Sono presenti 1368 interviste.
18/02/2025
18/02/2025 START
''Il rock è un linguaggio istintivo, viscerale, capace di canalizzare l’energia della lotta interiore...''
Sono suoni di rock dalle sfumature di pop né di soluzioni di banalissima e accomodante politica radiofonica. C’è una dimensione d’autore e di vita personale molto importante dentro questo esordio dal titolo “Frequencies from nowhere”. Sono gli stArt, che danno alle stampe quello che è a tutti gli effetti il via di una carriera che pesca certamente dai grandissimi classici europei e americani, che sfoglia pagine di “pop” italiano nel modo più epico e rock possibile. È un disco di matura umanità…
Le frequenze che guidano la narrazione, dal titolo alle vicende del concept, sono in fondo l’allegoria e le sincronicità della nostra vita? ''Assolutamente sì. “Frequencies from Nowhere” è costruito attorno all’idea che ogni esperienza della vita emetta una sorta di frequenza, un’onda invisibile che ci guida anche quando non ne siamo pienamente consapevoli. Il protagonista dell’album è disperso in uno spazio indefinito, un luogo che potrebbe essere tanto fisico quanto mentale. Le frequenze lo richiamano, lo spingono a riflettere e a cercare risposte. In questo senso, l’intero concept è un’allegoria del viaggio esistenziale: i momenti di smarrimento, le rivelazioni improvvise e il desiderio di comprensione sono esperienze comuni a tutti noi. Ogni brano è una tappa di questa esplorazione interiore: c’è il buio dell’incertezza (Dark), la ricerca di “senso” (Silence for You), il confronto con la perdita (Life), fino alla rinascita e alla presa di coscienza (stArt). Questo gioco di metafore e di risonanze interiori si riflette nel sound, che oscilla tra potenza e introspezione, proprio come le emozioni umane''.
Il viaggio del protagonista ma anche "viaggio dell'anima". Almeno questo arriva: dunque torna il concetto di musica come strumento per una ricerca personale? ''Sì, e non potrebbe essere altrimenti. Per noi, la musica è il mezzo più puro e diretto per esprimere un percorso interiore, e “Frequencies from Nowhere” è la rappresentazione di questa filosofia. Come dicevo prima, ogni brano è una finestra sulla psiche del protagonista e, di riflesso, su quella dell’ascoltatore. La ricerca non è solo fisica, ma profonda, quasi spirituale. Break Me Down e Binari della folia danno voce ai dubbi e alle domande esistenziali, mentre Wonder è la riscoperta della bellezza della vita dopo aver attraversato momenti difficili. Non raccontiamo solo una storia, ma invitiamo chi ascolta a immergersi in un’esperienza, a riconoscersi nel protagonista e a ritrovare nelle sue emozioni qualcosa di familiare. Questo è il potere della musica: trasformare un’idea in un viaggio personale per chiunque lo voglia percorrere''.
Pesco “Dark”, momento scuro, di paure e immersione intima. Tutto questo doveva suonare Rock? Non poteva avere altre forme secondo voi? ''No, “Dark” doveva essere rock. Noi facciamo rock. Non avrebbe potuto essere altrimenti. Il rock è un linguaggio istintivo, viscerale, capace di canalizzare l’energia della lotta interiore. “Dark” parla di paure profonde, del buio interiore che a volte sembra impossibile da attraversare. Il suo sound è aggressivo e intenso perché la musica doveva trasmettere l’angoscia e la determinazione del protagonista nel cercare di liberarsi dalle proprie catene. Non è una semplice canzone oscura, ma una battaglia, e per noi l’unico modo per renderla autentica era affidarla ad un sound di questo tipo. Sarebbe potuta diventare un pezzo elettronico? Forse. Una ballad acustica? Tutto è possibile, ma forse avrebbe perso quel senso di urgenza, tensione che rende il pezzo un’esplosione emotiva''.
E pensando anche ad un brano come “Life” allora ci viene da pensare come il Rock sia anche il classico contenitore di storie esoteriche e momenti di riflessione sulla vita extra-terrena… sbaglio? ''Non sbagli affatto. Life è una riflessione sul mistero della morte e sull’idea di un amore che va oltre il tempo. Nel rock, questo tema è stato esplorato da sempre: dai Pink Floyd ai Led Zeppelin, dagli Alice in Chains ai Queen, la musica ha sempre cercato di dare una voce all’insondabile. In Life, il protagonista si interroga sul destino di una persona cara, sul significato della perdita e sulla possibilità di un incontro oltre la vita. È una canzone che trasuda malinconia, ma anche speranza: la convinzione che l’amore non si dissolve con il tempo, ma continua a esistere in qualche forma. Per risponderti, il rock, in questo senso, è il genere perfetto per affrontare questi temi, perché riesce a coniugare rabbia e introspezione, rendendo l’esperienza ancora più intensa''.
"Kids of the Dragon" solleva il dubbio se la nostra realtà sia creata o simulata. Però il vostro suono è reale… dunque che sia un manifesto a ricordarci cosa sia vero e cosa no? ''Esattamente. “Kids of the Dragon” gioca con il concetto di realtà e simulazione, una sorta di Matrix, ma il nostro suono è tangibile, suonato con strumenti veri, senza artifici che lo rendano “artificiale”. In un’epoca in cui tutto è filtrato attraverso uno schermo, in cui le AI possono creare musica senza il tocco umano, noi vogliamo ricordare che l’elemento autentico è l’emozione. Il dubbio se siamo parte di una simulazione è affascinante, ma quello che sentiamo la musica, il sudore, la passione dietro ogni nota è innegabilmente reale. Il brano non offre una risposta definitiva, ma suggerisce una direzione: l’unica verità che conta è quella che riusciamo a sentire nel profondo, dentro noi stessi''.