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19/11/2024
19/06/2024 GIPO GURRADO
''I miei spettacoli sono un tentativo di portare il genere Musical da qualche altra parte rispetto ai prodotti di importazione...''
Hai da poco pubblicato il disco "Family a modern musical comedy". Come lo descriveresti a chi si approccia per la prima volta al tuo lavoro? ''“FAMILY” è il disco che racchiude dieci brani tratti dall’omonimo spettacolo che ha debuttato al Teatro Fontana di Milano (prodotto da Elsinor) nel gennaio del 2023 e che, dal debutto, ha fatto oltre sessanta repliche a Milano e in giro per l’Italia. I miei spettacoli sono un tentativo di portare il genere “Musical” da qualche altra parte rispetto ai prodotti di importazione che vanno in scena nei nostri teatri, dove cast di professionisti meravigliosi portano in scena testi e musiche con cui hanno molto poco a che fare (uno su tutti “Chorus Line”, che racconta le vicissitudini di un gruppo di attori e ballerini in cerca di lavoro nella New York degli anni Settanta…).
I miei spettacoli sono tecnicamente dei musical ma non hanno nulla a che fare con l’immaginario che la parola richiama. “Family” è il quarto episodio di questa mia personalissima ricerca e la meravigliosa risposta del pubblico ci ha spinto a declinare il progetto anche in una versione discografica''.
Tra musical e cantautorato. In che modo entrano in contatto questi due mondi quando pensi a uno spettacolo? ''Ci sono tantissimi modi di fare teatro, questo è risaputo, ma quando si arriva a parlare di “musical” o “teatro musicale” scatta il cortocircuito e diventa difficile far capire che ci sono altrettanti infiniti modi di portare le canzoni sul palco. In Italia abbiamo avuto autori geniali come Garinei & Giovannini o Gaber che hanno fatto entrare le canzoni a teatro dall’ingresso principale e non dal retro solo per creare un “momento musicale” in mezzo alla prosa. Io quando scrivo parto dalle canzoni e, se tutto funziona, cerco di non fermarmi e di restare nel linguaggio musicale il più possibile. Alla fine, quando ho finito di scrivere, mi rendo conto che attraverso le canzoni sono riuscito a dire tutto quello che secondo me serviva e lo spettacolo diventa inevitabilmente un musical''.
Esistono figure alle quale ti ispiri sia per il teatro che per la parte strettamente compositiva? ''Scrivere canzoni per me è molto faticoso ma è una fatica altrettanto divertente. Sono cresciuto ascoltando la grande scuola milanese, da Jannacci a Vecchioni, in casa mia si ascoltavano loro e pochi altri come Lucio Dalla e Paolo Conte. Una canzone quindi, per me, deve essere prima di tutto originale, con un’idea “nuova” da qualche parte, nel testo, nella melodia, nell’armonia, che la renda unica. Per quello è difficile. Scarto moltissimo di quello che scrivo e quando una cosa mi “viene subito” diffido molto e la riascolto con sospetto. Dal punto di vista compositivo, per uscire dalla scuola italiana, amo autori di canzoni come Martin Gore dei Depeche Mode, un genio assoluto secondo me, e Sting, uno dei miei eroi da sempre. Teatralmente amo autori come Beckett, Pinter e Copi''.
In un mondo fortemente virtuale, possiamo a tuo avviso definire il teatro e il musical come una forma d'arte "carnale" importante per non distaccarsi troppo dalla realtà? ''Il teatro, oltre a essere indispensabile, è insostituibile. Nessuna tecnologia potrà mai prendere il posto di una performance dal vivo in cui un attore, a pochi metri di distanza da dove lo spettatore pagante lo guarda, deve riportare in scena una storia, una emozione, una canzone. E se spesso nei concerti, anche di artisti “enormi”, quello che esce dalle casse proviene per la maggior parte da una computer a cui l’artista o la band aggiunge qualche cosa dal vivo, nel teatro nessuno può bluffare. Questo mette chi fa teatro nelle condizioni di creare qualcosa di organico, di vero, di onesto senza scorciatoie. E la strada che ti porta a qualcosa di questo tipo è lunga''.
Anche col disco hai fatto un ragionamento "fisico" pubblicando un vinile. Cosa ti lega a questo formato discografico che sta tornando molto in voga? ''Lo spettacolo “Family” racconta la storia di una famiglia che si ritrova una sera per affrontare una questione importante. Ma il punto di vista di vista è quello del membro più empatico, sensibile e intelligente della famiglia: il cane. Il tutto è ambientato negli anni Ottanta quindi ci sembrava coerente pubblicare il progetto discografico in versione vinile. Ho realizzato un piccolo sogno, lo ammetto: era da quando ascoltavo i vinili, nella mia adolescenza negli anni Ottanta, che sognavo di farne uno. Quando ho iniziato a fare dischi io era l’epoca del cd e quindi non c’erano alternative. Ora, con “Family”, mi sono tolto uno sfizio''.
Il tuo rapporto professionale con Indiehub.Come si è strutturato per il disco di Family? ''Frequento lo studio Indiehub, fondato da Andrea Dolcino, dai primi giorni di apertura ormai più di un decennio fa. Ho realizzato numerosissime colonne sonore per spettacoli teatrali e tanti progetti discografici. È uno studio meraviglioso per i generi musicali che frequento io. Negli ultimi anni sono diventato un ospite fisso grazie soprattutto a numerose produzioni di podcast che ho realizzato insieme a Stefano Giungato, socio e ingegnere del suono di Indiehub. Io e Stefano ormai ci conosciamo bene artisticamente. Inoltre, Stefano ha visto la gestazione del progetto “Family” dall’inizio, conosce le caratteristiche di tutti gli attori e il suo contributo al disco è stato fondamentale''.
Recitazione e canto. Punti di contatto e di distacco? ''Io “lavoro” sul portare una canzone in scena da anni. “Family” è il mio quinto spettacolo costruito tutto sulle canzoni. Ho iniziato con “Modi” nel 2012, poi ho scritto e diretto un musical sul sequestro Moro (“Piombo” nel 2017). Nel 2018 ho debuttato con “Supermarket” con cui è nata la mia collaborazione con il centro di produzione Elsinor e quest’anno ho portato in scena con Andrea Lietti, presente in tutti i miei spettacoli, “3 minuti e 30 secondi”. Recitazione e canto fanno parte della stessa cosa, sono la stessa cosa. Se si considerano due azioni diverse, il recitare e il cantare, allora la canzone in scena diventerà un abbellimento, una decoro inutile, nel quale tutto deve essere perfetto, intonato, “a tempo”. E spesso poco interessante. Quello che cerco di fare io quando le parti di copione di un personaggio sono affidate a una canzone è di non dimenticarsi del personaggio. Spesso, quando arriva il momento della canzone, il personaggio che la interpreta esce di scena, va a bersi un caffè in quinta, e sul palco resta l’attore che canta come gli hanno detto che deve fare per “cantare al meglio”. Io cerco di fare l’opposto e ho la fortuna di lavorare con attori che non mandano mai il personaggio in quinta a bere il caffè''.