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28/11/2015   UROSS
  ''Se ti fermi a pensare a quante copie venderai col tuo disco, puoi tranquillamente fare qualsiasi altro lavoro che non sia la musica...''

''Ovunque è la bellezza che non vedi'' esce due anni dopo ''L’amore è un precario''. Che differenze ci sono tra i due album? ''E a quattro anni da ''29 Febbraio (Lo Squilibrista)''… Credo ci siano molte differenze ed altrettante somiglianze. Forse, nel complesso, è un disco più omogeneo. Ma è solo una mia sensazione, poi ascoltandolo ognuno coglierà somiglianze e differenze in maniera diversa e personale. In fondo il bello dei dischi, o di qualsiasi altra cosa fatta senza troppo “dovere-burocratico”, è che si prestano a infinite interpretazioni da parte di chi ascolta, ma anche dello stesso autore, dipende dai giorni… Sicuramente è il disco con le più basse aspettative di sempre, visto ciò che c’è intorno alla musica, ovvero tanta confusione, tanta inflazione, e il solito circolo vizioso che ruota intorno a sé stesso...''. Un titolo impegnativo, ''Ovunque è la bellezza che non vedi''… Ci dai qualche dritta? ''C’è una citazione di Einstein con cui vi conforterò: “Tutti sanno che una cosa è impossibile da realizzare finché arriva uno sprovveduto, che non lo sa (che quella cosa è impossibile) e la realizza”. Ecco, tutto sta nel passaggio della sprovvedutezza. L’istinto umano dei bambini ci salverà. Fare dischi è proprio questo: giocare a montare e smontare la musica con le parole finché gli incastri non ti sembrano quasi giusti. Dobbiamo reimparare a disimparare i nostri bisogni, i nostri spazi vitali, le nostre abitudini, le nostre convinzioni e convenzioni, sono tutte cose che a volte (poche per la verità, secondo me) ci salvano ed invece molto più spesso ci frenano, non ci sono d’aiuto ma d’ostacolo. Avere il coraggio di liberarsi dall’inutile, un po’ come la figura di San Francesco d’Assisi, per fare un richiamo mistico. Per capirci, siamo rapiti da immagini non immaginate e non pensate dalle nostre menti. Viviamo tanta virtualità e sempre meno vita vissuta. Desideriamo sogni condivisi, pubblicizzati e messi in offerta e in bella vista ovunque, ai supermercati, alla tv, su youtube, sui cartelloni pubblicitari. Abbiamo i cervelli colonizzati dall’”insostenibile frivolezza dell’essere” o meglio dall’ “irreversibile frivolezza dell’avere e apparire”. Dobbiamo tornare ad essere un po’ meno figli illegittimi del commercio globale nelle sue più disparate forme, e un po’ più figli legittimi della nostra natura, tornare ad essere un po’ più aborigeni. Il che è assai improbabile ma non impossibile. E se un perfetto sprovveduto può pensarlo, forse potrà anche farlo, e siccome la citazione di Einstein parte dal presupposto che quest’uomo è uno sprovveduto e non necessariamente un genio, allora può riuscirci chiunque. Complicato e lineare insieme''. Mai come in questo album ti presenti come una “one man band”, visto che suoni praticamente quasi tutto: è una filosofia o una necessità? ''Questo disco inizialmente lo avevo immaginato con un titolo diverso, cioè “ImPerfetta solitudine”, proprio perché sapevo che avrei registrato un po’ di roba da solo e avrei lasciato fare ad altri musicisti quelle cose in cui non mi sentivo abbastanza a mio agio. Poi la cosa mi ha preso la mano e ho fatto gran parte del lavoro io, pensa... anche alcune note di tromba. Ma non chiedetemi cosa sia un pentagramma o gli accordi strani che a volte mi ritrovo a suonare''. ''Ovunque è la bellezza che non vedi'' contiene undici brani, scritti tutti in un sol colpo oppure in un lungo periodo di lavoro? ''Il disco è figlio di un lungo periodo, quasi due anni, di cui però uno solo effettivo di registrazioni e missaggi. Avrebbe potuto anche contenere qualcosa come 15 o 16 brani e già così com’è, con 12 tracce, è abbastanza “fuori moda”. Il mordi e fuggi di oggi si riflette anche in questo. È composto in parte da materiale completamente nuovo ed in parte da materiale ripreso dal passato. Le canzoni sono come le carte da gioco. Ci sono mani in cui non vai a giocare e passi ed altre in cui ti butti anche se ti ritrovi ad avere una inutile coppia di bluff. E poi magari vinci. Ecco, le canzoni che un tempo hai deciso di non schierare in campo, in altri momenti ritornano e scelgono di farsi scegliere. Uno degli esempi di questo disco è ''Soffio leggero'', un pezzo neanche troppo riarrangiato rispetto a 7-8 anni fa, quando lo composi per la prima volta. È tornato a farsi vivo il pomeriggio dell’11 luglio 2013, quando appresi della improvvisa scomparsa di una persona di famiglia in un incidente stradale. La prima frase della canzone dice “Io che mi raccolgo sul selciato, da questa mia vita e dal passato che non torna su di me…”. Sembra quasi scritta per l’occasione, eppure era una canzone vecchia. C’è poi un altro elemento che rende la cosa ancor più trascendentale, perché questo signore, che amava la musica, era l’unico dei miei parenti che avesse comprato il mio primo CD. Quindi gli promisi che gli avrei regalato il secondo, ma non mi ricordai di farlo se non appena una settimana prima dell’incidente. Nel secondo cd era contenuta ''Al mio funerale''. Ci ho sentito come un collegamento ancestrale. Era come se qualcun altro stesse scegliendo per me di inserire una vecchia traccia che avevo sempre tenuto fuori. Credo che questo sia l’ennesimo episodio che conferma come natura e spirito sono in perenne connessione e in qualche modo danno un indirizzo alle nostre esistenze. Anche fare un disco è roba di essenza ed esistenza pura e non solo semplice frivolezza esibizionistica''. Non sei proprio un uomo da cover, però hai inserito un rifacimento di ''Ciao amore ciao'': per quale motivo? ''Perché avevo già fatto ''Ma il cielo è sempre più blu'' precedentemente, e la cosa di rifare una cover, o meglio ancora reinterpretarla, mi aveva incuriosito e divertito. La scelta, in questo caso, è stata del tutto casuale. C’è stata la presentazione di un libro su Luigi Tenco nel castello della mia città lo scorso febbraio, e il mio amico Giorgio Spada, che avrebbe presentato e interagito con l’autore e con il pubblico, chiese a me e ad altri musicisti locali di preparare una canzone del cantautore piemontese. Mestamente scelsi di suonare ''Ciao amore ciao'' per il banalissimo motivo che non aveva tantissime parole, e almeno mi sarei almeno risparmiato misere figure di chi non ricorda parole di canzoni considerate capisaldi della cultura nazionalpopolare. La verità è che questa scelta fu figlia dell’esperienza fatta in precedenza con la cover di Rino Gaetano, che non riesco a suonare dal vivo perché dimentico o inverto i mille versi. Alla fine però, credo che sia venuta fuori una bella rivisitazione di un classicissimo della canzone d’autore e della storia musicale italiana. Certo è che non è mai facile affrontare e riarrangiare canzoni molto note, soprattutto poi se coinvolgono un pubblico eterogeneo da un punto di vista anagrafico. Peraltro ho scoperto solo ultimamente che non era una delle sue canzoni preferite. Così mi sembra che il cerchio si chiuda perfettamente. Un banalissimo equivoco''. La “vexata quaestio” nella storia di Uross è la tua collocazione, e anche con il nuovo album torna la domanda: uomo rock, cantautore o cosa? ''Partiamo dal presupposto che non nasco ascoltatore di musica, né dalla musica italiana, tantomeno dalle scuole cantautorali. Quindi l’influenza classica del rock e del blues non potrò mai troncarla, neanche volendo impegnarsi tanto a farlo. Per questo è inevitabile che lo stile è un “non stile cantautorale”. Che, poi, non è che tenga troppo all’etichetta di cantautore. In fondo chi se ne frega, tanto in Italia qualsiasi musica tu suonerai, se la canterai in inglese sarà blues o jazz o soul o rock o metal, ma se il cantato sarà in italiano, per “magia” diventerà pop o almost pop. È una derivazione molto provinciale che abbiamo in Italia, quella di relegare qualsiasi approccio musicale cantato in italiano al pop. Sia chiaro, che non c’è mica da offendersi, però non capisco questo fare due pesi e due misure se si parte da un sound simile ma lo si canta poi con due lingue differenti. Così come è molto provinciale il voler fare i fighi cantando in inglese perché così sei assimilabile al rock al blues al jazz farfugliando frasi dal suono splendido e dal contenuto ''Pausiniano D’Alessiano''. Per me la musica è l’insieme di suono e parola. La produzione poetica e letteraria italiana è una delle più importanti e imponenti della storia occidentale. Siamo nel 2015, non ho bisogno di canzoni blues della vecchia tradizione, o rock o soul old school senza alcuna variante personale. Già influenzarle con una lingua non nativa le renderebbe più interessanti o almeno degne di nota dal punto di vista identificativo dell’artista. Potrei voler ascoltare contaminazioni di blues che non siano lo specchio perfetto di musica che posso ascoltare su dischi fatti 50, 60 o 70 anni fa. Si tratta di personalità. Poi la gente suonerà, canterà e ascolterà quello che vuole e lo chiamerà come meglio crede. Tipo: - Che musica fai? Francomusic o Ginomusic o Pornomusic, la sostanza non cambierà. Anche perché c’ha ragione Caparezza quando dice Chissenefregadellamusica...''. Il sound anni '60/'70 ti ispira moltissimo: è così anche per i pezzi di ''Ovunque è la bellezza che non vedi''? ''Certo. Il miglior sound della storia della musica contemporanea è lì, senza se e senza ma. Non parlo delle composizioni, ma semplicemente dei suoni. Non discuto chi ama gli ‘80 e i ’90, spesso amori legati più ai ricordi che all’estetica musicale e non solo. Il futuro della musica era già lì. Basta prendere ancora oggi dischi funky e soul Motown, il sound dei Beatles & company, la psichedelia pinkfloydiana, o addentrarsi nella scena prog inglese ed italiana. IL SUONO è li. Registrazioni di musicisti nudi e crudi con neanche troppi mezzi a disposizione. Sono dischi che a 50 o 60 anni di distanza suonano più freschi di qualsiasi altra cosa. Forse anche perché si partiva da una tabula rasa. Poi arrivarono gli anni '80 e per fortuna poi morirono, e anche i '90. Non è operazione nostalgia, è un dato di fatto. Io mi sono avvicinato alla musica con gli U2, che sono un caposaldo dell’epoca, ma è vero anche che erano quelli che “suonavano” meno eighties di tutti e che si proiettarono ben oltre il sound tipico del rock ’90 con la trilogia di quella decade; quindi ci siamo''. A prescindere dalla natura musicale di Uross, i testi di ''Ovunque è la bellezza che non vedi'' hanno la loro importanza. Quali sono i temi a cui tieni di più? ''I testi sono importanti, soprattutto quando non vorresti vergognarti troppo di quello che dici, visto che si parla di dischi in cui si dovrebbe dare per buona l’idea che ci si mette molto di personale se non tutto. Non è un caso che nutra da anni il desiderio di realizzare un disco di sole musiche. È un po’ come dire: Sono un timido esibizionista. Il che è abbastanza conflittuale. Probabilmente, però, in questo disco più che nei precedenti ho cercato di raccontare quello che volevo e come lo volevo, fregandomene ancora di più dell’ascoltatore. Credo sia una forma di sano egoismo che dovrebbe essere alla base di un lavoro intimo com’è quello di fare un disco. In fondo l’importante è che non ti debba vergognare di fronte a te stesso di ciò che hai creato. Questo discorso è frutto dell’esperienza. Perché con i lavori precedenti, a distanza di qualche anno dalla realizzazione, avrei escluso o cambiato qualcosa. So benissimo che tra un paio d’anni mi vergognerò di qualcosa del nuovo disco ma credo che sia umano, altrimenti sarei un perfetto imbecille. Diciamo che non ho ancora raggiunto questa perfezione. Quando ci riuscirò, abbattetemi''. Da artista attento a quello che accade nel panorama musicale italiano, che idea ti sei fatto dello stato di salute della musica nostrana? ''Sinceramente, dopo tre dischi non guardi più tanto al panorama, ti focalizzi sul particolare. Se ti piace fare musica, fai musica lasciando perdere tutti quei fronzoli che fanno credere alla gente che la musica sia tutta lustrini e paillettes. C’è tanta di quella musica nascosta, sommersa, affogata da qualche parte che se ti fermi a pensare a quante copie venderai col tuo disco oggi, puoi tranquillamente andare a fare il rappresentante di un qualsiasi altro prodotto purché non sia la musica...'.