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20/12/2024
21/02/2024 ALESSANDRO DELEDDA
''Prendere una direzione sconosciuta, con un pizzico di follia e una buona dose di incoscienza...''
Piacere! Sono Gilberto Ongaro di Music Map, e vorrei farti qualche domanda.
Ho conosciuto la tua musica quest'anno, recensendo “Club notturno”, un disco dal gusto poliziesco, che riprende il sapore del jazz di fine anni '70, quando si affermava la fusion. Sono andato ora ad esplorare i lavori precedenti, incappando nei “Morbid dialogues” del 2014. Sappiamo che “morbid” è un falso amico, in italiano vuol dire “morboso”. Come sono nati questi “dialoghi morbosi”? Qui sento meno “polizia” e più introspezione inquieta... ''Certamente! Grazie intanto per averlo menzionato. In “Morbid Dialogues” avevo necessità di esplorare nuovi mondi, di avvicinarmi ad un percorso che mettesse in luce l’improvvisazione libera, radicale, che rappresentasse quindi la mia voglia di uscire allo scoperto. Ne è nato un modo di lavorare attraverso un procedimento che considero opposto alla composizione: partire dall´improvvisazione libera per arrivare al componimento durante il suo percorso estemporaneo. Quasi come a prendere una direzione sconosciuta, con un pizzico di follia e una buona dose di incoscienza. Dialogare quindi attraverso dei gesti musicali, dei timbri, delle intenzioni ritmiche o semplicemente dei messaggi “in codice” da raccogliere simultaneamente al fine di creare un qualcosa che potesse avvicinarsi quanto più possibile ad una composizione finale. Interagire al di fuori di qualsiasi schema, contaminare, deframmentare per costruire qualcosa che funzionasse, e al fine di stabilire una relazione morbosa fra musicisti la cui poliedricità ha sicuramente dato un contributo determinante ad un lavoro che voleva essere intriso di elementi contemporanei, di paesaggi sonori che non contrastassero fra di loro''.
Invece “La linea del vento” e i “9 Pièces Nocturnes pour piano”, dischi di piano solista, in che circostanza sono nati? ''E’ stato un appuntamento intimo e sincero con me stesso, nato in un momento in cui tutto si è fermato: il lockdown. La mia scuola di musica rimase chiusa, e approfittai per sedermi al piano, premere il tasto “rec” e provare di getto a raccontar qualcosa su quel piano, ripercorrendo estemporaneamente ed emotivamente alcuni episodi della mia vita, in una session di improvvisazione senza alcun editing che in seguito è diventato il disco di 11 tracce pubblicato da Le Vele/Egea.
La voglia di narrare esplosa in un pomeriggio! Sai, sentirsi libero allo strumento ti porta ad esplorare vari generi, dal jazz alla popular, alla composizione estemporanea e ad amplificare il tuo spirito di ricerca, quindi ci presi gusto e… tornai il giorno dopo con l’autocertificazione compilata (perché non si poteva girare se non per motivi di lavoro), e decisi di fare una sessione di registrazione notturna, ne venne fuori un compendio di pezzi da dedicare alla notte e che servissero da spunto improvvisativo per i miei allievi''.
Hai messo da parte un po' l'elettronica, mischiata nel jazz, con la quale hai debuttato nel 2011 con “Conception & Contamination”. Non hai intenzione di riprenderla in mano? ''Sono stato sempre amante dell’elettronica, perché è un terreno infinito, una linea di confine che sa dare tanti spunti. «Conception and Contamination», mio primo disco, ne è la testimonianza: l’incontro libero tra il pianoforte e l’elettronica, un dialogo che trova sempre spunti interessanti. Lavorando in studio, soprattutto ad esempio per musiche per la televisione, c’è sempre un momento, un appuntamento con essa. Creare suoni e manipolarli rappresenta una parte importante della mia creatività.
Ecco allora che per esempio l’elettronica può aiutare, un suono aleatorio può stimolare, un elemento ritmico può catalizzare nuovi intenti improvvisativi. Credo fermamente che il risultato finale derivato da tali presupposti non possa che produrre un lavoro ricco di energia. Ho sempre pensato di ripetere questa esperienza… chissà!''.
Torniamo al presente, a questo “Club notturno”! Come si è sviluppata l'idea di andare verso quelle sonorità? ''Dalla mia passione per il cinema degli anni '70. Un cinema ricco di virtù, capace di metter bene a fuoco la cinematograficità di molte città italiane. Ma la cosa più bella di quegli anni, relative in particolare modo ai “poliziotteschi”, sono state le straordinarie colonne sonore dei vari Micalizzi, Umiliani, Ortolani, Piccioni e tanti altri, una fucina di compositori che l’America stessa ci ha sempre invidiato. I suoni e quel modo jazz funk, mi ha trasmesso quella voglia di “ripensare” una immaginaria soundtrack, per cui ho avvertito la necessità di scrivere temi da dedicare alle varie città italiane che hanno rappresentato le riprese di quell’epoca. Un giro per l’Italia, con amici, un club che di notte si ferma negli hotel, nei locali, talvolta tribunali delle diatribe tra il poliziotto e il capo della banda di malviventi''.
Ci racconti un concerto a cui sei particolarmente affezionato? ''Pink Floyd a Livorno nel 1989, del tour “Delicate Sound of Thunder”, rimasi folgorato e non parlai per una settimana! Ricordo ancora il prezzo del biglietto: 37.500 lire!!!''.
Dove ti si può vedere dal vivo in futuro? ''A Roma alla Casa del Jazz il 15 marzo e il 16 a Pisa all’Ex-Wide con i musicisti del mio Club che tanto hanno dato alla (credo) buona riuscita di questo lavoro: Francesco Bearzatti al sax, Danilo Gallo al basso elettrico, ed i promettentissimi giovani come Riccardo Catria alla tromba e Marco D’Orlando alla batteria. Da li partiremo poi per una serie di concerti che sono attualmente in programmazione''.
Grazie del tuo tempo Alessandro! ''Grazie di cuore a te Gilberto!''.