscenze che abbiamo, ancora non riusciamo a trovare il modo di creare le condizioni per una convivenza pacifica… è pazzesco! E allora viene da alzare gli occhi verso l’azzurro per chiedere aiuto dall’Alto, visto che in così tanti anni di storia non abbiamo ancora imparato nulla''.
Il vero messaggio per Marilena Anzini? Dopo “Gurfa” che cosa hai ricercato? ''Potrei dire che la mia ricerca segue due filoni che si intrecciano strettamente l’un l’altro: quello artistico e quello umanistico/sociale. Partendo dall’ultimo, oltre che cantautrice sono insegnante di canto e faccio parte del Collettivo CantInCerchio, un gruppo di cantanti/docenti che si occupa di divulgare l’arte dell’improvvisazione vocale e del Circlesinging come pratica di crescita artistica, umana e sociale. Il Circlesinging è una pratica musicale condotta da un/a facilitatore/trice e basata sull’improvvisazione e sulla ripetizione. È stata portata a conoscenza del grande pubblico dal grandissimo Bobby McFerrin ed è un canto corale aperto a chiunque, uno strumento incredibile per creare connessione tra le persone e senso di comunità. Questo è il cuore più importante del mio lavoro: avvicinare il più possibile le persone all’arte vocale, perché è uno strumento straordinario e oggi più che mai necessario per favorire l’evoluzione dell’individuo e della società.
Dal punto di vista artistico, la mia musica deve molto all’improvvisazione vocale e al circlesinging:
è impregnata della mia passione per la voce e per tutto ciò che la riguarda; del resto il canto, così come la musica, è una di quelle discipline che richiede una disposizione all’apprendimento continua e sempre più approfondita, e questa cosa mi riempie di gioia… è bellissimo sapere che c’è ancora tanto da scoprire e da sperimentare. Inoltre ho sempre ben presente nella mia scrittura e composizione che la musica ha un’influenza sulle persone e la mia intenzione è che questa influenza sia sempre il più possibile positiva. La sento come una responsabilità, soprattutto di questi tempi tanto caratterizzati dall’aggressività e dalla violenza in così tanti ambiti della nostra esistenza, compresi, ahinoi, i vertici dei governi più influenti del mondo. La musica, e tutta l’arte, può e deve fare la sua parte nella costruzione di un’alternativa a tutto ciò''.
Ma possiamo dire che questo disco è l’evoluzione e l’ampliamento di quel disco? ''Sì, certo, “Bio-“ è la prosecuzione della ricerca iniziata con “Gurfa” e, prima ancora, con “Oroverde”, una ricerca che non è certo finita e che nasce dal desiderio di integrare la vocalità corale con la forma canzone. In Bio- ho sperimentato più a livello musicale, sia ritmicamente -con i tempi dispari- per esempio in “Music on the ocean”, “Lezioni da un seme” e “Tra il silenzio e le parole”, sia armonicamente come in “Tai Chi” o “Communication haze”. Le note sono sempre e solo dodici, ma le combinazioni possibili sono così tante! E se poi le associamo alle possibilità espressive delle parole e dei suoni, le combinazioni diventano pressoché infinite. Vedremo dove mi porteranno le prossime canzoni… sono la prima ad essere curiosa! Non credo che si possa inventare più nulla di veramente nuovo, ma penso che in musica sia possibile rendere nuova ogni cosa. D’altra parte la vera natura della musica è quella di essere irripetibile e quindi nuova -o quantomeno rinnovata- ogni volta che la si esegue. Leonardo Da Vinci, per questo motivo, la chiamava “sventurata” tra le arti, perché vive soltanto nel momento della sua esecuzione… invece è proprio questo il suo bello: lei scompare, ma lascia un’impronta reale e tangibile in chi ha suonato e in chi ha ascoltato!''.
Che poi penso che in una certa misura gli strumenti potrebbero anche non esserci… dal vivo quantomeno… ''La voce ha sicuramente un ruolo centrale in questo progetto: oltre agli arrangiamenti corali sempre presenti, ci sono diversi brani a cappella, per sole voci, e mi piace tantissimo proporli dal vivo, ma è altrettanto vero che gli strumenti portano dei colori particolari di cui sinceramente non voglio fare a meno. L’orecchio ha bisogno di spaziare non solo tra le note ma anche tra le frequenze e i colori del suono. Sono anche convinta che non si ascolti solo con le orecchie: tutto il corpo entra in risonanza con la musica in cui è immerso e anche per questo è un bene che le vibrazioni sonore abbraccino tante frequenze, e le cambino… si rende tutto più interessante e vario. Considerando quindi che l’ensemble vocale delle Ciwicé è composto da sole voci femminili, la presenza del basso di Michele Tacchi è fondamentale, nel vero senso della parola: va a riempire tutta quella parte dello spettro sonoro che è il fondamento e la radice del sound d’insieme. In più suona delle parti di basso talmente belle… sarei proprio matta a farne a meno!''.
E parlando di strumenti? Una ricerca anche in tal senso? ''Io e mio marito Giorgio Andreoli, co-produttore di tutti i miei album, siamo nel campo della musica da tanti anni, e capita spesso che ci regalino strumenti musicali anche particolari: siccome ho la sensazione che gli strumenti non suonati soffrano, cerco di usarli tutti. Così “Lezioni da un seme” è nata mentre imparavo a strimpellare questo bellissimo strumento boliviano, il ronroco, una specie di ukulele a cinque corde doppie di nylon che mi ha regalato Michele. In Bio- c’è anche il khel khuur, uno scacciapensieri molto particolare con una custodia a forma di orso: ce l’ha portato Luca Galmarini, un carissimo amico, batterista dei Docker3Band, che l’ha trovato in Mongolia durante un suo viaggio in moto. Stavamo lavorando sul finale di “Tra il silenzio e le parole” e sull’intenso solo vocale di Nicoline Snaas -altra carissima amica e straordinaria vocalist olandese- e a Giorgio è venuto in mente di aggiungere quel suono per enfatizzare ancora di più il crescendo finale. Ci ha messo un po’ a capire come suonarlo, ma alla fine l’ha registrato e ci sta benissimo. Invece in “Tai Chi” è stato subito chiaro che, per il clima un po’ onirico e rarefatto del brano, ci sarebbe stato benissimo il suono dell’arpa di Ludwig Conistabile, altro nostro carissimo amico, splendido arpista oltre che musicoterapeuta. A volte sono proprio le canzoni a “chiedere” quello che manca. Alla fine, anche nel processo creativo, la cosa più importante da fare è ascoltare…''.