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24/03/2024   OTTODIX
  ''Se facessi avanguardia sonora pura, sarebbe la fine, non si capirebbe nulla...''

Pensate ad un concerto.

Fatto?

Bene, adesso scordatevene.

O meglio: ripensate ad un'idea di concerto diversa da quella che conoscete. Rimescolate i fattori, muovete un passo avanti, o di lato. Cercate di concepire l'evento come qualcosa di più ampio, pluridimensionale. Immaginate di trovarvi ad un concerto per rilassarvi, evadere, lasciarvi andare: ci siete quasi, ma occorre uno sforzo supplementare. L'evasione non è a buon mercato: vi è richiesto soverchio impegno, sia chiaro. Considerate poi che l'esibizione sia solo parte di un contesto allargato a varie altre forme d'arte, sparse come briciole-indizi lungo la strada, un tourbillon di eventi ed espressioni sonore, visive, letterarie, accademiche, emanazione di un milieu intriso di scienza e conoscenza: benvenuti nel mondo di Ottodix, il viaggio è appena iniziato.

Alessandro Zannier è da oltre vent'anni la mente dietro al progetto Ottodix, sviluppato con incrollabile fiducia e testarda coerenza oltre qualsiasi moda o tendenza. Anzi: mode e tendenze sono àmbiti dei quali si disinteressa esplicitamente, focalizzando altresì l'attenzione su una profondità concettuale e analitica ben lontana dall'ambito musicale tout court. Estraneo al music biz ed alle sue perversioni, è pensatore prima ancora che artista, l'arte essendo un veicolo per la captazione - futuribile, in potenza - di interconnessioni talora invisibili. Fornisce la chiave di lettura, o forse ne amplifica il messaggio, ma questo glielo chiederò più avanti. Pubblicato per un tempo limitato sulla pagina YouTube, è disponibile per la fruizione il concerto - termine riduttivo, ribadisco - tenuto nell'estate 2023 presso il Conservatorio di Venezia, una tra le molte venue che lo hanno visto protagonista all'interno di un percorso dislocato presso varie location nella città lagunare.

L’esibizione è interamente incentrata sull’esecuzione di “Arca”, album rilasciato ad aprile 2023, elaborata utopia sci-fi ispirata a Miyazaki, lavoro deliziosamente complesso ed intellettualmente sfidante (la nostra recensione qui: http://www.musicmap.it/recdischi/ordinaperr.asp?id=9995). Esperienza immersiva a tutto tondo, sfaccettata e stratificata, spiazzante ed avvolgente, coinvolgente ed altera in un suo elegantissimo modo di proporre inquietanti interrogativi che tutti riguardano, la performance al Conservatorio travalica gli angusti limiti e la ridotta dimensione di un qualsiasi live, aprendosi a contaminazioni che prevedono l'immancabile ed inscindibile connubio tra immagini e musica.

In scena insieme ad Alessandro a completare l’Ottodix Ensemble, c’è la band che lo accompagna da sempre, affiancata da un quartetto d’archi, da una suggestiva installazione di visual art realizzata dallo stesso Alessandro, dai giochi di ombre e colori creati direttamente on stage da Laura “Ombrette” Marini.

Innanzitutto, colgo l'occasione per un ringraziamento generico: un'opera come “Arca” è un’autentica rarità, l'antitesi esatta della musica inconsistente che ci gira intorno: lavoro monumentale, negazione dell’imperante usa-e-getta.

Per iniziare, ti chiedo di illustrare brevemente per chi ci legge come nasce la collaborazione fra te e il DVRI (Distretto Veneziano Ricerca e Innovazione) ed in quali forme si è tradotta... ''Dopo le due Biennali di Venezia 2021e 2022 (Architettura e Arte) in cui ho esposto come artista e suonato con l’ Ottodix Ensemble, sono diventato una figura abbastanza nota in alcune istituzioni veneziane, non solo per l’arte, ma per la scienza e per la divulgazione, le tre tematiche “chiave” dei miei attuali concept. Il DVRI per suo statuto, è un ente specializzato in progetti culturali multidisciplinari ed è sostanzialmente un consorzio a cui aderiscono università (Accademia Belle Arti, Ca’Foscari), istituti di ricerca come il CNR ISMAR, musicali come il Conservatorio Benedetto Marcello, storici come il Museo M9 del ‘900 o più propriamente artistici come la Fondazione Bevilacqua La Masa. E’ stato abbastanza naturale credo, ricevere la proposta dal DVRI per diventare il loro “artista in residenza” per il 2023, anche perché il nuovissimo progetto ARCA prevedeva l’ipotesi di un backup dell’intero scibile umano in caso di fuga a bordo di un’Arca spaziale, divisa in settori come istruzione/memoria storica/tecnologia/scienza/arti, ecc. Quindi, abbiamo trasformato la mia residenza in una serie di eventi-mostre in tutti questi luoghi, seguendo la mappa dell’Arca che avevo progettato, descritta per canzoni. Il titolo del mio lavoro svolto a Venezia per il DVRI, tra performances, concerti, mostre e installazioni è infatti ARCA VENICE “Habitat Backup Estinzione”, ed è stato costruito con la collaborazione attiva di questi enti, coinvolgendo anche alcuni studenti. Il catalogo completo di questa esperienza visivo-sonora dovrebbe essere pronto a fine aprile 2024''.

Il tuo percorso artistico, mai scontato né lineare, nel corso degli anni è divenuto sempre più complesso e articolato, particolarmente con gli ultimi tre lavori, nei quali esplori con sempre maggiore attenzione le prospettive evolutive offerte dalla scienza e le sue applicazioni ed implicazioni. Da un lato c'è una narrazione sci-fi, dall'altro una serie di ipotesi suggestive e - perché no? - praticabili. A partire dalle "sonificazioni", affascinante elemento che del live è parte fondante, come se fossero scienza e tecnologia a parlare. Puoi descrivere la genesi di questo procedimento, per il quale ti sei avvalso del supporto di diversi collaboratori? ''Certamente, le sonificazioni sono uno degli elementi che caratterizzano ARCA, sia per l’arte che per il concept album di Ottodix, e sono in generale la traduzione in suoni di dati numerici, che possono essere di qualunque natura, dai dati statistici all’inquinamento, alle quotazioni di borsa, alla natalità o mortalità mondiale ecc. In questo caso ho “sonificato” (assieme al programmatore “Alex Piacentini) dati del DNA animale, vegetale, batterico e fungino per attualizzare l’idea del “backup” della vita fatto da Noè nella sua Arca, prima del diluvio. Per fuggire nello spazio dopo un’apocalisse ho ipotizzato lo stoccaggio di una banca dati sonora, immateriale, ottenuta col DNA della vita e la cosa si sente anche in alcuni punti dell’album in cui “suona” il DNA della tartaruga Chelonia Mydas, animale a cui mi sono ispirato per dare la forma dell’intera nave spaziale. Sono anche molto soddisfatto perché sono riuscito a generare vere e proprie installazioni sonore che ora sembrano essere l’ultima tendenza anche della Biennale d’Arte di Venezia in arrivo, in cui verrà dato moltissimo risalto proprio all’arte sonora in generale. L’dea che ho inserito nella scelta del DNA dei soggetti viventi (mica potevo farli tutti!) è di far sentire il suono di alcuni animali estinti o al contrario resistenti a catastrofi o con caratteristiche adattive per la colonizzazione del cosmo. E’ letteralmente possibile, ad esempio, ascoltare il suono prodotto dal DNA di un Moa, animale neozelandese estinto nel XVIII Secolo. Questi suoni hanno anche generato animazioni astratte 3D esposte come opere video, visibili e udibili anche ai concerti come assaggio, tra una canzone e l’altra. Per il concerto al Conservatorio, inoltre, mi sono avvalso della collaborazione di Davide Commone, studente alla cattedra di Nuove Tecnologie che ha creato come introduzione al live di Arca un “soundscape” mescolando suono di DNA di vegetali e animali e rumori ambientali della laguna veneziana''.

Ho guardato ed ascoltato con interesse il concerto: anche soltanto da un punto di vista strettamente formale, ciò che mi ha colpito è innanzitutto la cura del dettaglio e la sensazione palpabile, tangibile, di autorialità. Ma è un'autorialità "altra" rispetto a quella che si associa alla scrittura musicale tradizionale, per quanto colta sia. Nel tuo caso, è espressione "alta" di un lavoro profondo e meditato. La domanda è: quanta rilevanza attribuisci alla musica nella tua operazione, che è assai più ampia dei confini di una canzone, di un disco? E' una parte del disegno complessivo, arte tra le arti, espressione tra le espressioni, ma mi sembra ben più di un mero accompagnamento. Però preferisci il canto ad un reading, direi... ''Ti ringrazio, hai esposto esaustivamente quelli che sono i miei intenti. C’è molto rigore, studio e stratificazione di letture nei miei testi, metafore comprese. Il doppio carpiato che rende tutto più difficile è rendere tutto ciò scorrevole in una forma-canzone, con strofe e ritornelli che – da un lato - rendono più digeribile tale complessità, e dall’altro allontanano dal facile e abusato stratagemma del reading, in cui il testo senza alcun vincolo metrico si adagia, di solito, su tappeti sonori di fondo, spesso assolutamente poco consistenti in sé, basati su una sola nota o sul tipo di suono. Sono cose che utilizzo anch’io, ma dosate per ripulire le orecchie dopo aver ascoltato canzoni complesse coi loro contenuti. Mi ritengo anche un compositore, ho pari interesse a comporre armonie e melodie strumentali “importanti”, articolate, anche per orchestra, quindi non mi adagerò mai all’effetto-stupore oramai stravisto di un reading con tre gocce di suono in sottofondo. Credimi, non è certo complicato come articolare un soundtrack e parlare per canzoni''.

La cosa che apprezzo maggiormente della tua proposta è la difficoltà. Non è una passeggiata, inutile girarci intorno. E' una cattedrale concettuale: ha contenuti, porta avanti un'idea, una costruzione, un'utopia. Scienza - in molte sue declinazioni - e musica: connubio arduo da progettare e da sviluppare, eppure sembra funzionare. Arduo camminare su un terreno così impervio senza concedersi alla fruibilità? ''Il fatto di utilizzare la forma-canzone debitrice anche del synth pop e di una certa teatralità scenica-visionaria di Bjork, o atmosfere alla Massive Attack, riporta questa complessità in stilemi più noti. Se facessi anche avanguardia sonora pura sopra a un mare tale di contenuti complessi e visionari, sarebbe la fine, non si capirebbe nulla. Io miro ad essere comprensibile. Amo il cinema visionario e quell’effetto che ti arriva a metà film, infarcito di input apparentemente scollegati, dopo che il tuo cervello sta lavorando a mille per capire dove il regista vuole andare a parare. C’è un momento in cui arriva l’epifania e dici: “Ah! ecco, ho capito dove vuole arrivare!” - e quello è il “click” col quale lo spettatore entra nel tuo gioco. Questo lavoro lo trasferisco e lo amplifico anche nello spettacolo con i visuals e i musicisti, dove c’è più tempo per inserire contenuti anche di divulgazione e riflessioni che, per forza di cose, non hanno trovato posto nel già lungo concept album''.

C'è un percorso che unisce in linea più o meno retta la trilogia Micromega/Entanglement/Arca: dall'infinitamente piccolo all'infinitamente grande, sono le due sfide future, i due grandi limiti cui tendere? ''Non lo so se quella sia la sfida in generale, ma è plausibile. La cosa che unisce i miei tre ultimi progetti è l’approccio scientifico-visionario del viaggio, in cui le canzoni fanno da cicerone all’interno di stanze/scene/ aree/episodi che creano un percorso “da > a”, possibilmente con un finale importante. In “Micromega” il viaggio era dalle micro particelle ai sistemi di universi, attraverso 9 ordini di grandezza della materia del cosmo, in “Entanglement” era un viaggio attorno al mondo per mari, continenti e regioni polari alla scoperta dell’iper connessione globale, mentre su “Arca” è il viaggio all’interno dei settori della gigantesca astronave-tartaruga, in cui la vita dei coloni e lo stoccaggio dei dati che ho progettato sono organizzati a reparti-padiglioni. Nel prossimo non è detto vada ancora così, con questo schema di viaggio lineare. Il futuro dell’uomo tende alla conquista spaziale, ma anche alla nano tecnologia, alla medicina e all’intelligenza artificiale, quindi ho molti spunti da seguire ancora''.

Uno dei molti concetti alla base di "Arca" è che siamo tutti migranti: non certo, per fare un esempio, dall'Africa all'Europa. Piuttosto, siamo migranti dell'universo, andiamo alla deriva in uno spazio ancora tutto da sondare, capire, scoprire. Nella tua visione, l'universo è caos, oppure ordine che ancora dobbiamo comprendere? ''L’universo è ignoto, è nero, è pericoloso come il mare di notte che i migranti devono affrontare con terrore fuggendo da morte certa per tentare un’ultima chance. L’idea dell’arca spaziale implica tutta una serie di provocazioni filosofiche a mio avviso interessanti sul fatto che ipoteticamente diventerebbe un barcone internazionale in cui russi, cinesi, svizzeri e africani dovrebbero per forza venire a patti, convivere non belligeranti più di tanto, vista la precaria “barca comune” che li terrebbe in vita tutti. Probabilmente, cadrebbe il concetto di nazionalità, e gli sforzi sarebbero volti più alla conservazione del sapere tecnologico e alla salvaguardia degli habitat artificiali, senza sprechi e riciclando, che a logiche di potere. L’universo è un mistero che ci costringerebbe a pentirci di esserci resi la vita impossibile sulla Terra, perché la Terra andrà avanti, non è affatto vero che noi la stiamo distruggendo. La stiamo solo mutando in modo masochista, a tal punto da farla diventare invivibile per noi e per le specie che ci servono per sopravvivere. Ma il pianeta andrà sicuramente avanti, se ne frega altamente di essere “vivo” o morto. Un pianeta in sé è un sasso che ruota, il danno lo facciamo a noi''.

Una provocazione. Prova ad andare oltre "Arca": cosa ti attende come artista e cosa ci attende come genere umano? ''Non è una provocazione, è il mio mestiere quello di farmi queste domande. Sto lavorando sul concetto di “cervello” ora, mi interessa questo tipo di complessità e più avanti sarà la nuova strada, che avrà solo marginalmente a che fare con l’AI. Odio cavalcare le mode, ma amo trattarle in modo sghembo e utile all’analisi di un quadro più complesso in cui inserirle come uno degli aspetti''.

In fondo, canti che "Charlie è una molecola romantica": alla fine, oltre la scienza ed i suoi infiniti labirinti, siamo pur sempre soltanto amore e sentimento? ''Certo, assolutamente, ed è lì la difficoltà estrema, di parlare di utopie scientifiche o visioni future sempre con un doppio livello di lettura. Diventerebbe un film fanta-horror fine a sé stesso il parlare di incubatrici spaziali, robot-infermieri, cloni che si chiamano “Charlie” ecc. se tra le righe non ci fosse un monito e un messaggio, una metafora più umana e vicina alla nostra contemporaneità, al presente. Ad esempio “Nati su Gemini” che stai citando, nel mettere in scena la tragedia di generazioni di giovani cloni nati su Arca e che moriranno su Arca (“si chiamano astronavi generazionali”, tecnicamente), parla in realtà delle colpe dei genitori di queste generazioni (la mia ad esempio), che stanno consegnando ai figli un disastro di società e l’onere di ricostruire da zero tutto o quasi tutto quello che hanno mangiato e distrutto i padri (che nel brano restano comodamente ibernati mentre i nuovi nati, giovani, hanno il compito di mandare avanti l’astronave alla caccia, magari vana, di un pianeta alternativo). Si gioca con lo spazio per parlare ovviamente di problemi molto terrestri e concreti''.

Grazie per il tuo tempo, ci vediamo alla prossima evoluzione, un gradino più su... ''Grazie a voi, spero di vedervi ai prossimi concerti con l’Ottodix Ensemble''.

(Intervista di MANUEL MAVERNA)