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22/11/2024
22/11/2024 BANDE RUMOROSE IN A1
''Emozione, comunicazione e racconto presuppongono uno scambio, un incontro...''
Bande Rumorose in A1: il désert pop d’autore. Ho pescato questa etichetta e penso sia decisamente calzante. Almeno per molti aspetti di questo esordio firmato da Matteo Bosco e Valeria Molina, in arte Bande Rumorose in A1. Lascio girare in tondo questo disco dal titolo “Gli inquilini del sottoscala”, un suono minimale dentro cui troviamo anche Swanz the Lonely Cat con l’armonica a bocca e poi Davide Tosches alle percussioni e chitarra elettrica. Un blues accattivante che arriva alle vene e rilascia acido e romanticismo.
Un esordio che subito si staglia in direzione del sociale o sbaglio? ''Umano, se posso. Ho sempre paura di utilizzare la parola “sociale”, è dispersiva, si corre il rischio di astrarre troppo i concetti e, in questo modo, di farli andare bene ad un contesto che non è reale. Ma, a parte questa precisazione, credo tu abbia “visto” bene. “Gli inquilini del sottoscala” è un disco che racconta di persone, di persone che parlano e che ascoltano.
Io sono molto curioso, non scrivo canzoni perché possano “veicolare” un messaggio, scrivo canzoni perché mi interessa sviluppare un pensiero, un punto di vista, non necessariamente il mio, non necessariamente coerente o inattaccabile. È vero però che sento una forte empatia verso alcune persone: quelle che non hanno mai la possibilità di parlare, quelle che non possono parlare perché impegnate a “vivere” e non a convincere gli altri di come lo si debba fare.
Direi che, in questo senso, il disco è “solidale”''.
E se vi dicessi che questo disco ha molto di “politico”? Possiamo dirlo? ''Lo è nel senso lato del termine, forse anche nel senso più “stretto”, mi spiego: è un disco di idee, le idee prendono una posizione e ogni posizione, essendo intercalata in un contesto, è “politica”. “Gli inquilini del sottoscala” è un disco politico ma non strumentale, né strumentalizzabile.
I nostri testi, ma anche gli arrangiamenti, prendono posizione senza imporla, hanno la pretesa di dire “le cose hanno anche questo punto di vista”. Mi piacerebbe, tuttavia, che le nostre canzoni venissero apprezzate perché, prima di tutto, sono “belle canzoni”, sono belle “immagini”.
Ritornando alla domanda iniziale: è un disco di “idee”''.
Del suono: come ci avete lavorato? L’elettronica ha preso parte ai giochi? ''Questa è la parte migliore: per il suono e i suoni devo ringraziare due musicisti straordinari che hanno partecipato alla produzione del disco: Davide Tosches e Luca Swanz Andriolo. Le idee sono nate giorno per giorno, con un’unica direttiva: nessun limite se non la soddisfazione finale. Abbiamo provato tante cose, inventato tante cose, abbiamo cercato un suono che fosse, al netto del fatto che non si inventa nulla, non presente negli attuali dischi cantautorali. Volevamo un suono che non fosse quello del classico “cantautorato anni ‘70”, cosa cui invece potrebbero rimandare i testi, e questo rende il lavoro, a mio avviso, più completo ed apprezzabile su vari piani''.
Chiudete il disco dichiarando quanto la scena indie in fondo sia un mondo settario o quasi. Non trovate invece che ci siano davvero tantissime contaminazioni che forse meriterebbe più luce? ''Certo, tutti gli “universi” in espansione meritano spazio e luce, e se non glieli diamo se li prendono comunque.
“Canzone Pop Per Fidanzate Indie” è una presa in giro, un po’ di autoironia. Abbiamo giocato con una cosa che mi ha sempre fatto molto ridere: questa tendenza di una certa parte del mondo “indie” all’autoesclusione, alla creazione di un proprio mondo che, paradossalmente, anziché espandersi, si contrae, non comunica più.
“Meriterebbe più luce” dici, e sono d’accordo, ma aggiungo: se la ragione per cui facciamo musica è creare, emozionare, raccontare, allora dobbiamo pensare che emozione, comunicazione e racconto presuppongono uno scambio, un incontro. Se “indie” diventa sinonimo di “non mi piace quello che c’è” ma si ferma qui, può esprimere ben pochi contenuti. L’“indie” che ti dice “non mi piace quello che c’è, guarda come potrebbe essere” è quello destinato ad “espandersi”''.
Un video per questo disco? Canzoni come “Nuvole Rosse” o “Faccio pena a Pavese” hanno un forte potere visionario… ci avete pensato? ''Detto fatto: “Nuvole Rosse” ha un suo video, in uno stile che si sposa perfettamente con il testo del brano. Ci siamo divertititi veramente molto a creare una serie di “scene” e di immagini che possono essere rielaborate da chi ascolta: la storia se la costruisce l’ascoltatore. “Nuvole Rosse” è la “paura del diverso”, i luoghi comuni con cui ci bombardano da anni, con cui cercano di instillare paura, e la canzone usa “nonsense” e ironia per raccontarlo, il blues che ci sta sotto fa da collante.
Il video cattura tutte queste cose, è divertente e ti obbliga a mettere assieme i pezzi, le parole, i concetti''.